Insufficienza cardiaca: approvata la “quintupla terapia”

Affanno, mancanza di respiro (dispnea), affaticamento, ritenzione di liquidi con gonfiore alle gambe e/o all’addome e, soprattutto, ridotta capacità di compiere attività fisiche. Sono i sintomi ricorrenti di una patologia, come l’insufficienza cardiaca, che rappresenta la principale causa di ospedalizzazione al mondo e colpisce tanto gli uomini che le donne: il 56% dei pazienti, a causa di un peggioramento, deve purtroppo ritornare in ospedale dopo un mese dall’evento stesso. In Italia sono oltre 600 mila i pazienti con questa patologia: si stima che la prevalenza raddoppi a ogni decade di età (dopo i 65 anni arriva al 10% circa) con una previsione di crescita media del 2,3% nei prossimi 10 anni. In occasione della Giornata mondiale dedicata al Cuore (29 settembre), cerchiamo di capire cos’è l’insufficienza cardiaca e come curarla?

«E’ l’incapacità del cuore di assolvere alla sua normale funzione contrattile di pompa che garantisce l’apporto fisiologico di sangue a tessuti e organi», risponde il dottor Fabrizio Oliva, Presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e Direttore della Cardiologia 1 Emodinamica dell’Ospedale Niguarda di Milano. «Diverse sono le cause riconosciute: può insorgere come conseguenza di un infarto, dell’ipertensione arteriosa, come anche delle disfunzioni valvolari. Nel corso della vita, una persona su 5 svilupperà una forma di insufficienza cardiaca: nonostante i progressi di trattamento, ha una prognosi di sopravvivenza paragonabile o peggiore a quella descritta per le neoplasie più aggressive. Infatti, a un anno dalla diagnosi di insufficienza cardiaca, la mortalità si aggira intorno al 30%. I pazienti affetti da insufficienza cardiaca hanno un elevato rischio di peggioramento, con un’intensificazione rapida o graduale dei sintomi che richiedono cure come la somministrazione di diuretici per via endovenosa in emergenza/ambulatorio, o anche il ricovero in ospedale. Tale peggioramento, oltre a generare un impatto negativo sulla qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie, ha un notevole onere economico». Secondo i dati del Report PNE 2022, nel 2021 sono stati registrati circa 127 mila ricoveri per pazienti con insufficienza cardiaca. Considerando che il tasso medio di degenza per ricoveri ordinari è pari a 8-10 giorni, il costo di ciascun ricovero è di circa 11 mila euro. L’insufficienza cardiaca copre il 2% della spesa complessiva del SSN: l’85% di questa è assorbito dai ricoveri per un ulteriore peggioramento.

I “pilastri” della terapia sono quattro farmaci (quadruplice terapia): gli antagonisti del Sistema renina-angiotensina (RAASi), i beta-bloccanti, gli anti-aldosteronici (MRA) e gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio (SGLT2i).

«Negli ultimi anni le Linee Guida hanno cambiato radicalmente l’approccio al paziente con insufficienza cardiaca», aggiunge il dottor Oliva. «A partire da un approccio graduale, che prevedeva un farmaco dopo l’altro, le nuove indicazioni sono quelle di prescrivere da subito tutte le classi farmacologiche disponibili, modulandone i dosaggi. In questo modo si è visto un miglioramento di chi soffre di insufficienza cardiaca. Nonostante l’utilizzo di queste terapie ottimizzate, se il paziente si aggrava e va incontro ad un peggioramento dei sintomi, deve ricorrere a cure mediche urgenti, che possono portare anche a un ricovero».

