«Convivere con un sarcoma è come avere una doppia natura. Il primo impatto è avere il cancro e cercare di capire cosa significhi. Il secondo impatto è legato alla rarità di questo tumore: è come avere qualcosa di “strano”. Per me è stato più facile accettare di avere un cancro, ma più difficile accettare di avere una malattia così rara. Dopo aver subito diversi interventi nella zona del seno, ho capito che io stessa ero diventata per gli altri il mio sarcoma, venivo identificata dai medici non con il mio nome e cognome bensì con il sarcoma. Ho dovuto lottare molto per far capire che ho una mia storia, sono una persona con una precisa identità, non sono il mio sarcoma. Soltanto dopo aver preso contatti con le associazioni dei pazienti ho capito che non ero sola, ma fino a quel momento mi sentivo esposta allo sguardo e al giudizio di un pubblico che mi considerava un animale estinto,un fenomeno da baraccone. Dopo tanti anni e dopo l’ultimo intervento, attualmente ho una vita normale, pur seguendo controlli annuali. Ma ho voluto raccontare la mia esperienza di malattia, scrivendo un saggio (Polifemo e la donna barbuta) e una lunga poesia (Figli di sarcoma), che descrivono la trasformazione radicale e improvvisa della vita a causa del sarcoma. Le stesse metafore riferite alla malattia (guerra, battaglia, perdere, vincere) vengono messe da me in discussione. Non penso che una malattia sia una guerra; non penso che si perda una guerra se si muore o che si vinca una guerra perché si sopravvive. Non accetto queste metafore e su queste rifletto mentre scrivo e comunico. Vorrei che la mia testimonianza facesse riflettere tutti coloro che si trovano nella mia condizione». Così Natalia Fernandez Diaz-Cabal, professoressa di Linguistica, scrittrice, poetessa all’Università Autonoma di Barcellona e all’Università di Shangai, ha voluto mettersi in gioco e raccontare la sua malattia rara: un sarcoma al seno.
Si tratta di una famiglia di tumori rari, eterogenei (circa 100 diversi tipi), aggressivi, difficili da diagnosticare e da curare, soprattutto al di fuori dei centri specialistici. Pazienti quasi “invisibili”, ancora troppo “trascurati” in termini di accesso alle migliori cure disponibili, a causa della rarità e complessità della malattia. Diagnosi tardive, non corrette, oltre il 30%, trattamenti non appropriati, interventi chirurgici, a partire dalla biopsia, non adeguati, con conseguente necessità di re-interventi, sono causa di sofferenza aggiuntiva per i pazienti e di costi evitabili per il sistema sanitario. A ciò si aggiungono limitati investimenti nella ricerca, scarso interesse commerciale a sviluppare nuovi farmaci, ridotto accesso alle informazioni su dove curarsi e sulla malattia. Per questo luglio, mese internazionale della consapevolezza sui sarcomi, si apre in Italia con la campagna di sensibilizzazione e informazione “Pazienti, esperti e istituzioni insieme nella sfida ai sarcomi”, promossa e organizzata da Fondazione Paola Gonzato-Rete Sarcoma ETS, con il patrocinio di Istituto Superiore di Sanità, Comune, Prefettura, Università di Udine, FNOMCeO, AIEOP, Fondazione AIOM, Women for Oncology Italy, AIOCC, CNAO, La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere, Sarcoma Patient Advocacy Global Network e l’adesione di Associazione Peter Pan, Il Giardino della Ricerca OdV, FIAGOP, Fondazione Italiana GIST ETS, AGITO OdV, Associazione Con Gabriele contro i tumori rari, S.T.E.F.A.N.O., Associazione Federico e Ilaria Gentili, One day at time, Associazione neVALElapena, AGEOP, Associazione Mario Campanacci, ETS Associazione Maria Ruggieri OdV, Organizzazione di Volontariato Chiara Paradiso. #nonsiamosarcomi è l’hashtag ufficiale della campagna 2023: si sviluppa lungo un percorso che, dalla dimensione umana del vissuto esperienziale della malattia, approda a quella clinico/organizzativa/gestionale, per giungere a quella istituzionale. Un percorso dall’area pediatrica e dell’adulto, senza trascurare quella adolescenziale.
