Identificare una mutazione dei geni BRCA (noti alle cronache come geni Jolie, dall’attrice Angelina Jolie che, essendo portatrice di queste mutazioni, per evitare il rischio di recidiva di tumore, si era fatta asportare mammelle e ovaie), sia in una donna con tumore al seno e all’ovaio, sia nell’uomo con carcinoma alla prostata, permette di utilizzare farmaci mirati per la prevenzione di recidive e anche di poter intraprendere un percorso di consulenza genetica ai familiari, per identificare I portatori sani. In Italia vivono circa 150mila persone con la mutazione dei geni BRCA, ma la maggior parte di questi cittadini non sa di essere portatore dell’alterazione molecolare e, quindi, del rischio oncologico correlato, perché i test genetici per individuarla non sono ancora abbastanza diffusi, soprattutto fra le persone sane. Ogni anno, il 15% dei casi di tumore dell’ovaio (780 diagnosi), il 10% di quelli della prostata (4.050) e il 7% della mammella (3.900) sono riconducibili alla mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2. La medicina di precisione è in grado di “sfruttare” il difetto molecolare indotto dall’alterazione genetica per potenziare l’efficacia delle cure e controllare in modo efficace la malattia. L’appello per sensibilizzare cittadini, clinici e Istituzioni sull’importanza di ampliare l’accesso a questi esami è venuto dagli esperti riuniti nella Tavola Rotonda al Giffoni Innovation Hub, in occasione della Mostra internazionale del Cinema di Venezia, dove è stato presentato “Geni Ribelli”, il documentario di Donatella Romani con la regia di Roberto Amato, realizzato da Telomero Produzioni con il contributo di AstraZeneca e MSD. Ecco il link per visionare il docufilm: GENI RIBELLI: i tumori legati ai geni BRCA, profilassi e terapie mirate, le storie delle famiglie
«È in corso una vera rivoluzione nella terapia del carcinoma mammario, basata su trattamenti sempre più mirati ed efficaci», puntualizza Lucia Del Mastro, Professore Ordinario e Direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova. «I tumori del seno, associati alle mutazioni BRCA1 e BRCA2, tendono a svilupparsi in persone più giovani rispetto alle neoplasie non ereditarie, in forme più aggressive e con un significativo impatto psicologico e sociale. Irrompono nella vita di donne in piena progettualità personale, professionale e familiare. Da qui la necessità di opzioni terapeutiche innovative, che garantiscano quantità e qualità di vita, come i PARP inibitori, un tipo di terapia mirata che agisce in maniera selettiva sulle cellule mutate che provocano il cancro». «Conoscere le mutazioni dei geni BRCA – continua la Profesoressa Del Mastro – è molto importante e il test deve essere effettuato su tutte le pazienti al momento della diagnosi. È questa la via da seguire per definire le migliori strategie terapeutiche e per iniziare il percorso familiare che permette l’identificazione delle persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi di riduzione del rischio, che spaziano dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica. In particolare, l’intervento di mastectomia bilaterale, cioè la rimozione chirurgica di entrambe le mammelle, è in grado di ridurre di circa il 90%, nelle donne sane, il rischio di sviluppare in futuro un tumore mammario».
«Dall’altro lato, l’asportazione chirurgica di tube ed ovaie può prevenire la quasi totalità dei tumori ovarici su base genetico-ereditaria e, contestualmente, ridurre di oltre il 50% anche il rischio di carcinoma mammario», aggiunge Domenica Lorusso, Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia e Responsabile Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS di Roma. «Questo tipo di intervento è consigliato nelle donne con mutazione del gene BRCA1 intorno ai 40 anni e BRCA2 intorno ai 45 anni, in particolare se hanno già avuto gravidanze o sono già in menopausa. Fondamentali sono la condivisione della scelta e il supporto psicologico, soprattutto nelle donne ancora in età fertile. Va ricordato che siamo di fronte a uno dei tumori più aggressivi fra le neoplasie ginecologiche, per il quale non abbiamo efficaci programmi di screening. Troppe donne, circa l’80%, scoprono il cancro dell’ovaio in fase avanzata, anche per l’assenza di sintomi specifici. Sappiamo che il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro due anni: per questo è importante utilizzare terapie di mantenimento in prima linea in grado di ottenere una remissione a lungo termine, come i PARP inibitori da soli o in combinazione con gli antiangiogenetici. I dati degli studi clinici evidenziano che, per alcune pazienti con tumore ovarico avanzato e mutazione BRCA, la guarigione è possible».
«Alcune mutazioni genetiche favoriscono l’insorgenza dei tumori: è questa la realtà che le famiglie del documentario “Geni Ribelli” devono affrontare e con la quale imparano a convivere», sottolineano Donatella Romani e Roberto Amato. «Il nostro docufilm è una storia di accettazione e della capacità di ridefinire la propria esistenza, senza perdere l’entusiasmo di porsi obiettivi e di sognare. È, inoltre, uno spaccato sulle figure dei medici che, grazie alla ricerca, riescono a donare tempo ai pazienti, che deve essere riempito di vita, speranza e progetti».
«Questo docufilm raccoglie con delicatezza e autenticità il peso emotivo, la complessità e le paure di chi sa di essere portatore di queste alterazioni genetiche e vive con il rischio di sviluppare il cancro, e chi invece la diagnosi di cancro l’ha già vissuta», afferma Ornella Campanella, Presidente aBRCAdaBRA ETS. «È importante superare lo stigma, la vergogna, promuovendo la consapevolezza non solo nelle persone, ma anche nelle strutture sanitarie e Regioni nelle quali i percorsi di cura sono frammentati, incompleti o ancora non attuati, creando pericolose iniquità. Il nostro obiettivo è che tutte le persone, che non sanno ancora di essere portatrici della mutazione BRCA, soprattutto se giovani, siano intercettate dal Sistema Sanitario, prima di sviluppare un tumore BRCA associato, e siano messe in sicurezza».
«Il rischio di trasmissione dai genitori ai figli delle mutazioni nei geni BRCA è del 50%. Non si eredita il tumore, ma il rischio di svilupparlo», conclude Emanuela Lucci Cordisco, Genetista alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma e Ricercatore Universitario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. «Anche gli uomini possono ereditare la mutazione genetica e, a loro volta, trasmetterla ai figli. I maschi con gene mutato sono più predisposti a manifestare il carcinoma mammario maschile e quello della prostata. La consulenza genetica oncologica è un percorso a più fasi, che prevede diversi incontri per un’adeguata definizione del rischio di essere portatore di una mutazione di BRCA, basati in particolare sulla valutazione dell’albero genealogico per almeno tre generazioni precedenti. Il passaggio successivo è rappresentato dall’esecuzione del test genetico. La consulenza genetica conclusiva prevede la comunicazione del risultato dell’esame, la discussione relativa alla gestione dell’aumentato rischio di sviluppare neoplasie (ovvero le modalità di prevenzione) in persone sane o con precedente tumore, la valutazione delle implicazioni familiari e l’eventuale supporto psicologico. È anche vero che c’è un 50% di possibilità che la mutazione familiare non venga ereditata: nel caso in cui il test per ricerca della mutazione familiare risulti negativo, il rischio di sviluppare neoplasie torna ad essere uguale a quello della popolazione generale».
Paola Trombetta