La famiglia è “fulcro e pilastro”, sia quando la vita scorre nella normalità, sia e soprattutto quando è attraversata dalla malattia. Come nel caso dell’Epilessia in cui i caregivers, oltre 3 milioni in Italia, nella gran parte dei casi familiari, prevalentemente donne, diventano figure insostituibili e di supporto per chi convive con questa patologia. Eppure il ruolo del caregiver non è ancora riconosciuto e protetto da nessuna legge: lo ricorda LICE (Lega Italiana contro l’Epilessia), in occasione della Giornata Internazionale della Famiglia (15 Maggio). «La famiglia ha un ruolo fondamentale nella cura e nell’accudimento di un figlio o familiare con epilessia», dichiara Laura Tassi, Presidente LICE e neurologo presso la Chirurgia dell’Epilessia e del Parkinson dell’Ospedale Niguarda di Milano. «Nonostante il paziente abbia la possibilità, nella maggior parte dei casi, di condurre una vita normale, il contesto sociale in cui vive e si confronta è avvolto da pregiudizi: risulta così complesso e controproducente rivelare agli altri la propria malattia. Senza sottovalutare poi l’impatto che può avere un elevato carico assistenziale, a cui sono sottoposti i caregivers e lo stress che ne consegue, ripercuotendosi negativamente sulla loro salute e qualità di vita».
Un peso ancor più gravoso per la donna con epilessia che è, al tempo stesso, caregiver di sé stessa, dei propri cari. Sulla donna la malattia ha infatti, manifestazioni “di genere”, riconoscibili in una tipica età di esordio, nella diversa risposta ai farmaci, nei momenti delle crisi più frequenti nel periodo premestruale e in quello dell’ovulazione, influenzate dai recettori ormonali che possono modificare l’attività elettrica e facilitare la comparsa dell’evento. Le crisi epilettiche, sebbene irrompano nel vivere quotidiano in entrambi i sessi (scolastico, lavorativo e sociale), hanno un impatto maggiore nella vita delle donne, soprattutto a livello ormonale e riproduttivo in relazione a ciclo mestruale, utilizzo di contraccettivi, gravidanza e allattamento, e nella gestione di figli e famiglia. «La nostra difficoltà – prosegue Tassi – sta soprattutto nella scelta delle terapie al femminile, perché i farmaci possono modificare l’assetto ormonale e causare, per esempio, un ovaio policistico che contribuisce a ridurre la fertilità nel lungo termine».
L’approccio farmacologico è la prima strategia di trattamento dell’epilessia e prevede l’assunzione regolare e quotidiana di farmaci anticrisi che, con diversi meccanismi, stabilizzano le proprietà elettriche della membrana delle cellule nervose: la brusca interruzione del farmaco potrebbe causare l’insorgenza delle crisi. Alle difficoltà della malattia si sommano i pregiudizi sociali: «Le persone con epilessia – aggiunge Oriano Mecarelli, Past President LICE – subiscono discriminazioni a scuola, sul posto di lavoro e in molti altri contesti che penalizzano fortemente la qualità di vita di chi ne soffre. Inoltre, esistono evidenze secondo cui le donne con epilessia sono più soggette a violenza e discriminazione, e ad avere maggiori difficoltà a portare avanti rapporti affettivi stabili. In media, hanno anche un minor numero di figli».
