Entro il 2030, il numero di persone di età pari o superiore a 60 anni aumenterà di oltre un terzo, raggiungendo 1,4 miliardi. In particolare, in Italia gli over 65 rappresentano il 23% (oltre 4 punti in più rispetto alla media UE) della popolazione totale, e nel 2050 si prevede che costituiranno fino al 35%. L’Italia è infatti uno dei Paesi più longevi, con 14 milioni di over 65, al secondo posto tra gli Stati Europei dopo la Spagna, con una media di 83,6 anni. In una popolazione che invecchia, ma che vuole e deve rimanere attiva, la prevenzione diventa la chiave per garantire la salute del futuro e la sostenibilità del Sistema Paese. La vaccinazione è il secondo intervento più importante, dopo la potabilizzazione delle acque, nel mantenere in salute la popolazione. La pandemia ha reso la comunità scientifica e gli addetti ai lavori maggiormente consapevoli dell’importanza della vaccinazione ad ogni età: da un lato perché la vaccinazione anti Covid ha dimostrato di poter ridurre drasticamente morti e ospedalizzazioni. Dall’altro ha permesso di vedere che la fragilità di soggetti come gli anziani avrebbe potuto essere ridotta se questi fossero stati vaccinati contro malattie prevenibili come influenza, polmonite pneumococcica e herpes zoster. La fragilità rispetto a malattia prevenibili significa infatti andare incontro, quasi automaticamente, ad un maggior rischio di complicazioni per le malattie che già si ha e in generale verso un maggior rischio di ospedalizzazione e persino morte. La prevenzione vaccinale «deve diventare un obiettivo di salute pubblica e individuale per tutti i pazienti a rischio che ne possono beneficiare e attuare dei piani ben strutturati di prevenzione vaccinale per gli adulti alla stregua di quelli già ben organizzati che vengono proposti per i bambini.
Prevenzione, ricerca, innovazione sono tre punti fondamentali per vincere la sfida della Global Health, su cui nel nostro Paese devono convergere medici, cittadini e istituzioni per garantire sostenibilità sistema. Questi i temi al centro della seconda edizione di InnovaCtion, l’appuntamento annuale promosso da GSK a Roma, rivolto alla politica, alle istituzioni nazionali e locali, associazioni, aziende pubbliche e private per discutere le traiettorie future della cura della salute in Italia e nel mondo Per dare le risposte necessarie alla salute globale, generare benessere e ridurre le disparità è necessario un cambiamento, che ha bisogno della collaborazione di tutti gli attori coinvolti. «In tal senso è essenziale prevedere un percorso di salute che ruoti attorno a un nuovo concetto di prevenzione, una “Prevenzione 2.0”, una presa in carico della persona, che possa contribuire a garantire un futuro di salute alla popolazione», puntualizza Francesco Vaira, Direttore Generale del Ministero della Salute, che ha proposto un “Calendario della salute”, che segni idealmente tutte le tappe più importanti della salute della persona. «Disegnare un percorso che inizia dall’allattamento al seno, alle vaccinazioni dell’infanzia e dell’adolescenza, sino ad arrivare alle vaccinazioni dell’età adulta, ancora troppo sottovalutate, quando invece costituiscono tappe fondamentali, insieme agli screening, per un invecchiamento in salute».
Vaccinazione in età adulta e persone con fragilità
«Mentre nella vaccinazione dell’adulto è facile individuare come fascia di principale rischio quella degli anziani, in quanto soggetti con il sistema immunitario indebolito e con potenziali malattie concomitanti sviluppate nel tempo, diventa altrettanto importante, ma più difficile, individuare e convincere alla vaccinazione altre categorie di adulti che sono a notevole rischio, se non protetti dalle attuali malattie prevenibili. È il caso ad esempio di pazienti oncologici, immunodepressi, con patologie cardiovascolari, respiratorie o diabete, le cui condizioni e il controllo stesso della malattia possono peggiorare notevolmente se sviluppano malattie come influenza, polmonite pneumococcica, Herpes zoster e virus respiratorio sinciziale (RSV). Queste persone, pur potendo beneficiare delle vaccinazioni attualmente disponibili o in arrivo, sono ovviamente più difficili da individuare e da avviare ad un intervento di protezione perché appartenenti a categorie di rischio e fasce di età non omogenee, oltre a essere seguite per le proprie necessità mediche in ambiti medici specialistici diversi, dove la priorità non viene certo data alla prevenzione», aggiunge il professor Vaira.
