Anche quest’anno, 14 maggio, è Festa della Mamma. Una ricorrenza celebrata in onore della figura della madre, della maternità (un concetto spesso stereotipato, deformato e frainteso) e che qualcuno vorrebbe persino cancellare dal calendario per non “discriminare”. Lo scenario delineato dai dati ci dice che i livelli di natalità sono ai minimi storici. Complici i fattori economici e sociali, le donne scelgono la maternità sempre più tardi (età media del primo figlio: 32,4 anni), in netto ritardo sul resto d’Europa e fanno sempre meno figli (il 20% delle donne tra i 40 e i 44 anni non ha figli), mentre 1,25 è il numero medio di figli per donna. il 42,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni con figli risulta non occupata. Laddove il lavoro sia stato conservato, molte volte si tratta di un contratto part-time (39,2% delle donne). Ne abbiamo parlato con Gaia Manzini, nata nel 1974, scrittrice, sposata con Giuseppe Antonelli, docente di Linguistica italiana presso l’Università degli Studi di Pavia, da cui ha avuto una figlia Maddalena che oggi ha 13 anni.
Ha ancora senso la Festa della Mamma? Viene da chiederselo in questo mondo, in cui ogni ruolo e figura sono messi in discussione…
«È indubbio che alcune feste siano diventate soprattutto la fiera del consumismo, occasione per vendere fiori e cioccolatini. Forse è anche questo, ma alla fine dipende tutto da come la vivi. Amo una Festa della Mamma senza giudizi di valore, come un modo per celebrare l’affetto e la vita. Non come l’ennesima occasione per ricordare alle donne come rivestire tale ruolo, in modo rigido e stereotipato. Ci sono tanti modi per essere madri, tutti ugualmente validi, con uguale dignità. Ciascuna è madre a modo suo: è questo, secondo me, il segno di un cambiamento epocale. Per riuscirci, bisogna imparare ad ascoltarsi, per cogliere il proprio modo di vivere la maternità in maniera unica e personale. E non avere timore né di ispirarsi alla propria madre, né tanto meno, per spirito di opposizione, fare esattamente il contrario di tutto ciò che ha fatto lei. Ha ancora senso festeggiare la mamma, proprio perché rischiamo di smarrire il significato di questa parola e anche dell’altra necessariamente collegata, cioè del papà. Credo moltissimo nella figura paterna. Mio padre ha avuto un ruolo decisivo nella mia maturazione emotiva e ho al mio fianco un uomo che è anche un padre attento e partecipe».
Come vivi questa ricorrenza?
«Personalmente mi emoziono sempre. La festeggiamo sempre: mio marito Giuseppe e mia figlia Maddalena sono davvero molto carini, mi regalano dei fiori o mi portano un dolcetto. Credo nella festa della mamma quando mia figlia mi fa un sorriso, mi abbraccia. E poi ogni volta che supera una prova per sé, ogni conquista della sua vita, è un regalo anche per me».
Ti ricordi il primo regalo di Maddalena?
«Un grande cuore di lana cotta, con una coccinella rossa; l’aveva fatto all’ asilo nido, orgogliosamente. Lo conservo ancora in una scatola insieme a tanti altri disegni che si sono aggiunti nel tempo».
Hai pubblicato un libro autobiografico Mamma in pappa (Laterza Editore) in cui hai raccontato il periodo dello svezzamento di tua figlia Maddalena, soprannominata Mangiacarote…
«Sentivo l’urgenza di registrare i cambiamenti che erano avvenuti nella mia vita, tra senso di inadeguatezza, nostalgia per la vita di prima, stanchezza, fatica nel calarsi pienamente nel ruolo materno, quando l’amica senza figli ti invita fuori per un aperitivo e ti ritrovi con la patatina in mano al primo sorso di cocktail e vorresti tornare a casa per la stanchezza. Ma c’è anche l’orgoglio, lo stupore per le acquisizioni della crescita, la bellezza del vedere strutturasi un piccolo essere umano e, contemporaneamente, di una nuova coscienza di genitore. Una guida delle mille sfide quotidiane da affrontare, con ironia. Maddalena, che ha 13 anni, l’ha letto per la prima volta quest’ anno e si è divertita molto, perché in effetti era una bimba molto buffa.. E’ stata molto felice perché si è sentita protagonista, ma non ricorda quasi nulla di quello che ho raccontato».
Uscito nel 2021, per Bompiani il tuo libro Nessuna parola dice di noi racconta invece la storia di Ada schiacciata da una maternità non voluta e il suo percorso di crescita, per trovare una strada autonoma e adulta, e conquistare una maternità consapevole.
«La maternità non è così naturale come si pensa, lo è la procreazione. A volte il corpo è pronto ad accogliere la vita, ma la mente non ancora, come accade alla protagonista del mio romanzo: deve compiere un doppio e faticoso percorso, diventare donna e madre. Per Ada la maternità è arrivata troppo presto, a 17 anni in modo traumatico. È andata in America per un anno scolastico ed è tornata incinta. E ora che ne ha ventisei, ha cominciato a lavorare e ha conosciuto Alessio, ma non dice mai di questa figlia che vive al lago con i nonni, nega la sua esistenza. Ada non riesce ad essere mamma di Claudia, vuole riprendersi la giovinezza. Complicato anche il rapporto con la madre, molto severa, dal cui desiderio di approvazione non è mai riuscita a separarsi».
Cosa ha significato per te diventare madre?
«Essere madre è una marea: dopo 13 anni anni, ho ancora l’impressione di nuotare tra flussi e riflussi, in mezzo ai temporali. E mi rivedo bambina anch’io, con la mia aria impacciata. A volte però è un modo per guardare me stessa a distanza, ridimensionandomi di continuo. Poi c’è il futuro, qualcosa a cui ho sempre pensato con pudore. E io, che riuscivo a programmare solo nel breve tempo, mi scopro con lo sguardo sognante verso mia figlia: la vedo viaggiare per tutto il mondo, la vedo medico in Africa…».
Cosa hai scoperto di te con la maternità?
«Ho scoperto delle paure che non credevo di avere. In gioventù ho girato il mondo in modo anche sconsiderato e ora vedo pericoli ovunque quando la lascio andare in giro da sola. Con Maddalena ho riscoperto un linguaggio fisico molto forte. Gli abbracci, i baci, i sorrisi, sono il nostro punto di partenza. Dal mio punto di vista, tutta la grammatica dell’amore si fa senza le parole pensate, ma con i gesti, che sono poi le cose che i figli apprezzano di più».
Quanto ti senti diversa da tua mamma e in che cosa invece le assomigli?
«Con Maddalena cerco di non esercitare troppo il controllo, anche perché non vedo cose che mi possano inquietare. Mia madre, molto apprensiva, voleva sapere tutto. Mamma vive in me invece quando mi lamento con Maddalena del disordine della sua stanza o quando lascia in giro le sue felpe. Strano: sono stata disordinatissima tutta una vita: invece adesso mi scopro molto ordinata. Mia madre invece con Maddalena è più elastica e tollerante e mi richiama alla pazienza».
Cosa ti auguri per tua figlia?
«Le auguro di potere scegliere consapevolmente il suo percorso esistenziale e di rimanere fedele ai propri sogni e alle proprie aspettative».
di Cristina Tirinzoni