«Ho donato un rene a mio marito»: una storia d’amore e di rinascita

 “Posso darti una parte di me, e non era affatto cosa scontata alla mia età. E farla senza danno per me. Ho la libertà di donarti un mio rene, un dono di nuova vita, e la cosa più vicina al darti la mia vita, dopo quarant’anni di vita insieme… Te lo do con amore e ti chiedo di accoglierlo con amore. E con cura. All’amore, alla cura e alla bravura dei medici, risponderà. Sto per darti una parte di me e anche se so che non potrà farti ritornare giovane o toglierti ogni problema, tu riprenderai lena e riacquisterai le forze, ti riempirai di nuova speranza e sarai ancora la mia roccia. Sono sul lettino, spinta verso la sala operatoria. Sto volando su ali come l’aquila…”. Con questa poesia, di cui riportiamo alcuni brani, che è stata premiata al recente concorso di Nefrologia narrativa, la giornalista Guya Mina ha interpretato il suo vissuto come donatrice di rene.

L’abbiamo intervistata in occasione dell’evento: “Donazione di rene da vivente: per estendere la frontiera del trapianto nel nostro Paese”, promosso da ANED (Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto) e dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, in previsione della Giornata Nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti (16 aprile)

«Eravamo da poco sposati quando mio marito ebbe gravi problemi renali a causa di una glomerulonefrite. Per questo motivo, venne messo in lista per un trapianto. Era da diversi mesi in lista d’attesa e ormai alle soglie della dialisi, quando una notte arrivò la telefonata: c’è un rene compatibile a disposizione, ma a Strasburgo, dove la fondatrice di ANED ci aveva all’epoca indirizzato. In sei ore dovevamo essere all’ospedale che ci era stato indicato. E così, raccogliendo i pochi effetti personali, eravamo partiti. Era il 1991. L’intervento andò bene e mio marito ha vissuto la sua vita in modo assolutamente normale. Dieci anni fa ci siamo trasferiti a Londra. Dopo 25 anni dal trapianto però sono cominciati i primi problemi: il rene trapiantato cominciava a funzionare poco. Al Guy Hospital di Londra, dove era seguito, gli proposero l’opzione del trapianto da donatore vivente, che si poteva programmare prima di dover entrare in dialisi e avrebbe dato risultati decisamente migliori.  Ricordo che mio marito mi telefonò dall’ospedale per chiedermi se ero disposta a donare uno dei miei due reni. Non esitai minimamente e rispondere di sì! Ma a causa di alcune complicanze di salute, anche cardiache, e persino un tumore al rene originario che ha dovuto essere espiantato, abbiamo dovuto aspettare un paio d’anni. Quando i tempi furono maturi, nel 2018, feci tutti i controlli medici e psicologici previsti e, anche se la mia compatibilità HLA era di 1 su 6, i medici diedero l’ok. Trapiantare un rene da una persona vivente è comunque la soluzione migliore. E così è stato. Ricordo di essere entrata in sala operatoria con la sensazione di “volare sulle ali di un’aquila”, come ho poi scritto nella mia poesia. L’intervento è andato bene. Nei primi dieci giorni però mio marito ha avuto una crisi di rigetto che mi ha messo molto in ansia: ero sicura che il mio rene, donato con tanto amore, dovesse funzionare subito! Con i farmaci appropriati antirigetto, comunque, presto il mio rene ha cominciato a funzionare correttamente e continua a far bene il suo lavoro ormai da quasi 5 anni. Mio marito ha ripreso in mano la sua vita e la nostra insieme è “rinata”!»

Da questa esperienza Guya ha deciso di scrivere un libro: “Guida del donatore” per illustrare l’iter che deve affrontare una persona che voglia donare un organo a un congiunto, un amico o anche un estraneo (donazione samaritana) e aiutare le persone a prendere una decisione informata e consapevole, che verrà poi seguita da personale competente, lo specialista curante e il team del centro trapianti di riferimento.