Come affermato da Emer Cook, Executive Director dell’EMA nel corso della European Immunization Week, “i vaccini sono in grado di contrastare più di 20 patologie potenzialmente letali e possono prevenire dai 2 ai 3 milioni di morti ogni anno. Grazie ai vaccini, persone di tutte le età, di qualsiasi provenienza hanno oggi la possibilità di vivere a lungo”. Nonostante questo, la vaccinazione non è stata ancora sfruttata appieno per i vantaggi che può portare soprattutto per quanto riguarda la popolazione adulta. «Se infatti a livello pediatrico la vaccinazione ha raggiunto risultati ragguardevoli (sebbene ulteriormente migliorabili), nell’adulto è ancora lontana dal raggiungere livelli di protezione adeguati nell’interesse della salute delle persone (contrastando lo sviluppo di numerose patologie), della sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale (riducendo i costi per esami e ospedalizzazioni) e dell’obiettivo di raggiungere una vita attiva fino in età avanzata», conferma Roberta Siliquini, presidente della Società Italiana di Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica (SITI). «Oggi abbiamo vaccini per moltissime patologie presenti nel nostro Paese ci stiamo attrezzando per altre patologie, magari provenienti da altri Paesi, che potrebbero arrivare da noi. È fondamentale che questi strumenti preventivi siano disponibili in tutte le Regioni italiane, senza differenze culturali e di zone. L’imperativo della Sanità pubblica è far sì che i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) presentino davvero l’obiettivo di equità che il nostro Sistema Sanitario Nazionale ben 50 anni fa si è dato. Una figura fondamentale per l’adesione vaccinale è il medico di famiglia che dovrebbe attenzionare particolarmente le persone con maggiori fragilità. La vaccinazione è uno degli interventi di salute pubblica più efficaci dal punto di vista dei costi, con un ritorno sull’investimento a livello individuale, di sistema sanitario, economico e sociale. I benefici della vaccinazione vanno oltre la prevenzione delle malattie acute, evitando conseguenze a lungo termine come le comorbilità e la cattiva salute, riducendo l’incidenza di complicazioni di malattie croniche come il diabete, le malattie respiratorie e l’insufficienza cardiaca, che possono essere costose. Pertanto, l’immunizzazione degli adulti non solo previene malattie, ricoveri ospedalieri e decessi prematuri, ma fornisce anche un più ampio beneficio economico individuale e sociale».
Nell’ultimo rapporto “Meridiano Sanità”, The European House Ambrosetti ha analizzato l’impatto economico di tre patologie dell’età adulta – malattia pneumococcica, Herpes Zoster e influenza – che colpiscono ogni anno milioni di persone e sono tutte prevenibili tramite vaccinazione. Queste patologie costano complessivamente 664,5 milioni di euro soltanto negli over-65 (61,8% costi diretti e 38,2% indiretti, in termini di perdita di produttività). In base al modello sviluppato da “Meridiano Sanità”, il costo evitato grazie alla vaccinazione per queste tre patologie degli adulti e dei pazienti oncologici potrebbe variare tra 0,7 e 1,5 miliardi di euro tra costi diretti e indiretti a seconda della copertura.
Farmaci anche nei Paesi in via di sviluppo
Un capitolo a parte merita la diffusione delle vaccinazioni anche nei Paesi in via di sviluppo. «I Paesi occidentali, grazie alla ricerca scientifica e allo sviluppo continuo di nuovi vaccini, sono portatori di salute anche nel resto del mondo, in particolare nei Paesi in via di sviluppo», sostiene Stefano Vella, professore di Salute globale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «Malattie come la tubercolosi, la malaria, l’HIV, la salmonellosi e altre malattie tropicali potrebbero essere eradicate». Un’azienda farmaceutica come GSK, che in Italia è presente dal 1904 a Siena con laboratori di eccellenza per la ricerca dei vaccini, e a Verona e Parma per la produzione dei farmaci, si sta espandendo con altri due centri di ricerca per soddisfare le esigenze della Global Health: a Tres Cantos in Spagna e GSK Vaccines Institute for Global Health di Siena, dove vengono studiate soprattutto malattie enteriche, come la shigellosi, la salmonellosi non tifoidea, la febbre tifoide, lo streptococco di gruppo A. Qui gli scienziati hanno guidato lo sviluppo di un vaccino coniugato contro il tifo e per la prevenzione della febbre tifoide, nei Paesi in via di sviluppo, da somministrare ai soggetti di età compresa tra 6 mesi e 64 anni, che ha ottenuto nel 2020 il riconoscimento dall’OMS. L’impegno quinquennale di Gsk negli investimenti che vede, nel periodo 2020-2025 un totale previsto di 800 milioni di euro, di cui il 59% destinato ai vaccini, il 41% ai farmaci, mentre alla ricerca va il 14% del totale. «GSK ha scelto da tempo l’Italia per insediare poli strategici di ricerca produzione e ha continuato a farli crescere negli anni, ottenendo notevoli risultati in termini di farmaci e vaccini innovativi messi a disposizione di tutto il mondo. Noi crediamo nel Sistema Paese e vogliamo continuare a contribuirvi, ma siamo soggetti alla pressione competitiva di altri paesi che sanno attrarre gli investimenti con migliori condizioni di accesso all’innovazione, di tutela della proprietà intellettuale e con sistemi decisionali e regolamentari più rapidi», ha dichiarato Fabio Landazabal, Presidente e AD di GSK Italia. «Con i cambiamenti dell’economia e il progressivo invecchiamento della popolazione non basta aumentare le risorse per migliorare la salute della popolazione, salvaguardare l’economia e incoraggiare il settore. Serve un nuovo piano nazionale per le scienze della vita, pensato insieme da politica, istituzioni nazionali e regionali, accademia, associazioni e settore privato che integri le nuove tecnologie e consenta una presa in carico della persona a 360 gradi, nella prevenzione e nel trattamento e che faciliti l’accesso all’innovazione, generando attrattività all’investimento e sviluppo per il Paese».
