C’è come un sentimento nuovo che mi rincorre e si propone in questa casa, in questa storia, in questo giorno senza nome. Come un entusiasmo antico. Mentre in mezzo a questa piazza sto ridendo a ripensarmi una bellissima ragazza. Al Teatro Franco Parenti, gremito dalle 90 enni alle adolescenti, irrompe nell’aria la magia della sua voce inconfondibile (su disco) che canta Una bellissima ragazza (è anche il titolo della autobiografia scritta con Giancarlo Dotto). E la vediamo davanti a noi la bellissima “ragazza dentro”, quella donna di 88 anni, elegante in abito azzurro, stivaletti neri in stile belle epoque e calze a rete, mentre scherza e ride, la grande Ornella Vanoni, la signora della canzone italiana. Un’artista che domina ancora il palco, regalando emozioni come all’inizio della sua lunga carriera. Coraggiosa, sempre pronta a rimettersi in gioco, che sia un nuovo disco, una collaborazione con qualche collega, una partecipazione in tv, un tour, un film. Una donna libera nel seguire ciò che le ispira il cuore e nel dire quello che le suggerisce la mente. Nell’ambito della rassegna culturale La Grande Età, per raccontare un nuovo approccio alla longevità che ci regala Andrée Ruth Shammah, fondatrice, direttore artistico e anima instancabile del Teatro Parenti, nel cinquantenario, con la partnership della Fondazione Ravasi Garzanti, Ornella Vanoni ha spiegato (in dialogo con Daria Bignardi) al pubblico la sua “teoria” sull’invecchiamento. E chi, se non lei, poteva parlarne? Chi non vorrebbe invecchiare così? Quale donna non sogna di arrivare a fregarsene di tutto, apparenze e conformismi? Tra racconti e riflessioni, in uno scambio continuo con il pubblico, con l’intelligenza intinta di ironia tagliente anche verso se stessa . Fin dalle prima battute “Perché la vecchiaia senza ironia, leggerezza e un po’ di cretineria è una cosa da spararsi”. E rivolta alla Bignardi: “Forzaaaa con le domande!”
La paura della morte. «Non penso mai alla morte: so che mi toccherà, non so quando, ma escludo di arrivare ai 109 anni di mia zia. Non si può campare oltre i novanta, novantacinque, non è decente. Finché sono viva, vivo facendo ancora cose che mi piacciono. So di essere fortunata. Per me stare sul palco è un’emozione grandissima. Non ho perso la voce e posso ancora cantare: la cosa un po’ mi terrorizza ma sto bene. Si va avanti finché si può… Certo, ho bisogno di riposare, perché sul palco mi afatico molto. Quello che diventa pesante a una certa età sono i viaggi e i cambi di albergo. E se la voglia di esibirmi è sempre tanta, ogni tanto il corpo ti dice “basta”. Quando il tempo davanti a te diventa breve, accende una curiosità incontenibile. Continuo a guardare avanti e vedo ancora tante cosa da fare, persone da amare, canzoni da cantare, progetti da fare e da disfare. Personaggi ed autori diversi e nuovi con cui collaborare. La vita conserva un valore finché si dà valore a quella degli altri, attraverso l’amore, l’amicizia, l’indignazione, la compassione, finché si riesce a mantenere viva una sensibilità per gli altri. Sono rinata tante volte. Dopo le grandi depressioni che non sono mancate, invece di andare a pezzi, ne sono uscita con un’idea per un disco o uno spettacolo».
L’età che avanza. «A 88 ci sono arrivata: non avevo mai neanche pensato di arrivare a questo traguardo. Ne compirò 89 anni il 22 settembre. Dovrei morire di paura tutti i giorni se ci pensassi. Sì, sono stupefatta dei miei anni e li dichiaro. Chi mente sull’età, mente a se stessa, si racconta delle bugie. L’età anagrafica ha solo un valore burocratico. Non è bello, non è piacevole, ma non è così drammatico veder passare gli anni. Non sono più come prima, ma per fortuna me la cavo ancora bene. Mi sono liberata da tanti tabù e paure. Da giovane non avrei mai pensato di essere così forte, ero semmai coraggiosa. Sono molto più felice ora rispetto a quando ero giovane. Sì, sono serena, piena di gioia. Non ho mai avuto così tanta voglia di fare felice la gente e me stessa. Mi diverto e cerco di far divertire gli altri. È venuta fuori la mia autoironia che ho sempre avuto, ma la timidezza e l’insicurezza cronica non mi permetteva di esserlo. Se incontravo qualcuno che conoscevo mi nascondevo. L’ansia, le gioie, i dolori, gli amori, gli eccessi. Non riuscivo a dormire. Anche cambiare uomini, il figlio che non vedevo perché mi facevano lavorare tanto, non potevo stargli dietro. Pregavo prima di ogni spettacolo che venissero le cavallette, un alluvione…. Invecchiando mi sono detta basta: mi sono aperta e mi sono lasciata andare. Oggi dormo benissimo. La vecchiaia è arrendersi alla leggerezza. E leggerezza è capire che l’amore è tutto quello che conta, anche per me. Perché ora mi voglio più bene. Ritengo che invecchiare sia bello se tiri fuori quel lato che hai sempre tenuto nascosto, cioè quello infantile. Il lato infantile ti sorregge, ti fa ridere: si è anche più liberi, si ha la possibilità di essere davvero se stessi. Credo che proteggere la parte infantile, che è sempre in noi, ci possa allungare la vita e la gioia. Come se la parte bambina che ho in me saltasse fuori e si mettesse a guardarmi riflettendo che “In fondo questa qui così fragile è arrivata quasi al secolo di vita perché io sono sempre stata con lei”» .