Il lancio di tre brevissimi video, frutto della condivisione della campagna di sensibilizzazione, premio internazionale di SPAGN (Network Globale dei Pazienti con Sarcoma), di infografiche sulla malattia e sui centri specialistici, insieme alla presentazione della prima indagine nazionale “Vivere con il sarcoma” danno contenuto alla campagna che si svilupperà sui social per tutto il mese di luglio.
I pazienti con sarcoma soffrono non solo per la malattia, ma anche per una gestione ancora sub-ottimale dell’assistenza, che impatta sulla loro vita, sia in termini di probabilità di sopravvivenza, sia di qualità, oltre a incidere su costi sanitari e sociali. Eppure, il modello della Rete Nazionale Tumori Rari non è ancora pienamente operativo. In questo contesto, le Organizzazioni pazienti hanno un ruolo cruciale perché costituiscono un “ponte” tra i bisogni dei pazienti e i clinici, i ricercatori e le istituzioni.
«Le organizzazioni di pazienti in realtà possono non solo far da ponte, ma accelerare il processo, cercando di stimolare e co-progettare, assieme a esperti e istituzioni, un sistema migliore, capace di dar risposte a chi sperimenta sulla propria vita, o su quella di un proprio caro, una malattia oncologica rara e complessa, come un sarcoma»,dichiara Ornella Gonzato, biologa molecolare e docente universitaria nell’area “life science”, fondatrice e presidente della Fondazione Paola Gonzato Rete Sarcoma ETS, in ricordo della sorella morta per questa malattia. «Le organizzazioni pazienti nell’area dei sarcomi hanno una peculiarità: quella di nascere, purtroppo, dal dolore di una perdita. Questa dimensione umana è una forte motivazione a cercare soluzioni nuove, a intraprendere percorsi inesplorati, costituendo una preziosa risorsa per l’intero sistema. E questo ha portato alla nascita, nel 2017, delle Reti Europee di Riferimento (ERN), di ricerca e assistenza ad alta specializzazione nelle patologie rare e complesse, sia nell’area pediatrica sia in quella dell’adulto. A livello nazionale il modello della Rete Tumori Rari ha portato a siglare l’Intesa Stato-Regioni per l’istituzionalizzazione della RNTR nel SSN. Collaborazione e innovazione sono le parole chiave di uno scenario in evoluzione, in cui molto rimane ancora da fare. I sarcomi non hanno età: per questo è necessaria una stretta collaborazione tra area pediatrica e dell’adulto senza tralasciare gli adolescenti, con bisogni ancora troppo sottovalutati. Non ci sono programmi di screening, non esiste prevenzione: per questo serve tenere vigile l’attenzione su possibili sintomi e segni e, in caso di loro persistenza immotivata, rivolgersi ai curanti per essere indirizzati, se necessario, immediatamente a centri specialistici all’interno di reti dedicate. Perché questo significa salvare vite umane».
La diagnosi di sarcoma stravolge la vita. La lotta contro la malattia, i bisogni urgenti, il peso dei trattamenti e delle sequele fanno emergere un altro fondamentale bisogno del paziente: quello di comunicare all’esterno l’esperienza che sta vivendo. La comunicazione con il caregiver, con il medico curante, con i familiari e gli amici, il sostegno psicologico durante e dopo le cure, diventano strumenti di cura essi stessi, vitali per continuare a nutrire la speranza e superare la paura.
Da queste premesse nasce la prima indagine nazionale progettata dalla Fondazione Paola Gonzato e AstraRicerche, su:“Vivere con il sarcoma in Italia”, con la finalità di raccogliere il punto di vista e l’esperienza dei pazienti con sarcoma e dei caregiver. Il focus non è la patologia, ma chi ne è affetto. “Fotografare” la realtà italiana per poter comprendere meglio bisogni e aspettative di chi vive, o è accanto a chi vive, percorsi di malattia così complessi, è il primo passo per sviluppare proposte concrete di miglioramento a diversi livelli, basate sull’evidenza dei dati raccolti.
«L’indagine sarà realizzata attraverso la somministrazione di un questionario online anonimo, con un link dedicato», conferma Cosimo Finzi, direttore AstraRicerche. «Le principali tematiche affrontate saranno la patologia, la fase diagnostica, i trattamenti, l’impatto sulla qualità della vita, il supporto psicologico e relazione con il team medico e infermieristico. Abbiamo considerato anche una sezione dedicata alla donazione di tessuti e una alle sperimentazioni cliniche. Infine, due sezioni che chiudono il questionario: il rapporto con le Associazioni dei pazienti che si occupano di sarcomi e l’eventuale conoscenza del concetto di “patient engagement” per capire quali sono le aree da migliorare».
