«Sono mamma di un ragazzo con diabete che ora ha 22 anni. Il diabete di tipo 1 è stato diagnosticato all’età di due anni e mezzo al Pronto Soccorso, dove ho portato mio figlio perché temevo avesse i sintomi della patologia diabetica, in quanto continuava a bere e urinava in modo eccessivo. Ci hanno indirizzato subito al diabetologo: la diagnosi venne confermata in poche ore. Sono poi seguiti nel corso della vita altri episodi, con crisi ipoglicemiche, o livelli elevati di glicemia nel sangue (300-400 mg/dl), che hanno reso necessario il ricorso al Pronto Soccorso». Così Lina Delle Monache, oggi Presidente di Federdiabete Lazio, che comprende 11 associazioni sul territorio, ha voluto raccontare il suo vissuto della malattia del figlio. Un esempio, ma soprattutto un incoraggiamento a tante mamme che si trovano nelle sue stesse condizioni. «All’inizio la prima sensazione è stata la paura di non riuscire a gestire la terapia, il timore che la malattia potesse condizionare la sua vita sociale e professionale. Ho sempre cercato di inculcare a mio figlio che, nonostante il diabete, avrebbe potuto condurre una vita normale. Purtroppo sono accaduti alcuni episodi che hanno deluso le sue aspettative, sia in ambito affettivo che professionale. Mio figlio, avendo avuto un padre poliziotto che purtroppo è mancato, avrebbe voluto seguirne le orme. Ma l’attuale legislazione non lo permette: una persona con diabete di tipo 1 non può accedere ai concorsi per diventare poliziotto. E neppure potrebbe pilotare un aereo. E questa è stata una grande delusione per mio figlio! Ho saputo che in Spagna le associazioni di pazienti diabetici stanno lavorando per eliminare questi divieti. Anch’io mi sono riproposta di fare qualcosa e sto cercando di coinvolgere l’Intergruppo parlamentare che si occupa del diabete, che ringrazio personalmente per l’impegno assunto nel migliorare la qualità di vita di queste persone. Non voglio che altre mamme debbano soffrire perché i propri figli con diabete subiscano limitazioni in alcuni ambiti professionali. Come associazione, insieme a tante altre volontarie, cerchiamo di incoraggiare le donne, soprattutto le mamme di bambini con diabete, ma anche quelle che assistono mariti o genitori diabetici, ad aiutare i propri cari ad “accettare” questa malattia e farsi assistere dai Centri di Diabetologia specializzati, che prendono in cura il paziente, risolvendo eventuali complicanze. Solo per problemi gravi, si ricorre oggi al Pronto Soccorso. Tra questi la chetoacidosi, una complicanza che rischia di portare al coma o compromettere addirittura la vita. Oppure l’iperglicemia, soprattutto in un adulto scompensato. Per migliorare e velocizzare l’accesso del paziente diabetico, con la nostra Associazione Federdiabete Lazio, stiamo cercando di promuovere un percorso alternativo, il “Fast-Track”, che rappresenta un modello specifico di triage. La persona viene presa in carico dal diabetologo dell’Ospedale o inviata al Centro di Diabetologia e inserita in un preciso percorso diagnostico-terapeutico che consente il monitoraggio a domicilio, grazie anche all’utilizzo della Telemedicina. La nostra proposta però non si ferma qui. Prevede anche la realizzazione di un vero e proprio “board” per realizzare delle Linee guida che vengano poi adottate in tutti i Pronto Soccorsi d’Italia. Abbiamo lavorato a fianco di illustri clinici, con un grande background nel campo dell’emergenza. Non dimentichiamo che il paziente diabetico è un soggetto complesso, con esigenze particolari, che richiede un approccio appropriato e deve seguire protocolli e, soprattutto, far riferimento a precise Linee guida che purtroppo ancora mancano in molti centri, come non esiste un network tra pronto soccorso e territorio per garantire la necessaria continuità assistenziale».
Realizzare un network efficiente tra territorio, rete di assistenza e paziente diabetico, con l’obiettivo di prevenire le complicanze croniche dei malati, migliorando lo stato di salute, riducendo i costi in capo al Servizio Sanitario Nazionale e liberando le strutture di Pronto Soccorso dai casi non urgenti ed evitabili. Sono le raccomandazioni che emergono da uno studio realizzato da Bhave su oltre 100 strutture ospedaliere in Italia e su circa 300 mila accessi in Pronto Soccorso, i cui risultati sono stati presentati in Senato in un incontro dal titolo “Diabete in pronto soccorso: e dopo?” in cui politici, clinici e pazienti hanno fatto il punto sul follow up di coloro che accedono a queste strutture in situazioni di emergenza.
In Italia il 4,7% della popolazione adulta tra i 18 e i 69 anni riferisce di una diagnosi di diabete. La prevalenza del diabete cresce con l’età (è inferiore al 3% nelle persone con meno di 50 anni e supera il 9% tra quelle di 50-69 anni), è più frequente negli uomini che nelle donne (5,3% verso 4,1%), ed è più diffuso nelle fasce di popolazione più svantaggiate per istruzione o condizioni economiche.
