«Perché ho scelto di essere volontaria di ARCA? È una domanda che potrebbe ricevere tante risposte: le circostanze, le esperienze vissute, le parole ascoltate, l’invito di qualcuno…di fatto l’ho scelto e, dopo un serio iter di formazione, il tirocinio e un colloquio preliminare con la psicologa dell’associazione, è iniziato il mio percorso. Entrare in reparto significa muovere passi verso qualcuno che sta percorrendo un tratto difficile del proprio itinerario di vita, faticoso fisicamente e psicologicamente: per questo è necessario entrare “in punta di piedi”. Arriviamo nelle camere con il sorriso, cerchiamo di percepire se chi le occupa gradisce la nostra presenza, rispettando i sentimenti che lì si stanno vivendo, accettando qualsiasi tipo di accoglienza. Incontriamo pazienti che ci chiedono aiuto per sistemare il cuscino, per prendere qualcosa dal comodino, per avvicinare il bicchiere alla bocca, per essere accompagnati a fare una passeggiatina nell’atrio o in giardino. Pazienti che raccontano spaccati della loro vita, che si commuovono ripensando a episodi del passato, pazienti preoccupati di non recare disturbo, o che desiderano stare soli, pazienti inquieti o confusi, arrabbiati o non più lucidi, pazienti che si pongono tanti perché, ma anche pazienti sereni, con la voglia di ridere o semplicemente capaci di accettare quello che stanno vivendo e, così facendo, ci danno lezioni di vita. Incontriamo familiari anch’essi con tanti perché, qualcuno con sensi di colpa, altri rassegnati o arrabbiati con il destino avverso, altri sopraffatti dal dolore… Cosa facciamo noi volontari? Ci facciamo semplicemente “prossimo”, siamo consapevoli di trovarci di fronte a una delle domande chiave della vita: “perché il dolore e la sofferenza?”. Nessuno ha parole per dare risposte e non è questo il nostro compito: noi possiamo solo ascoltare, condividere, tenere una mano, offrire la nostra disponibilità di fronte a semplici bisogni, possiamo cercare di fare spazio a momenti di serena normalità: spesso la sofferenza narrata, condivisa, trova un po’ di quiete e questo dà sollievo. Cosa ci portiamo dentro dopo il turno? Ognuno di noi porta qualcosa di ciò che ha incontrato: una parola, una frase, un volto, una lacrima, un sorriso e, a seconda della propria sensibilità, ripensa, riflette, prega… Ma la vita poi prosegue il suo iter quotidiano e ci si prepara per un nuovo turno in cui si ritroverà qualche paziente, qualche familiare o se ne incontreranno di nuovi: ogni ingresso in Hospice è sempre un’opportunità per dare senso e motivazioni al nostro essere volontari, certi che quanto ci è dato in questi momenti è certamente molto di più di quanto noi possiamo offrire».
Pinuccia Maspero è una delle 60 volontarie che fanno parte dell’Associazione ARCA- Volontari in Hospice ODV (https://www.associazionearcaodv.com/), che opera all’interno dell’Hospice di Giussano. L’Associazione ARCA per l’Assistenza, Ricerca e Cura degli Ammalati di forme croniche evolutive e irreversibili è sorta nel 1989 per iniziativa del professor Ilvano Desiderati, a sostegno del reparto di Terapia del Dolore attivo, tra i primissimi in Italia, presso l’ospedale di Desio, per assistere i malati terminali negli Hospice e a domicilio. ARCA è una delle 32 associazioni che operano in questo settore in Lombardia, affiliate alla Federazione Cure Palliative.
Per conoscere come opera questa associazione e cosa sono le cure palliative, in occasione della Giornata Nazionale del Sollievo (28 maggio), abbiamo intervistato la dottoressa Annamaria Colombo, responsabile per 10 anni del Servizio Cure Palliative domiciliari presso l’ASL di Lecco e per 7 anni direttore all’Hospice di Giussano e di Carate, dallo scorso anno Presidente di ARCA-Volontari in Hospice ODV.
