«È un onore collaborare con gli specialisti di AIOM, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica, che ha avviato una Campagna per rendere accessibili alle donne con tumore al seno i test genomici, che in molti casi consentono addirittura di evitare la chemioterapia». Con queste parole Carolyn Smith si conferma madrina di questa nuova campagna. Artista di origini scozzesi, ma di fama internazionale, Carolyn convive da anni con un tumore al seno. Di recente ha fondato ed è presidente di Dance for Oncology, la prima associazione al mondo che coinvolge i malati oncologici nell’attività del ballo come aiuto psico-fisico alla malattia. «Da paziente e da donna, sento la responsabilità di rappresentare persone che vivono nella mia stessa condizione, con le quali condivido preoccupazioni e speranze. Tutti hanno il diritto di ricevere le cure migliori e per fortuna oggi esistono gli strumenti in grado di personalizzarle il più possibile». Dobbiamo infatti poter garantire a tutte le pazienti con tumore del seno la possibilità di effettuare test genomici che possono evitare la chemioterapia. Non a tutte, purtroppo, viene offerta questa opportunità, già inserita nelle linee guida internazionali. Dovrebbero essere circa 10mila donne, ma si tratta di un numero destinato a crescere. In questo modo è possibile ridurre il ricorso a terapie con effetti collaterali, “perché evitare la chemioterapia può fare la differenza”. È questo l’obiettivo della Campagna di sensibilizzazione promossa da Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica).
«L’uso dei test genomici nelle donne che presentano le caratteristiche adatte sta diventando ormai una prassi comune fra gli oncologi», afferma Saverio Cinieri, Presidente di Fondazione AIOM. «Tuttavia bisogna incrementarne l’utilizzo e svolgere un’attività di sensibilizzazione a 360 gradi. Ci rivolgiamo in primo luogo agli oncologi medici, ma anche alle Istituzioni nazionali e regionali e più in generale ai cittadini e all’opinione pubblica. Da qui la scelta di coinvolgere una paziente oncologica e un volto noto proveniente dal mondo dello spettacolo. Alcune nostre pazienti presentano una neoplasia che cresce sotto lo stimolo ormonale e quindi le trattiamo con terapia endocrina. Il beneficio dell’aggiunta della chemioterapia è molto controverso nelle pazienti non ad alto rischio di ricomparsa del tumore. Oggi grazie ai test genomici possiamo individuare le donne che richiedono o che possono evitare ulteriori altre terapie».
La campagna si articolerà principalmente sui social con la creazione e diffusione di post per raggiungere il numero maggiore di utenti del web. «Si calcola che circa 8.000 donne con carcinoma mammario ogni anno sono sottoposte alla chemioterapia e potrebbero evitarla», aggiunge la professoressa Adriana Bonifacino, Presidente di Fondazione IncontraDonna e Responsabile Scientifico di Dance for Oncology. «Sono terapie che impiegano risorse economiche rilevanti, dal momento che il costo medio dei cicli di chemioterapia raggiunge i 7 mila euro. Inoltre è un trattamento che provoca effetti collaterali importanti come danni cutanei, fatigue, infezioni, alterazione del gusto o dell’olfatto e dolore. Sia per il singolo paziente, che per tutto il sistema sanitario nazionale, vi sono ottimi motivi per i quali il ricorso ai test genomici debba essere incrementato quanto prima, come provato da molteplici studi pubblicati su riviste scientifiche di riconoscimento internazionale».
Il tumore mammario è il più frequente in Italia e interessa oltre 834 mila donne. «È una malattia oncologica molto eterogenea e sono numerose le opzioni terapeutiche disponibili», prosegue Cinieri. «Per i carcinomi HER2-positivi e triplo-negativi, la chemioterapia è quasi sempre indispensabile e il beneficio riscontrato risulta evidente. In quelli invece con recettori ormonali positivi e HER2-negativi il ruolo di questa terapia è discutibile. Da più di un decennio riusciamo a definire con maggiore precisione la prognosi e selezionare il miglior trattamento. Sono stati, infatti, elaborati test di analisi dei profili di espressione genica in grado predire l’aggressività di un tumore ormono-responsivo». Per permettere a tutte le pazienti di usufruire gratuitamente dei test genomici, è stato istituito un Fondo di 20 milioni di euro per il rimborso degli esami. Si sono resi poi necessari un decreto attuativo del Ministero della Salute e l’emanazione di delibere da parte di tutte le Regioni e Province Autonome. «L’Italia è arrivata tardi sull’uso dei test genomici e non sempre vengono utilizzati in modo soddisfacente», aggiunge la professoressa Bonifacino. «È arrivato il momento di recuperare il tempo perso». «La genomica ci può fornire informazioni straordinarie e molto precise sulla natura di alcuni tumori», conclude Cinieri. «Nel caso specifico del carcinoma mammario grazie ai test possiamo conoscere determinati parametri clinici che altri dati sul tumore, come la grandezza della massa o la stadiazione, non sono in grado di offrirci. E questo rientra nel concetto di “medicina di precision”, alla base dell’oncologia e del contrasto alle gravi malattie».
