Rinnovare i fondi degli screening per l’Epatite C che scadono il 31 dicembre 2023 e allargare le fasce d’età delle persone da sottoporre al test. Questo il messaggio principale lanciato dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) alla vigilia della Giornata Mondiale per le Epatiti del 28 luglio, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Come riportato dai dati AIFA, all’11 luglio 2022, i pazienti avviati al trattamento per l’eradicazione del virus dell’Epatite C erano 239.378: a un anno di distanza, il 17 luglio 2023, sono 252.781, con un incremento di circa 13 mila persone. Si tratta di un balzo in avanti significativo, dopo la flessione dovuta alla pandemia, ma non è ancora sufficiente per l’eradicazione dell’infezione nel nostro Paese entro il 2030 come indicato dall’OMS. Per questo serve una collaborazione tra i diversi specialisti e le istituzioni. Una sinergia che sarà messa a punto nei prossimi incontri “La Sanità che vorrei” al Ministero della Salute, il progetto promosso da SIMIT insieme a tante altre realtà, per allertare il SSN ad affrontare le prossime sfide attraverso processi di prevenzione.
«Le epatiti virali rimangono un problema di salute globale», evidenzia il professor Claudio Mastroianni, Presidente SIMIT. «L’attenzione della comunità scientifica è rivolta alle epatiti virali che possono essere contratte per via orale, come l’Epatite A ed E, ma soprattutto a quelle trasmesse attraverso sangue e liquidi biologici (ad esempio attività sessuale non protetta, tatuaggi e piercing in condizioni di scarsa igiene, scambio di siringhe): l’Epatite C, B, Delta. Per l’Epatite B l’Italia è un esempio, avendo introdotto nel 1991 la vaccinazione obbligatoria alla nascita, grazie alla quale il virus è quasi assente nella popolazione under 40, sebbene si riscontri ancora in altre fasce anagrafiche e in soggetti non nati in Italia. L’HCV, grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), si può eradicare definitivamente nel 98% delle persone, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ma occorre far emergere il sommerso e avviare rapidamente i pazienti al trattamento. Per l’Epatite Delta è stata recentemente approvato un nuovo farmaco specifico, ma serve piena consapevolezza di questa disponibilità e un ampliamento degli screening dei soggetti con Epatite B, su cui il virus Delta si innesta: una priorità anche questa, visto che in Italia si stima che vi siano circa 10 mila persone affette da questo virus, il più rapido nel progredire fino a provocare cirrosi ed epatocarcinoma».
«Gli screening per far emergere il sommerso dei casi di Epatite C, che colpisce l’1% della popolazione, rappresentano una buona prassi che negli scorsi anni ha portato l’Italia in linea con l’obiettivo dell’OMS per l’eliminazione del virus entro il 2030, come dimostra il bilancio complessivo degli oltre 250 mila trattamenti effettuati fino ad oggi», sottolinea il professor Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT. «La disponibilità di 71,5 milioni di euro stanziati nel 2020 ha dato una grande opportunità, purtroppo frenata dalla pandemia. La proroga fino al 31 dicembre 2023 è stata utile per incrementare il numero delle diagnosi, ma considerando le inadempienze di diverse regioni, è auspicabile un’ulteriore proroga di due anni e un allargamento delle popolazioni coinvolte, rivolgendosi non solo a tossicodipendenti, detenuti e ai nati tra il 1969 e il 1989, ma anche alle fasce d’età precedenti, con riferimento almeno ai nati tra il ’48 e il ’68. Solo con un approccio così capillare sarà possibile curare centinaia di migliaia di persone ed eliminare l’Epatite C nel nostro Paese entro il 2030».
«Il test sull’Epatite C consiste in un semplice prelievo del sangue che può salvare la vita», afferma il Professor Massimo Puoti, Direttore delle Malattie Infettive dell’Ospedale Niguarda. «Al momento il programma di screening gratuito è rivolto a 3 categorie di popolazione: i nati nelle fasce d’età 1969-1989, le persone seguite dai Servizi Pubblici per le Dipendenze (SerD) e le persone detenute in carcere. I risultati dei test realizzati finora ci hanno portato a ritenere che lo screening gratuito possa essere esteso anche alla popolazione nata prima del 1969, così come andrebbero rafforzati i test nei SerD e nelle carceri. Qui inoltre andrebbe favorita l’applicazione del modello “test&treat”, ossia all’interno di questi spazi dovrebbe essere effettuata anche la cura delle persone positive, mantenendo tutto nel luogo di riferimento per queste categorie di popolazione».
