Le nuove terapie che cambiano la “storia” dell’emicrania

“Questo farmaco mi ha cambiato la vita, non sono più emicranico e la qualità della mia esistenza non è paragonabile a quella che avevo in precedenza”. È l’affermazione, riferita dal professor Gioacchino Tedeschi, Past President SIN (Società Italiana di Neurologia) e Presidente del 53° Congresso della Società, conclusosi di recente a Napoli, che sempre più neurologi si sentono dire dai loro assistenti al ritorno delle visite ambulatoriali dopo l’inizio di un trattamento con farmaci innovativi: gli anticorpi monoclonali anti-CGRP che hanno fatto il loro ingresso nella gestione dell’emicrania. Patologia di elevata incidenza – circa il 12% della popolazione soffre di emicrania, 41 milioni di persone in Europa e 6 milioni in Italia – e ritenuta dall’Oms tra le malattie più disabilitanti, la seconda nel mondo e la prima tra le giovani donne, in termini di anni di vita persi. L’emicrania inizia a manifestarsi durante la pubertà, colpendo principalmente la popolazione più produttiva, di età compresa tra i 35 anni e i 45 anni, con compromissione della capacità di essere partner, genitori o riducendo il rendimento sul luogo di lavoro. Onerosi i costi puramente economici: in Europa è stato calcolato che l’emicrania costa circa 30 miliardi all’anno, riferiti in larga parte a costi indiretti, dunque alla perdita di produttività, assenza dal lavoro e così via. Un trend che potrebbe essere invertito, o comunque contenuto e controllato, proprio dai monoclonali che hanno dimostrato elevata efficacia.

«Gli anticorpi monoclonali anti recettore CGRP – precisa Tedeschi – vanno ad agire sulla CGRP, ovvero la sostanza che aumenta nel sangue di chi ha in corso un attacco di emicrania ed è il maggiore responsabile della fase dolorosa. L’anticorpo monoclonale va a bloccare l’azione del CGRP, costituendo un vero e proprio punto di svolta nella terapia dell’emicrania». Sono molecole efficaci e ad azione rapida, comprovata da vari fattori: la riduzione del numero di giorni di emicrania del paziente in terapia, di assunzione di farmaci antiemicranici, della durata e della intensità delle crisi ridotta di almeno il 50%, fino a una percentuale minore di pazienti che potrebbe raggiungere una diminuzione della sintomatologia e degli episodi del 75% e dunque delle necessità anche farmacologiche correlate e, non ultimo, una “élite” di pazienti, pari a circa il 10-15%, che poterebbe addirittura liberarsi dalla malattia, dimenticando di essere emicranico.

«L’arrivo dei monoclonali – continua Tedeschi – ha rappresentato una vera rivoluzione nel paradigma di cura, scardinando da una parte l’uso di farmaci di prevenzione con molti effetti collaterali che venivano usati da cinquant’anni, tanto che una grande quantità di pazienti, all’incirca 7-8 su 10, nel giro di 6 mesi-1 anno abbandonavano la terapia precludendo i benefici terapeutici, e dall’altra contrastando l’egemonia di farmaci di trattamento acuto da prendere al bisogno, come i triptani, che dominavano lo scenario della terapia antiemicranica del nuovo millennio».

Al riguardo ci sono dati anche di importanti lavori di ricerca, come lo studio pan-europeo Pearl condotto su oltre mille pazienti di cui 354 italiani, che avrebbe dimostrato l’efficacia degli anticorpi monoclonali anti-CGRP a 12 mesi “senza grandi fluttuazioni”, sia negli emicranici ad alta frequenza che nei cronici, mantenendo per tutta la terapia una “costanza” nella risposta. Il dato più rilevante riguarda la “trasformazione” dell’emicrania, da cronica e ad altissima frequenza con oltre 15 giorni al mese di mal di testa, passata a episodica durante la terapia con 50% di pazienti in cui si sono dimezzate le giornate emicraniche, arrivando a una media compresa fra 0 e 7 giorni al mese di mal di testa. «I monoclonali anti-CGRP – dichiara il professore – hanno favorito anche un avanzamento culturale: oggi ad esempio abbiamo appreso meccanismi e aspetti dell’emicrania che prima non erano noti e che potranno aprire la via alla ricerca e allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici».

Alcuni sono già in atto, come nel trattamento acuto dell’emicrania. «I farmaci di elezione restano i triptani – conclude Tedeschi – ma stanno arrivando sul mercato i ditani, che promettono ancora maggiore efficacia nel trattamento dell’attacco acuto e un migliore profilo di sicurezza, soprattutto in pazienti con comorbilità cardiovascolari. Così come i gepanti, un’evoluzione degli anticorpi monoclonali anti-CGRP, anch’essi molto interessanti per il meccanismo d’azione: agiscono sempre sul recettore del CGRP, ma la rivoluzione sta nel fatto che potranno essere usati sia come terapia dell’attacco acuto sia a livello preventivo. Questi farmaci, inoltre, sono risultati di elevata efficacia e privi di effetti avversi e, da quanto emerso dagli studi preclinici, sono anche caratterizzati da una minor tendenza a indurre i fenomeni di sensibilizzazione centrale che sottendono la cronicizzazione dell’emicrania».

Quindi, come la medicina in generale, anche la neurologia sta diventando di “precisione”, sviluppando molecole, come gli anticorpi monoclonali (ma non solo), progettate in laboratorio, capaci di andare a colpire esattamente il meccanismo biologico alla base della malattia, modulandola sul paziente.

di Francesca Morelli

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