500mila sono le persone che convivono in Italia con un tumore del sangue e 30mila le nuove diagnosi: grazie alla ricerca i pazienti hanno oggi maggiori probabilità di guarire o di convivere per anni con la malattia, mantenendo una buona qualità di vita. Sostenere i pazienti e rendere disponibili terapie sempre più efficaci sono obiettivi che possono essere raggiunti anche grazie alla costante collaborazione tra AIL, Società Scientifiche ed Enti che operano in ambito ematologico.
In occasione della Giornata Nazionale per la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma promossa dall’AIL (21 giugno) si è fatto il punto sui progressi ottenuti, con un convegno a Roma dal titolo: “Il valore dell’innovazione e della ricerca in ematologia. L’impegno di AIL”.
«Da oltre 50 anni AIL è al fianco dei pazienti ematologici e delle loro famiglie, per sostenere la ricerca scientifica e favorire il progresso della conoscenza nel campo dei tumori del sangue», ha puntualizzzato Giuseppe Toro, Presidente Nazionale AIL. «Grazie alla ricerca le terapie sono diventate sempre più efficaci e ne arriveranno certamente di nuove, capaci di offrire una qualità di vita ancora migliore ai pazienti. Siamo molto orgogliosi che quest’anno AIL abbia messo a disposizione un finanziamento di 150 mila euro per sostenere nuovi progetti di Ricerca indipendente. Oggi sono 83 le Sezioni AIL in Italia con oltre 15 mila volontari. Tra i progetti, c’è il potenziamento del sostegno psicologico rivolto a pazienti, famiglie e caregiver in tutta Italia. La salute mentale del paziente e della famiglia sono fondamentali per garantire l’adesione alle cure e superare il senso di solitudine e isolamento che spesso vivono malati e caregiver. Fondamentale è la figura dello psico-oncologo, che affianca il paziente e la famiglia, offrendo ascolto, comprensione e supporto: sono presenti in corsia, negli ambulatori, nelle case alloggio AIL e fanno parte delle equipe di assistenza domiciliare. Dal 2020 AIL offre un servizio di consulenza psicologica telefonica ogni mercoledì».
In occasione della Giornata Nazionale sono stati assegnati cinque premi del valore complessivo di 150 mila euro a Società scientifiche ed Enti per contribuire alla realizzazione di progetti di ricerca, precisamente alla Società Italiana di Ematologia SIE, Società Italiana Ematologia Sperimentale SIES, al Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo GITMO, alla Fondazione Italiana Linfomi FIL –ETS, all’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica AIEOP .
Il punto sulle terapie
«Il bilancio di questi anni con le terapie Car-T è estremamente positivo: sono rivolte a quei pazienti che hanno esaurito tutte le opzioni terapeutiche convenzionali, incluso il trapianto», spiega Paolo Corradini, Presidente SIE (Società Italiana di Ematologia) e Direttore della Divisione di Ematologia, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, Università degli Studi di Milano. «Oltre ai risultati dell’esperienza internazionale disponiamo dei dati relativi a circa 600 malati trattati in Italia. Dei pazienti con linfoma non-Hodgkin il 40% ha una remissione di lunga durata e nei pazienti con leucemia linfoblastica acuta nel bambino e nel giovane adulto il 50% ha ottenuto un beneficio duraturo. Il nostro è stato il primo centro italiano autorizzato alla somministrazione delle Car-T e abbiamo un follow-up di oltre tre anni: i pazienti non assumono alcun farmaco e stanno bene. Inoltre, a confermare i dati abbiamo anche quelli dei pazienti arruolati negli studi registrativi che hanno un follow-up di oltre cinque anni. Le Car-T sono più di una terapia, sono un salvavita. Infatti, oggi, in una quota di pazienti, in cui prima non c’erano opzioni terapeutiche, portano alla guarigione». Importanti risultati nella cura dei linfomi arrivano dall’immunoterapia. «È una strategia biologica che utilizza alcune parti del sistema immunitario dei pazienti, per combattere malattie, come il cancro e altre condizioni patologiche», spiega Andrés J. M. Ferreri, Presidente FIL (Fondazione Italiana Linfomi) e responsabile dell’Unità Linfomi presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Lo scopo è potenziare la loro attività contro i linfomi e ottenere un’efficacia più specifica e non gravata dalla tossicità della chemioterapia. I vantaggi per i pazienti sono un minor profilo di tossicità con una migliore tolleranza e un effetto antitumorale maggiore, a più lungo termine».