«Due sono le strade che gli specialisti di tutto il mondo stanno percorrendo per contrastare il problema delle epatiti: da un lato, test diagnostici e percorsi di cura sempre più rapidi e semplificati, da svolgersi all’interno dei centri epatologici. Dall’altro, attività di screening alla scoperta del sommerso», puntualizza la professoressa Vincenza Calvaruso, Segretario Nazionale AISF. «Il problema, infatti, è che spesso non è facile riconoscere l’insorgenza della malattia, specialmente nei soggetti asintomatici. Per tale ragione, si effettuano attività di screening soprattutto nelle categorie a rischio, vale a dire la popolazione nelle carceri e i soggetti con dipendenza da droga, nonché tra quelli nati tra il 1969 e il 1989, sebbene noi specialisti chiediamo di ampliare questa fascia d’età, coinvolgendo tutti i soggetti maggiorenni nati dal 1943 in poi». La sfida dell’OMS, per cui entro il 2030 si dovrebbe raggiungere l’eradicazione dell’HCV, è diventata più complessa e lontana. «Se fino al 2019 i 36mila trattamenti raggiunti in un anno facevano ben sperare sul raggiungimento dell’obiettivo, il fatto che negli anni successivi non siano stati più di 20mila, complice anche la pandemia, rendono il traguardo meno raggiungibile. Occorre quindi, ancora di più, puntare sugli screening, sollecitando tutte quelle regioni che ne sono sprovvisti ad attivarli, e alla semplificazione dell’accesso alle terapie. Questo secondo punto inciderebbe positivamente su due problematiche: frenerebbe la progressione della malattia verso la fase avanzata, sino allo stato di cirrosi ed epatocarcinoma, e ridurrebbe la possibilità di contagio nella comunità».
di Paola Trombetta
Campagna Viral: rendiamo virale la conoscenza delle epatiti
In occasione della Giornata mondiale delle epatiti, parte la campagna “Viral: rendiamo virale la conoscenza delle epatiti” che vuole mandare messaggi efficaci, per contribuire a fermare il diffondersi dei virus. La campagna, realizzata da Gilead Sciences con il patrocinio delle Società Scientifiche e delle Associazioni di Pazienti impegnate in quest’area, coinvolge una serie di influencer che si fanno portavoce dei messaggi di sensibilizzazione. Dai loro profili Instagram, gli influencer lanceranno post e stories per promuovere la conoscenza delle epatiti virali, raggiungendo un bacino potenziale di oltre 1 milione di followers. Il focus della campagna è sull’epatite C, la forma più diffusa di epatite virale in Italia. Sebbene l’Oms abbia stabilito per il 2030 l’obiettivo di ridurre del 65% le morti legate all’epatite C e del 90% i nuovi contagi, in Italia si stima ci siano ancora 100mila persone con malattia di fegato avanzata causata da epatite C e non diagnosticata, la maggior parte di età compresa fra i 60 e i 70 anni, e altri 280mila individui con infezione da HCV attiva con età media di 46 anni, ignari di essere malati perché senza sintomi. «La disponibilità di farmaci in grado di guarire chi è infettato da HCV rende ancor più urgente la promozione di messaggi corretti: è fondamentale diffondere le informazioni sul test e sui fattori di rischio così da scovare le infezioni sommerse e diminuire drasticamente la circolazione del virus», commenta Alessandra Mangia, Responsabile Unità Dipartimentale di Epatologia IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG). Obiettivo della campagna “Viral” è quello di aumentare la consapevolezza sulle epatiti virali, tra le quali l’epatite Delta, la forma più aggressiva, che colpisce solo le persone con infezione da virus HBV (il virus che causa l’epatite B). Si stima che nel mondo circa 10 milioni di persone vivano con l’epatite Delta (HDV) e che in Italia circa il 5-9% delle persone con infezione da virus HBV siano infette anche da HDV, una percentuale che sale fra chi proviene da paesi dove l’epatite Delta è endemica e dove non esistono politiche di vaccinazione contro l’epatite B. P.T.