di Paola Trombetta
Beatrice Lorenzin: prevenzione, innovazione e ricerca
In occasione dell’evento InnovaCtion, promosso da GSK, abbiamo rivolto qualche domanda alla senatrice Beatrice Lorenzin, della Commissione Permanente “Programmazione Economica Bilancio” del Senato.
Cosa vuol dire oggi fare prevenzione?
«La prevenzione è la base per fare in modo che una società sia più sana, ma ci permette anche di essere sostenibili rispetto ai costi delle cure in una popolazione che tenderà sempre più all’invecchiamento e si prevede avrà una domanda di salute sempre maggiore. Obiettivo della prevenzione è quello di far stare bene le persone e farle ammalare sempre meno. Alla base della prevenzione ci sono da un lato gli stili di vita e dall’altro le vaccinazioni che sono uno strumento essenziale di sanità pubblica a livello locale e globale».
Esiste un rapporto tra prevenzione e innovazione?
«C’è un rapporto sempre più stretto perché l’innovazione permette di focalizzare i target di prevenzione e quindi di poter evolvere le misure più efficaci. Pensiamo alle analisi delle proiezioni e delle simulazioni di nuovi virus, l’innovazione che può aiutarti a utilizzare strumenti diversi sulla prevenzione secondaria. Ci sono dunque tante possibilità per garantire alla popolazione di stare meglio».
E tra prevenzione e ricerca?
«La ricerca non riguarda solo i vaccini o i nuovi farmaci. La ricerca si può anche applicare nei modelli di innovazione sanitaria, per capire come agire nel modo più appropriato ed efficace sulle trasformazioni in campo. Ad esempio l’intelligenza artificiale, applicata ai meccanismi di prevenzione, può aiutarci a un controllo epidemiologico maggiore e prevenire alcune malattie, sia derivanti dai virus, che malattie croniche non trasmissibili».
Si parla sempre di più di Global Health, di salute globale…
«Non possiamo non immaginare di essere in un mondo interconnesso. Basti pensare al Covid, un virus che viaggia in aereo in pochissime ore su una popolazione di 8 miliardi di persone può creare ciò che è accaduto. Una volta un virus per diffondersi nel mondo impiegava almeno tre anni; adesso 12 ore o 24 ore al massimo. I virus sono trasportati anche dagli animali e il cambiamento climatico incide sulla formazione e sopravvivenza dei virus. È evidente che la salute del pianeta e quella dell’uomo e dell’animale rappresentano la nostra sfida di oggi e di domani: per questo dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per gestire queste trasformazioni e garantire salute, che vuol dire anche sicurezza sociale ed economica».
Cosa pensa dei farmaci e dei vaccini per i Paesi in via di sviluppo?
«Sono una necessità non solo morale, come impegno dei Paesi occidentali per progetti di partnership globali per diffondere le vaccinazioni nei Paesi in via di sviluppo. In realtà diventa anche un tema di salute globale. Garantire la salute in aree dove si formano nuovi virus vuol dire prevenire l’avvento di nuove pandemie. Questo è dunque un impegno di collaborazione internazionale che ha una base sui diritti umani, ma ha anche un riscontro molto pratico. È dunque importante non solo agire sulle malattie neglette, su cui magari non c’è l’interesse economico per sviluppare la ricerca. Occorre fornire i vaccini per queste malattie e garantirne l’accesso a quei Paesi che non hanno la possibilità né industriale, né economica per produrli e utilizzarli».
di Paola Trombetta