Incoraggianti prospettive terapeutiche anche sulle neoplasie mieloproliferative croniche, patologie tumorali associate ad alterazioni specifiche del DNA con alcune mutazioni ricorrenti.
«Fino a pochi anni fa venivano considerate malattie rare», spiega Alessandro Maria Vannucchi, Presidente SIES e Professore Ordinario di Ematologia, Università degli Studi di Firenze, Direttore SODc di Ematologia “Careggi”, Centro Ricerca e Innovazione Malattie Mieloproliferative. «Grazie al miglioramento delle capacità diagnostiche, soprattutto negli ultimi 10-15 anni, è aumentato il numero delle diagnosi e soprattutto vengono fatte a persone più giovani. La comprensione del meccanismo molecolare di queste malattie, l’identificazione dei tre geni mutati e aver capito che tutte le mutazioni attivano una serie di proteine delle cellule che alterano a cascata sistemi intracellulari, ha permesso lo sviluppo di un gruppo di farmaci mirati, denominati JAK Inibitori».
Da oltre 40 anni la Fondazione GIMEMA, Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell’Adulto, promuove e sostiene la ricerca clinica indipendente sui tumori ematologici con l’obiettivo di individuare percorsi terapeutici e diagnostici per riuscire a curare e in molti casi guarire i pazienti.
«I progetti in cui GIMEMA ha ottenuto risultati importanti riguardano la leucemia mieloide e la leucemia linfatica cronica, dove grazie alla possibilità di utilizzare farmaci mirati che agiscono sul meccanismo che causa la malattia, oppure andando a colpire selettivamente le cellule malate, si sono fatti grandi progressi», aggiunge Marco Vignetti, Presidente Fondazione GIMEMA Franco Mandelli e Vicepresidente Nazionale AIL. «Per la leucemia mieloide cronica, in alcuni casi, l’aspettativa di vita è paragonabile a quella della popolazione normale sana. Per quanto riguarda la leucemia linfatica cronica sono ora disponibili nuovi farmaci che dimostrano di essere promettenti nell’ottenere buoni risultati nella cronicizzazione della malattia».
Tumori del sangue pediatrici
In pediatria i tumori ematologici più frequenti sono le leucemie acute, linfoidi e mieloidi, i linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin. In Italia, i bambini colpiti nella fascia 0-14 anni sono circa 1.400 all’anno a cui si aggiungono circa 900 casi nella fascia 15-19 anni.
«I risultati clinici migliori si riscontrano nei linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin», spiega Arcangelo Prete, Presidente AIEOP e Direttore SSD Oncoematologia Pediatrica IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico S. Orsola Malpighi. «Per i linfomi di Hodgkin arriviamo a percentuali di guarigione che superano il 90% e per alcuni si avvicinano al 100%, soprattutto per i linfomi di Hodgkin stadio 1, la cui possibilità di guarigione raggiunge il 98%. Seguono le leucemie linfoidi, la cui percentuale di guarigione supera ormai l’80%. I maggiori risultati si ottengono con l’immunoterapia sia liquida sia cellulare, grazie a nuove molecole target verso antigeni di superficie della cellula neoplastica, e con l’immunoterapia cellulare, le Car–T cells».