«Il rischio frequente di un peggioramento clinico sottende in realtà la necessità di disporre di altre cure più efficaci che consentano di ridurre i ricoveri e la mortalità», fa notare il professor Maurizio Volterrani, Presidente Nazionale di Italian Heart Failure Association (ITAHFA), Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiologiche e Respiratorie, IRCCS San Raffaele di Roma. «Per questo è entrato nella pratica clinica un nuovo farmaco, vericiguat, che agisce in modo incisivo su quei pazienti già trattati secondo gli standard raccomandati dalle Linee Guida, ma che vanno incontro a un nuovo peggioramento. Introducendo questo nuovo farmaco in associazione alla “quadruplice terapia”, si è visto che si riesce a ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni in maniera significativa. Inoltre, si registra un miglioramento della qualità di vita, che per il paziente con insufficienza cardiaca è fondamentale. Con questo farmaco è come se mettessimo “carburante nel cuore”: aumenta l’energia che migliora la contrazione cardiaca e, nello stesso tempo, anche la capacità dei vasi di ricevere il sangue».

Le recenti Linee Guida sullo scompenso cardiaco dell’American Heart Association, della Società Europea di Cardiologia e della Società Cardiovascolare Canadese raccomandano di prendere in considerazione la terapia con questo farmaco dopo un peggioramento di un evento di insufficienza cardiaca per ridurre ulteriormente il rischio. Ciò è sottolineato anche da una dichiarazione di consenso clinico pubblicata dall’Heart Failure Association dell’ESC nell’aprile 2023, che consiglia il trattamento con vericiguat, in aggiunta ai quattro pilastri della terapia per l’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta, nei pazienti sintomatici dopo un evento di peggioramento della malattia. Questa raccomandazione è supportata da una revisione pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology (JACC), che raccomanda di aggiungere vericiguat all’inizio del peggioramento dell’insufficienza cardiaca, creando un nuovo approccio terapeutico definito “quintupla terapia”.

I risultati dello Studio registrativo VICTORIA

La sicurezza e l’efficacia di vericiguat sono state valutate nello Studio registrativo VICTORIA, trial multicentrico, in doppio cieco, che ha confrontato vericiguat e placebo in 5.050 pazienti adulti con insufficienza cardiaca sintomatica cronica e frazione di eiezione ventricolare sinistra inferiore al 45%, in seguito ad un evento di riacutizzazione (peggioramento). I pazienti sono stati trattati fino alla dose target di mantenimento di vericiguat di 10 mg, una volta al giorno o con placebo, in associazione alle terapie standard per l’insufficienza cardiaca. I pazienti del gruppo vericiguat sono stati trattati per una durata media di un anno, fino a 2,6 anni. Lo studio ha evidenziato un rischio ridotto del 10% di mortalità e di primo ricovero rispetto al placebo.

«Vericiguat si è dimostrato superiore al placebo nel ridurre il rischio di morte cardiovascolare o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca», dichiara il professor Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC, Società Italiana di Cardiologia. «L’insufficienza cardiaca è associata ad una compromissione della sintesi di ossido nitrico (NO) e a una diminuzione dell’attività del suo recettore sGC, con conseguente deficit di guanosina monofosfato ciclico (cGMP) derivato dalla sGC. Vericiguat ripristina il relativo deficit nella via NO-sGC-cGMP, stimolando direttamente la sGC, e aumenta i livelli di cGMP intracellulare, in modo da migliorare sia la funzionalità cardiaca sia quella vascolare, inducendo anche vasodilatazione, con un meccanismo d’azione su due fronti».

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), di recente, ha riconosciuto la rimborsabilità di vericiguat, già approvato dall’Autorità regolatoria statunitense (FDA) nel gennaio 2021, ed europea (EMA) nel luglio 2021.

«Con l’introduzione nel nostro Paese di vericiguat, siamo lieti di poter mettere a disposizione dei professionisti della salute e dei loro pazienti una nuova soluzione terapeutica in grado di portare un importante cambiamento nella gestione di una patologia così insidiosa come l’insufficienza cardiaca», dichiara Arianna Gregis, Country Division Head Pharmaceuticals di Bayer Italia. «Questo traguardo ci rende particolarmente orgogliosi, perché dimostra come i continui sforzi attraverso la ricerca di soluzioni innovative, che colmino i bisogni insoddisfatti di alcune patologie, possano costituire un concreto aiuto per rispondere alle necessità dei pazienti».

di Paola Trombetta

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