Ma quali sono le maggiori paure delle donne affette da epilessia? Secondo le stime diffuse da LICE riguardano soprattutto gli aspetti riproduttivi: ciclo mestruale, che potrebbe essere soggetto a irregolarità, in relazione alla maggiore frequenza della sindrome dell’ovaio policistico; vita sessuale, in cui è possibile che i farmaci con effetto “sedativo” sul sistema nervoso centrale possano ridurre il desiderio; fertilità. Alcuni studi sembrano dimostrare che donne e uomini con epilessia diventano genitori meno frequentemente a causa di una lieve riduzione della fertilità, dovuta a un effetto diretto delle crisi o dei farmaci sugli ormoni riproduttivi, ma anche per fattori psicologici e sociali. Al contrario, alcuni contraccettivi combinati (estroprogestinici) possono interagire con i farmaci diminuendo l’efficacia contraccettiva, sia della pillola, ma anche di cerotto e anello vaginale. Alcuni farmaci antiepilettici possono causare malformazioni al feto: in alcuni casi ciò è possibile; pertanto è bene programmare la gravidanza e nei 3-4 mesi precedenti il concepimento, va assunto l’acido folico che è un neuroprotettore, scegliendo farmaci adeguati che non espongano a rischi aggiuntivi in gravidanza. È fondamentale pertanto rivolgersi al proprio specialista o a centri per l’Epilessia per programmare la gravidanza in tranquillità, anche per la gestione della terapia.
E con l’avanzare dell’età l’andamento delle crisi si può modificare? Gli effetti della menopausa e della gravidanza non sono sempre prevedibili: queste possono aumentare, ridursi o restare invariate, in relazioni a diverse variabili. Ad esempio, le donne che hanno sempre avuto una tendenza ad avere crisi nel periodo mestruale possono avere un aumento delle crisi nella fase che precede la menopausa, per poi sperimentare una riduzione dopo la menopausa. Va detto inoltre che non ci sono controindicazioni assolute alla terapia ormonale sostitutiva: tuttavia può associarsi a un peggioramento delle crisi in alcune circostanze e, soprattutto, con l’uso di alcune formulazioni ad alte dosi. Mentre per quanto riguarda l’osteoporosi, l’epilessia o i farmaci anticrisi possono aumentarne di 2-3 volte il rischio, per l’uso di alcuni farmaci. In tema di prevenzione, infine, le raccomandazioni sono quelle che valgono per tutta la popolazione: una dieta equilibrata ricca di calcio e vitamina D, il mantenimento del peso forma, una regolare attività fisica, possibilmente all’aria aperta, evitare alcool e fumo.
di Francesca Morelli
L’impegno della SIN (Società Italiana di Neurologia) in Africa
Il Global Action Plan dell’OMS invita Istituzioni ed Enti con autorità in materia ad occuparsi di epilessia anche in territori spesso a margine, come l’Africa: la risposta della SIN è arrivata con il Programma Epilessia-in-Africa. «Si tratta di un’azione concreta – dichiara Massimo Leone, Dirigente Medico presso l’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano – realizzata dall’Intersectoral Global Action Plan (IGAP) 2022-2031 on Epilepsy and other Neurological Disorders, per realizzare un modello EuroAfricano di cure neurologiche territoriali di eccellenza accessibili a tutti, in linea con le indicazioni IGAP-OMS». La SIN e il Gruppo di Studio SIN-Africa hanno sviluppato un innovativo programma di formazione realizzato in loco grazie alla rete di centri di cura del Programma DREAM (Disease Relief through Excellence and Advanced Means), attivo in Africa da oltre 20 anni. «Il personale medico e paramedico africano così formato – prosegue Leone – è in grado di dialogare con specialisti europei, inviando quesiti clinici di malati neurologici africani. Questo “ponte sanitario” si avvale di piattaforme di tele-neurologia (Global Health Telemedicine) che hanno consentito anche di installare tecnologie sofisticate come video EEG». La SIN sta portando l’eccellenza italiana dove erano assenti specialisti in neurologia con l’obiettivo di coniugare l’expertise europea e il territorio africano. Qui sono stati formati, in poco meno di 3 anni, oltre 100 clinici africani delle primary care e negli ultimi 2 anni eseguiti 1600 teleconsulti di neurologia che i clinici africani hanno inviato agli specialisti in Italia. Già oltre mille malati africani con epilessia hanno potuto ricevere una diagnosi corretta e una cura personalizzata. Un progetto di valore clinico e altamente umanitario se si considerache nell’Africa Subsahariana oggi si registra la più alta mortalità per epilessia, stroke e altre malattie neurologiche e, al contempo, il più basso numero di neurologi, 1 ogni 3 milioni di abitanti.
F.M.