Proibito invecchiare. «Invecchiare è una colpa che qui da noi non ti perdonano, soprattutto se sei una donna. Il giovanilismo, questo nuovo comandamento di cui l’Italia è prigioniera, rischia di impestare le intelligenze. Un pensiero povero e riduttivo che ci vorrebbe tutti eternamente belli, sani e giovani. Secondo il quale chi non appartiene a quelle categorie viene escluso, scartato, diffidato. La scienza si sta preoccupando di allungare la vita. Ha preparato per noi questo regalo, questo tempo supplementare. E chi se ne frega di aggiungere anni alla vita, fatemi vivere bene: finche vivo bisogna fare in modo che siano anni interessanti, per vivere una vita piena, protetta e dignitosa. Perché troppi vecchi vivono sotto la soglia della decenza esistenziale. Lidia Ravera nel suo ultimo libro parla di Age pride l’orgooglio dell’età. Perché della vecchiaia non c’è da vergognarsi. Una donna cerca spesso di nascondersi gli anni. Perché la donna che eri non c’è più e diventi invisibile ai maschi. Se li porti bene, gli anni, puoi esserne fiera. Ma penso che l’orgoglio ti viene se hai fatto qualcosa di cui sei orgogliosa. Da qualche anno la casistica dei miei mali si è arricchita di un fastidio terrificante, conseguenza di una rinite allergica al naso cronica. L’anno scorso mi hanno messo un pace maker. E ho da poco superato un intervento al femore dopo una caduta a causa di una buca mentre tornavo a casa. Sono caduta e mi sono spaccata il femore. In ospedale hanno sbagliato a interpretare la lastra: sono stata dieci giorni con dolori lancinanti, poi finalmente mi hanno operata. In tutto questo, nel dolore, avevo un’angoscia terribile perché dovevo fare un tour, cinque musiciste straordinarie da portare in scena, una jazz band al femminile».
I ricordi dei suoi genitori. «Ho provato dolore nel vederli invecchiare non proprio bene. Mamma con l’ Alzheimer, mio padre con il Parkinson, io che facevo la spola fra Milano e Rapallo tre volte la settimana. Io, figlia, facevo loro da mamma, li aiutavo e sostenevo. Fu allora che appresi per la prima volta gli orrori della decadenza, la memoria che perde colpi, i ricordi di una vita che si cancellano come una lavagna, fino a non riconoscere più tua figlia. E stato molto difficile. Alla fine ho trovato un posto per mia mamma dai Padri Camilliani a Capriate e ho trovato anche una signora che la coccolava nel pomeriggio. Andavo li spesso: a volte mi faceva un sorriso e a volte no e piano piano se ne è andata. Era molto vanitosa: sosteneva che la donna in vecchiaia deve vestirsi di rosa. Le ho messo un caftano rosa quando è morta e tutta la bara era rivestita di boccioli rosa. Papà un giorno cadde: toccò a me decidere se operarlo o no all’ anca fratturata. Decisi di farlo operare, peggiorando la situazione e procurandogli inutili sofferenze: trovo sia orrendo accanirsi per tenere in vita le persone, quando mancano le condizioni per farlo con dignità».
L’amore e la sessualità. «Ho amato, sono stata amata, ho sofferto. Ti ributti e sei felice per un po’, ma chiudiamola lì col passato. Bisogna vivere il presente. Sono stanca di parlare di Giorgio Strehler, del Piccolo Teatro, come sta Gino. Preferisco parlare dei miei nipoti, Camilla e Matteo che adoro: sono felice che ci siano nella mia vita. Per fortuna la sessualità negli anziani oggi non è più un tabù. Guai se smetti di fare l’amore anche dopo gli 80. Però lo trovo un po’ grottesco. Eppure conosco donne che non vogliono rinunciare. Ho chiuso con il sesso a 62 anni, dopo che sono rimasta terribilmente delusa da un uomo. Colpa mia: dovevo capirlo subito che era un uomo sbagliato. Ho confuso la durezza con la forza, ma non voglio neanche nominarlo. Se smetti di fare sesso, non lo fai più. La tenerezza e gli abbracci invece mi mancano moltissimo. Ma queste sono cose difficili da ricevere dagli uomini. Vivo sola da tanti anni, con Ondina, il mio cane: siamo due ragazzine sole. Imparare a stare soli è fondamentale: l’ho imparato tardi, ma ora ci sto bene. Però mi mancano le tenerezze…».
Ornella si accomiata canticchiando: “Ci vuole passione. Molta pazienza. Sciroppo di lampone. E un filo di incoscienza”. Nella vita ci vuole passione, molta pazienza e un altro po’ di ingredienti che mi paiono perfetti perché la vita sia bella, bellissima, travolgente. Per trovare a qualsiasi età il sorriso dentro al pianto, perché Ornella vuole vivere e cantare e dopotutto, domani è un altro giorno….
di Cristina Tirinzoni