Le maggiori novità nell’ambito dei trapianti sono le terapie cellulari (Car-T) che stanno cambiando l’armamentario terapeutico degli specialisti, soprattutto dei linfomi non Hodgkin, più aggressivi. «Le Car- T sono un’opportunità incredibile per quei pazienti che hanno visto fallire tutte le linee di trattamento, trapianto incluso», conferma Massimo Martino, Presidente GITMO e Direttore UOC Centro Trapianti Midollo Osseo, Dipartimento Oncoematologico e Radioterapico, Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio Calabria. «Il percorso di cura non comprende esclusivamente il momento della somministrazione della terapia cellulare e la gestione delle tossicità acute, ma una serie di aspetti quali la selezione dei pazienti eleggibili, la terapia “ponte” in attesa del ricovero, la gestione delle tossicità tardive. Un percorso multidisciplinare dove tutte le figure professionali sono determinanti e devono essere formate, per offrire al meglio questa cura molto costosa ai pazienti che se ne possono giovare».
di Paola Trombetta
Leucemia Mieloide Acuta: è disponibile in Italia un farmaco orale
Sono circa 3600, in Italia, le persone colpite ogni anno dalla leucemia mieloide acuta, un tumore del sangue che presenta la più alta incidenza negli over 65. È una patologia ematologica particolarmente aggressiva: la sopravvivenza a 5 anni oscilla fra il 20% e il 40-45%. Le risposte alla chemioterapia intensiva possono essere di breve durata e il rischio di recidiva è alto, specialmente per le persone non idonee al trapianto di cellule staminali. Oggi cambia lo standard di cura, grazie a un nuovo farmaco, azacitidina orale, in grado di migliorare la sopravvivenza riducendo la probabilità di recidiva. Da poco approvato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) come terapia di mantenimento in pazienti che abbiano conseguito una remissione completa o con recupero incompleto dell’emocromo, dopo terapia d’induzione associata o meno a trattamento di consolidamento e che non siano candidabili al trapianto di cellule staminali.
«I sintomi dipendono dalla progressiva infiltrazione delle cellule leucemiche nel midollo osseo, che perde la capacità di esercitare le sue funzioni e di produrre le cellule del sangue», spiega Adriano Venditti, Direttore dell’Ematologia all’Università di Roma Tor Vergata. «Si realizza una condizione di insufficienza midollare che comporta anemia, stanchezza e pallore. Diminuisce il numero delle piastrine, con tendenza alle emorragie. Inoltre, si verifica una riduzione dei globuli bianchi che determina una maggiore probabilità di sviluppare infezioni, proprio perché vengono meno le difese costituite dai globuli bianchi. Le alterazioni dei valori dell’emocromo portano alla diagnosi, che passa anche attraverso il prelievo di midollo osseo».
Azacitidina è la prima ed unica terapia orale di mantenimento che ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza globale, con un beneficio di sopravvivenza libera da recidiva nei pazienti con leucemia mieloide acuta. «Il farmaco rientra nella classe degli “ipometilanti”, perché riduce la metilazione del DNA: in questo modo viene ripristinata la normale funzione dei geni fondamentali nella differenziazione e nella proliferazione cellulare compromesse dalla malattia», spiega Fabrizio Pane, Professore Ordinario di Ematologia e Direttore dell’Unità Operativa di Ematologia e Trapianti di Midollo all’Università Federico II di Napoli. «Nello studio internazionale QUAZAR AML-001, pubblicato sul “New England Journal of Medicine”, e presentato al Congresso ASCO di Chicago, che ha arruolato 472 pazienti, la sopravvivenza globale media era superiore a due anni (24,7 mesi) nei pazienti trattati con azacitidina orale rispetto a 14,8 mesi con placebo». «La disponibilità di terapie innovative come azacitidina orale riapre il “capitolo” della terapia di mantenimento che coinvolge anche le persone più giovani, per le quali magari non funziona la chemioterapia standard o il trapianto di cellule staminali, garantendo una migliore qualità di vita, per i minori effetti collaterali e la comodità di assunzione orale», conclude il professor Venditti. P.T.