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, si stima che almeno un diabetico su sei venga ricoverato in ospedale una volta all’anno, un tasso doppio rispetto alla popolazione normale (235 ogni mille persone contro 99). Inoltre, questi pazienti rimangono in ospedale in media una giornata e mezza in più rispetto agli altri, con un evidente aggravio di costi per il SSN. Se la spesa attribuibile al diabete nel Sistema Sanitario Nazionale è di circa 10 miliardi di euro, la quota più importante della spesa (50-70%) è legata proprio ai ricoveri ospedalieri e alle complicanze. Da qui l’importanza di un approccio efficace, che cerchi di portare il sistema sanitario da un concetto di sanità d’attesa, e quindi di cura della malattia, a un concetto di sanità di iniziativa, ovvero di formazione e prevenzione di pazienti e caregivers, dove l’utilizzo dei sistemi innovativi di monitoraggio del diabete potrebbero consentire una presa in carico ottimale del paziente, riducendo il rischio di eventi acuti e complicanze che richiedono l’accesso al Pronto Soccorso.
I dati della ricerca Bhave
La ricerca condotta da Bhave ha effettuato un’analisi degli accessi al Pronto Soccorso relativi al diabete su scala nazionale. Ad essere presi in considerazione sono stati 290 mila accessi rilevati su 109 strutture di emergenza sul territorio. Nel campione sono rappresentate tutte le fasce di età, con maggiore prevalenza della fascia centrale 19-49 anni per il diabete tipo 1 (63-74%) e della fascia 50-64 anni (35-44%) per il diabete tipo 2. Le principali motivazioni di accesso in Pronto soccorso per diabete sono: ipoglicemia (20-56%); iperglicemia (16-45%); chetoacidosi (11-32%); piede diabetico (0-15%).
Insulina ed ipoglicemizzanti orali sono le tipologie di farmaci più utilizzati dal paziente prima dell’arrivo in Pronto Soccorso. Le percentuali di utilizzo dei nuovi ipoglicemizzanti orali, GLP-1 e SGLT-2, sono molto basse. Questo può essere un indicatore indiretto della “ripetitività” prescrittiva dei medici di medicina generale, oppure dello scarso aggiornamento degli stessi, o anche della reticenza del paziente a cambiare tipologia di farmaco. Un dispositivo di monitoraggio continuo della glicemia è utilizzato solo dal 50% dei pazienti: sono necessari formazione e aggiornamento della medicina di territorio per indirizzare i pazienti verso l’impiego di strumenti capaci di rilevare le oscillazioni dei valori in qualsiasi momento e ridurre così il rischio di eventi acuti. Interessanti anche le informazioni relative alle dimissioni dall’ospedale: negli accessi per ipoglicemia e iperglicemia i pazienti vengono inviati alla dimissione al Centro antidiabetico; solo per la chetoacidosi è previsto anche il ricovero.
«I cittadini hanno diritto a un adeguato servizio a tutela della salute», ha sottolineato la Senatrice Daniela Sbrollini, Vice Presidente della 10ª Commissione permanente del Senato e Presidente dell’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e per le malattie croniche non trasmissibili. «L’organizzazione della medicina sul territorio deve liberare il Pronto Soccorso dai casi che non sono urgenti e sono gestibili al di fuori dei presidi ospedalieri. Sono due punti fermi sui quali la sanità Nazionale sta mostrando seri limiti di efficienza. Sono estremamente preoccupata perché questi servizi stanno mostrando ogni giorno carenze che non possono essere imputate agli operatori sanitari. La cronicità e il diabete rappresentano casi emblematici di come il territorio debba interfacciarsi con le strutture specialistiche, per ridurre al minimo le problematiche relative agli accessi ai Pronto soccorsi, per le sole problematiche relative alle urgenze per ipo e iperglicemie gravi».
Presentando i dati principali dello studio, il Dottor Francesco Pugliese, Direttore del Dipartimento Emergenza presso l’Ospedale Pertini di Roma, oltre a evidenziare una non adeguata gestione del paziente diabetico ospedalizzato, ha rilevato che il Pronto Soccorso molto spesso si deve occupare di complicanze relative a patologie croniche non adeguatamente gestite dalla medicina territoriale e questo grava pesantemente sulle strutture anche in termini di efficienza della spesa sanitaria. «La soluzione può venire solo da un percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico ed efficiente», ha affermato il Dottor Francesco Pugliese, «con un’adeguata formazione del personale ospedaliero e territoriale, l’informazione del paziente/caregiver e degli operatori sanitari, oltre a una reale presa in carico del paziente diabetico, che deve prevedere un percorso assistenziale multidisciplinare, condiviso con tutti gli attori, compreso il paziente stesso e senza discontinuità. Un percorso oggi più agevolmente perseguibile anche con l’ausilio delle nuove tecnologie».
di Paola Trombetta