Il punto di vista degli esperti
«Quando parliamo di sarcomi, consideriamo diverse patologie», spiega Franca Fagioli, professore ordinario di Pediatria all’Università di Torino, Direttore Dipartimento Patologie e Cura del Bambino Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino. «I sarcomi sono suddivisi in due gruppi: quelli delle parti molli e i sarcomi dell’osso. A seconda del tipo istologico e dell’estensione della malattia la prognosi può cambiare. Ogni fascia di età (neonato, bambino, adolescente, adulto) è caratterizzata da un’incidenza diversa di specifici istotipi e siti anatomici. In termini generali la prognosi può essere peggiore man mano che aumenta l’età. Per quanto riguarda il trattamento è importante partire da una diagnosi accurata, in quanto ci sono trattamenti diversi a seconda dell’istotipo specifico. Si tratta di trattamenti differenti (chemioterapia, chirurgia con o senza radioterapia o immunoterapia): non ci sono tante differenze fra i trattamenti del bambino e dell’adulto, ma è importante tener conto delle variabili correlate al tipo della malattia, la stadiazione e le caratteristiche cliniche del paziente per poter ottenere il trattamento migliore. Sia il bambino, sia il paziente adulto devono essere seguiti da centri specialistici esperti nel trattamento dei sarcomi. In area pediatrica e adolescenziale è importante anche tener conto di quelle che saranno le sequele tardive dopo la guarigione. Nel caso di malattia avanzata, nell’ambito dell’oncologia dell’adulto vi è un ventaglio maggiore di nuovi farmaci di quanto non abbia il bambino poiché gli studi clinici in ambito pediatrico si sviluppano in modo più tardivo in quanto necessitano di linee di sperimentazione dedicate».
«La popolazione dei pazienti adolescenti/giovani adulti copre una fascia d’età che va dai 16 ai 39 anni», aggiunge Alexia Francesca Bertuzzi, Capo Sezione Sarcoma e Responsabile Programma di Oncologia del paziente adolescente e giovane adulto, Humanitas Research Hospital. «Questa fascia d’età è considerata “terra di nessuno”, perché rimane tra il mondo pediatrico e quello dell’adulto. E in questa fascia abbiamo un’alta percentuale di pazienti con sarcoma, con una serie di bisogni non risolti, sia per la parte medica e diagnostica, terapeutica e di follow up, sia la parte psicologica e sociale. Dal punto di vista medico, emerge il fatto che le diagnosi sono spesso tardive, i trattamenti non sono omogenei e i programmi di follow up devono essere adeguati a loro, perché questi ragazzi, che in una percentuale piuttosto elevata guariscono, hanno una lunga sopravvivenza, ma hanno anche effetti collaterali a lungo termine e risentono di più delle sequele della malattia. Ci sono poi tutti i bisogni psicologici e sociali, che riguardano l’interruzione di un percorso di vita che è appena iniziato. Il tumore blocca a tutti i livelli la loro identità, sia dal punto di vista lavorativo-scolastico sia dal punto di vista relazionale-affettivo. L’aiuto che dobbiamo dare loro è di continuare il loro percorso e vivere la loro vita il più possibile normale nonostante la diagnosi di tumore».
«La diagnosi istopatologica dei tumori rari è molto problematica», conclude Paolo G. Casali, Direttore della Struttura di Oncologia Medica 2 “Tumori mesenchimali dell’adulto e Tumori rari” della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, di Milano. «Ci sono dati di percentuali significative di inappropriatezza delle diagnosi patologiche di alcuni tumori rari, se queste diagnosi non sono effettuate all’interno dei centri di riferimento. Il problema è che i centri di riferimento per definizione sono pochi, perché i numeri dei tumori rari sono limitati. La conseguenza è una difficoltà del paziente a raggiungerli, con conseguente migrazione sanitaria, liste di attesa… Le Reti dovrebbero essere la soluzione, in quanto mettono in condivisione l’expertise dei centri che si occupano di tumori rari».
di Paola Trombetta