Cos’è ARCA e quali obiettivi si propone?
«E’ un’Associazione di volontari che operano in ambito sanitario, fondata nel 1989 dal professor Ilvano Desiderati dell’Ospedale di Desio per sostenere la neonata Unità di Cure Palliative. Quando poi è stato aperto l’Hospice di Giussano nel 2007, i volontari sono stati accolti in questa struttura, dove attualmente vengono organizzati appositi corsi di formazione. Oggi abbiamo circa 60 volontari , su un totale di 87 soci. Per operare come volontari in Hospice è necessario frequentare un corso di 20 ore teoriche e 24 ore pratiche. Al termine del corso viene valutata dallo psicologo dell’Associazione mediante un colloquio la capacità di operare nell’Hospice, a contatto col malato e i suoi familiari. Sono poi previsti corsi di formazione continua di 20 ore all’anno. E’ facoltativa la partecipazione a corsi o congressi esterni sulle cure palliative. Solitamente a ciascun volontario viene assegnato un turno di due ore a settimana in reparto o a domicilio: l’impegno del volontario è encomiabile, ma emotivamente molto coinvolgente, motivo per cui le ore sono limitate. In più viene proposto un secondo turno settimanale come accoglienza per dare informazioni ai malati, ai familiari o alle persone interessate a diventare volontari».
Cosa s’intende per cure palliative e come sono nate?
«Sono cure dedicate a persone in fase avanzata di malattia: assistenza infermieristica, medica, ma anche fisioterapica, psicologica, spirituale; in pratica un accudimento globale del malato per alleviare le sue sofferenze, non solo fisiche, ma anche psicologiche, aiutandolo a superare le paure, i timori e “accompagnandolo”, non solo con supporti farmacologici, nell’ultima fase della malattia. La storia di queste cure nasce dall’esperienza di un’infermiera inglese, Cicely Saunders che, nel 1947 entrò come assistente sanitaria nel St.Thomas’s Hospital di Londra, dove, oltre alle cure mediche in senso stretto, intuì l’importanza di “accompagnare” il malato terminale per lenire le sue sofferenze, non solo fisiche, ma anche psicologiche. Iniziò così a delinearsi il progetto di creare strutture, denominate poi Hospice, in cui medici e infermieri si facessero carico anche dell’assistenza psicologica dei pazienti, malati terminali, anziani e malati cronici costretti a letto. La prima struttura di questo genere, il St. Christopher Hospice, nacque a Londra nel 1967. In Italia i primi Hospice nascono negli anni ’90 Le cure palliative all’interno degli Hospice sono regolate dalla Legge quadro nazionale n° 38 del 2010».
Queste cure possono essere praticate anche a domicilio?
«Le cure palliative vengono erogate soprattutto a domicilio poiché è il luogo dove la persona malata preferisce morire: la stessa legge sancisce che il malato ha diritto alla scelta del luogo di cura. A domicilio è garantita l’assistenza 24 ore su 24 da parte di medici e infermieri, ma anche il supporto psicologico, la presenza del fisioterapista, dell’operatore socio sanitario e dei volontari. Vengono inoltre consegnati i farmaci per la terapia palliativa e tutti i presidi ausiliari necessari al paziente. L’attivazione del servizio domiciliare può essere fatta direttamente dal familiare. Sul modello di presa in carico e rete, che è alla base delle cure palliative, si stanno creando anche le “Case di comunità”, che garantiscono una rete di assistenza medico-infermieristica per i malati cronici. A fronte di un prolungamento degli anni di vita, si registra però una peggioramento della qualità, a causa delle numerose patologie croniche legate alla vecchiaia. Si vive tanto, ma spesso con scarsa autonomia e salute precaria. E questi servizi a domicilio contribuiscono a migliorare la qualità di vita di tante persone».
di Paola Trombetta