«Purtroppo le donazioni da viventi sono ancora poche in Italia», conferma la dottoressa Pamela Fiaschetti, referente del programma Trapianto di Rene da vivente del CNT (Centro Nazionale Trapianti). «Nel 2022 sono stati eseguiti 1703 trapianti di rene da persona deceduta e 334 da vivente. Un numero che, complessivamente è un po’ più alto rispetto all’anno precedente, ma ben lontano dal soddisfare le liste d’attesa che sono ad oggi di circa 6 mila richieste. Il 68% delle donazioni di rene da vivente viene dalle donne verso i mariti o i figli: in questi casi l’età del ricevente si aggira tra i 30 e 45 anni. Nei casi di donazioni da cadavere, l’età del ricevente si alza dai 45 ai 60 anni. La percentuale di sopravvivenza del ricevente è del 99% a 5 anni e 98% a dieci anni. La sicurezza dell’intervento è ormai consolidata da anni e i controlli periodici, sia del donatore che del ricevente, consentono di mantenere uno stato di salute ottimale di entrambi. Per incentivare queste donazioni e superare quelle ansie e timori che, a volte, possono sorgere nel donatore, stiamo promuovendo come Centro nazionale Trapianti, un programma d’informazione a partire dagli ospedali, dai centri preposti alla dialisi, per arrivare ai pazienti e alle loro famiglie, per incentivare una cultura della donazione».

«Da 50 anni promuoviamo la cultura del trapianto di rene da vivente, il cui iter è codificato dalle Linee guida del Centro Nazionale Trapianti», conferma il dottor Giuseppe Vanacore, presidente ANED (Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto). «Ad oggi però ancora 6 mila persone in Italia sono in attesa di un rene e la maggior parte di loro sono in dialisi. Penso che, considerando il difficile e faticoso percorso della dialisi, i familiari dei pazienti nefropatici si possano convincere facilmente che sia meglio donare un rene piuttosto che vedere le sofferenze del proprio congiunto. La motivazione psicologica e la gratificazione della donazione sono prioritarie in una scelta come questa. Oggi sta aumentando la sensibilità a questa problematica, soprattutto da parte dei congiunti dei malati, anche se in Italia le percentuali di donatori di rene sono intorno al 5,6%, rispetto al 15% dell’Inghilterra, al 20% dell’Olanda su un milione di abitanti».

Più diffusa è la donazione di rene da persona deceduta, anche se rimangono ancora le ansie e le paure da parte dei familiari. «Oggi, con le sofisticate tecnologie di rilevamento dell’attività cerebrale, questi timori non dovrebbero più sussistere», rassicura il dottor Vito Sparacino, nefrologo, membro del comitato scientifico di ANED. «L’accertamento della morte della persona viene dichiarato dopo la cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali, da un’apposita commissione composta da tre specialisti. Inoltre, prima del prelievo degli organi, se ne verifica l’idoneità, con esami emato-chimici, cardiaci, ecografia addominale, che consentono di documentarne la funzionalità ed escludere la presenza di eventuali infezioni quali HIV, HCV o patologie oncologiche. In questi casi, si avvisa comunque il ricevente di questi rischi. Se le patologie non sono gravi, si parla di rischi trascurabili; nei casi di malattia oncologica o infezioni il rischio è definito “accettabile”. È comunque un rischio inferiore a quello che si avrebbe senza trapianto».

Per fare un esempio, citato nella sua relazione dal professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, che tra le tante qualifiche è anche componente della Consulta Tecnica Permanente per i Trapianti, pensiamo al grande chirurgo Robert Montgomery, direttore della Divisione Trapianti della Johns Hopkins University School of Medicine, Maryland. È stato il primo ad aver introdotto il prelievo di rene da vivente attraverso una procedura laparoscopica e ad aver trapiantato a gennaio 2022 un rene di maiale, geneticamente modificato, in un uomo che è sopravvissuto un paio di mesi. Lo stesso Montgomery, affetto da una grave cardiopatia familiare che aveva stroncato già il padre e un fratello in giovane età, 4 anni fa, dopo un arresto cardiaco, ha subito un trapianto nientemeno che di cuore da un donatore giovane, morto di overdose, che aveva l’epatite C. “Di epatite sono guarito grazie ai farmaci, ma senza un cuore nuovo sarei morto”.

di Paola Trombetta

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