Vivere con una malattia rara è un problema grave per tutti. Ma quando si è donna le difficoltà aumentano, sia da malate, che da caregiver. Secondo una prima indagine realizzata da EngageMinds Hub dell’Università Cattolica di Milano, con la guida della professoressa Guendalina Graffigna, la percezione della propria immagine, la gestione della malattia, l’accesso alle cure, la fertilità, l’appartenenza a minoranze culturali e riuscire a conciliare il ruolo di lavoratrice con quello di caregiver, rappresentano le aree di maggiore difficoltà nella gestione delle patologie rare.
Per valutare l’impatto sociale, clinico, economico, psicologico di queste malattie nella popolazione femminile e ridurre le disuguaglianze di genere nasce “Women in rare”, il progetto di Alexion dedicato alla centralità della donna nell’universo delle malattie rare, presentato in occasione della Giornata della salute della donna (22 aprile). Un percorso mirato che si articola attraverso l’organizzazione di eventi istituzionali di sensibilizzazione, una campagna social per aumentare la consapevolezza sulle malattie rare e la stesura di un “libro bianco”, in collaborazione con EngageMinds Hub, UNIAMO, Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, ALTEMS e il comitato scientifico del progetto “Women in Rare”, in cui verranno evidenziati i principali bisogni insoddisfatti, sia dalla prospettiva del paziente, sia del caregiver. Secondo uno studio condotto da Eurordis e Orphanet nel 2021, in Italia le persone con malattia rara sono circa 2,2-3,5 milioni di individui. Il 70% delle patologie è ad insorgenza pediatrica: due su cinque sono bambini/ragazzi di meno di 18 anni.
«La presenza di una malattia rara ha un forte impatto sia sulla vita di chi ne è affetto sia su quella dei caregiver, che sono soprattutto donne e spesso devono affrontare sfide uniche e specifiche legate alla loro condizione di salute», spiega Guendalina Graffigna, Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Direttore del Centro di Ricerca EngageMinds HUB – Consumer, Food & Health Engagement Research Center. «Per le donne che soffrono di patologie rare, l’immagine corporea può diventare una fonte di preoccupazione e di depressione a causa degli effetti fisici che le loro condizioni possono determinare. La scarsa sensibilizzazione sulle malattie rare e la mancanza di conoscenza possono portare le donne a sperimentare lo stigma sociale e a sentirsi giudicate e discriminate. Le patologie rare presentano un impatto significativo sulla gestione della vita quotidiana. Il non sapere quando e quali sintomi si presenteranno non permette di organizzare la giornata, fare progetti e, più in generale, gestire gli impegni quotidiani e familiari. Riferiscono infatti di sentirsi sempre stanche, di non riuscire a fare la spesa, occuparsi della casa. Un ulteriore aspetto riguarda la fertilità: diverse analisi sottolineano difficoltà nell’elaborazione dei sentimenti legati all’infertilità associate a molte malattie rare. Un altro aspetto emerso dalla ricerca riguarda l’appartenenza a una minoranza culturale. Questa caratteristica costituisce un’ulteriore complessità di cui tenere conto perché, oltre alle iniquità legate al genere, la gestione della patologia rara può essere compromessa da vulnerabilità legate a stereotipi culturali, barriere linguistiche e differenti concezioni della salute», conclude la professoressa Graffigna.
Difficoltà che non riguardano solo il caso in cui il paziente è la donna, ma anche quando è lei ad occuparsi della gestione di un familiare malato: questo accade nel 70% dei casi. Il ruolo di caregiver per i figli con patologie rare può essere estremamente impegnativo e stressante, soprattutto per le madri che hanno un carico maggiore rispetto ai padri, con più responsabilità nella cura dei propri figli. Proprio la centralità della donna come caregiver rappresenta un’importante sfida a livello istituzionale.
«I percorsi di diagnosi, cura e sostegno dei malati e dei loro familiari dipendono in gran parte dalla Regione in cui si vive», commenta Annalisa Scopinaro, Presidente di UNIAMO (Federazione Italiana Malattie Rare). «Ecco perché occorre un maggiore raccordo sul territorio per cambiare la vita quotidiana delle persone con malattia rara, attraverso una miglior assistenza socio-sanitaria e domiciliare. Cambiamento che per il ruolo della donna, sia come caregiver sia come lavoratrice, deve passare da interventi strutturali che garantiscano il diritto di scelta. Il 30% delle donne con malattia rara è costretta a lasciare il lavoro. Per questo è necessario riconoscere facilitazioni, come part time e smart working, accompagnate da assistenza domiciliare che possa consentire di proseguire l’impegno lavorativo. Iniziative come “Women in Rare”, con il contributo delle associazioni che si occupano di malattie rare, vanno proprio in questa direzione».
«Come Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere siamo impegnate nella promozione di un approccio alla salute orientato al genere, con particolare attenzione a quello femminile», puntualizza Nicoletta Orthmann, coordinatrice medico-scientifica di Fondazione Onda. «Nel contesto delle malattie rare, oggi è più che mai necessario promuovere sia la ricerca sia interventi per garantire una maggiore equità nel trattamento di queste condizioni. Per farlo le associazioni di pazienti rivestono un ruolo cruciale nella comprensione delle esigenze dei malati e dei caregiver. È fondamentale aumentare la consapevolezza sulla centralità del ruolo della donna e sulla lotta alle discriminazioni che ancora oggi purtroppo viviamo».
di Paola Trombetta