di Paola Trombetta
AIFA approva la rimborsabilità di Olaparib per tumore al seno precoce con mutazione BRCA
Inizia una nuova era nel trattamento delle forme ereditarie del tumore della mammella, in particolare in presenza di mutazione dei geni BRCA, grazie a una terapia mirata, olaparib. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha approvato la rimborsabilità in monoterapia o in associazione con la terapia endocrina per il trattamento adiuvante, cioè successivo all’intervento chirurgico, di donne con cancro della mammella allo stadio iniziale ad alto rischio, negativo per il fattore di crescita (HER2-negativo) e con mutazioni nella linea germinale BRCA1/2, precedentemente trattati con chemioterapia neoadiuvante (cioè prima della chirurgia) o adiuvante. Ad agosto 2022, la Commissione Europea ha approvato olaparib in questa indicazione, sulla base dei risultati dello studio di Fase III OlympiA, pubblicati nel “The New England Journal of Medicine”. Olaparib ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da malattia invasiva, riducendo il rischio di recidiva del 42%. Questa terapia mirata ha evidenziato un miglioramento della sopravvivenza globale, riducendo il rischio di morte del 32%.
«Cambiano radicalmente le prospettive di cura per le pazienti con una specifica forma ereditaria di carcinoma mammario, cioè per le donne con mutazione di uno o entrambi i geni BRCA1 e BRCA2», spiega Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli. «In presenza di una mutazione BRCA, il tumore della mammella tende a manifestarsi in una popolazione più giovane rispetto all’età media di diagnosi. La maggior parte di questi tumori, se identificati in fase precoce, guarisce. Una parte però presenta un rischio più elevato. Da qui la necessità di nuovi strumenti di cura efficaci. Olaparib colpisce specificamente le mutazioni dei geni BRCA1 e 2, per ridurre ulteriormente il rischio di recidiva e aumentare le probabilità di guarigione definitiva. L’approvazione da parte di AIFA introduce una terapia aggiuntiva per le pazienti con malattia in stadio precoce, ad alto rischio di recidiva, già trattate con terapia neoadiuvante e per le donne operate direttamente e che hanno già seguito la terapia adiuvante standard».
Nel 2022, in Italia, sono stati stimati 55.700 nuovi casi di carcinoma mammario. La presenza di una mutazione BRCA si rileva in circa il 5% delle pazienti. Olaparib è già rimborsato nel nostro Paese per il trattamento di pazienti con cancro della mammella localmente avanzato o metastatico triplo negativo, con mutazioni germinali di BRCA, precedentemente trattati con chemioterapia.
«Il test per le mutazioni BRCA va eseguito al momento della diagnosi ed è fondamentale sia per permettere alle pazienti di accedere a una terapia personalizzata efficace e in grado di garantire una buona qualità di vita, sia per informare i familiari su un’eventuale predisposizione genetica allo sviluppo della malattia», afferma Laura Cortesi, Responsabile della Struttura Semplice di Genetica Oncologica al Dipartimento di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena. «L’esame può essere prescritto dall’oncologo, dal chirurgo o dal genetista, che diventano responsabili anche di informare adeguatamente la paziente sugli aspetti genetici collegati ai risultati». Da tempo vi sono evidenze sul ruolo dell’alterazione delle due proteine BRCA non solo nel tumore della mammella, ma anche in quelli dell’ovaio e della prostata. «Conoscere la mutazione dei geni BRCA è molto importante sia per il paziente stesso, poiché permette, oltre alla cura, di definire il rischio di sviluppare altre neoplasie e di programmare una gestione clinica personalizzata, sia per iniziare il percorso familiare che permette l’identificazione di persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi per ridurre il rischio di sviluppare la neoplasia», sottolinea Emanuela Lucci Cordisco, Genetista Medico alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma. «Il rischio di trasmissione dai genitori ai figli delle mutazioni nei geni BRCA è del 50%. Una mutazione di BRCA, ereditata dalla madre o dal padre, determina una predisposizione a sviluppare il tumore più frequentemente rispetto alla popolazione generale. Il percorso di consulenza oncogenetica nei familiari, che permette di identificare i portatori sani ad alto rischio e coloro che non hanno ereditato la mutazione e hanno quindi un rischio più basso, si compone di più fasi e si conclude con la comunicazione del risultato dell’esame. Il test BRCA per la ricerca di varianti costituzionali, cioè ereditabili, è eseguito in molti laboratori del nostro Paese. Se il test è positivo, è possibile attuare efficaci strategie di riduzione del rischio, che spaziano dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica. Una donna sana con mutazione del gene BRCA può scegliere di sottoporsi a controlli radiologici più frequenti, per diagnosticare eventuali tumori della mammella quando sono ancora in stadio iniziale e, quindi, più facilmente curabili. Dall’altro lato l’intervento di mastectomia bilaterale, cioè la rimozione chirurgica di entrambe le mammelle, è in grado di ridurre di oltre il 90%, nelle donne sane, il rischio di sviluppare in futuro un carcinoma mammario».
Paola Trombetta