La preservazione della fertilità per le pazienti oncologiche è stato uno dei temi al centro del congresso “Back from San Antonio” che si è tenuto il 12 e 13 gennaio a Genova. Anche quest’anno ha coinvolto i maggiori esperti italiani e con oltre 250 partecipanti. Genova si conferma uno dei centri di ricerca ed assistenza sul carcinoma mammario più importanti a livello nazionale e internazionale. Merito soprattutto della Breast Unit dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino che è diventata un hub regionale con oltre 1.000 nuovi casi l’anno presi in carico. Garantisce percorsi assistenziali dedicati con particolare attenzione al tema della preservazione della fertilità per le pazienti under 40. Grazie alla sua Unità di Oncofertilità, la prima istituita in Italia nel 2001, una donna su dieci riesce ad avere un figlio dopo la diagnosi di tumore del seno. Un dato doppio rispetto alla media nazionale che colloca l’IRCCS genovese ai primi posti in Europa.
«La probabilità di guarigione definitiva da un tumore del seno supera attualmente il 60%», spiega Lucia Del Mastro, Professore Ordinario e Direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova. «Sempre più dobbiamo porci l’obiettivo di preservare il benessere psico-fisico delle nostre pazienti, anche dopo la somministrazione di cure spesso ancora invasive. Il desiderio di maternità è un diritto che l’oncologia può e deve riuscire a garantire a un numero crescente di donne. Al San Martino, la paziente che deve sottoporsi a chemioterapia, riesce ad avere un accesso diretto alle procedure di congelamento degli ovociti e del tessuto ovarico. L’intuizione, che abbiamo avuto oltre 20 anni fa, di creare una collaborazione strutturata tra il reparto di oncologia medica e il centro di procreazione medicalmente assistita diretto dalla Dottoressa Paola Anserini, è risultata vincente».
Di oncofertilità si è discusso di recente al San Antonio Breast Cancer Symposium, dove è stato presentato un approfondimento dello Studio internazionale POSITIVE. «Si è dimostrato come l’utilizzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita sia sicuro, senza aumentare il rischio di recidiva del cancro mammario», sottolinea Matteo Lambertini, Professore Associato di Oncologia Medica all’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova. «Questo è stato riscontrato tra le pazienti con carcinoma mammario positivo ai recettori ormonali che hanno sospeso temporaneamente la terapia endocrina per cercare una gravidanza». Un ulteriore studio sul tema dell’oncofertilità, coordinato dal San Martino, è stato presentato da Matteo Lambertini in Texas al SABCS e pubblicato sulla prestigiosa rivista americana “Jama”. In questo studio, sono stati coinvolti più di 70 centri in tutto il mondo e arruolate oltre 4.700 giovani donne con un tumore del seno ereditario per la presenza di una mutazione ai geni BRCA. Dopo aver completato le cure oncologiche e un corretto periodo di osservazione, una donna su cinque è riuscita ad avere una gravidanza. Inoltre, portare a termine una gravidanza dopo la diagnosi di tumore al seno in donne BRCA mutate, sottoposte a precedente chemioterapia, è risultato sicuro sia per le mamme (cioè senza alcun rischio aumentato di recidiva del tumore), sia per i bimbi (cioè senza alcun rischio aumentato di malformazioni o altre complicanze della gravidanza).
Al congresso “Back from San Antonio” di Genova, gli specialisti italiani hanno anche discusso sulle ultime evidenze scientifiche emerse in terra americana. «Dal meeting statunitense sono arrivate importanti conferme sul ruolo degli anticorpi coniugati», aggiunge la professoressa Del Mastro. «Si tratta di farmaci che stanno cambiando il trattamento del cancro e sono composti da un anticorpo a cui sono aggiunte molecole di chemioterapico. Nel tumore mammario sono utilizzati nei casi triplo negativi e in quelli HER2 positivi. Ora abbiamo a disposizione i risultati favorevoli anche per le donne affette da carcinoma mammario con recettori ormonali positivi. Altre conferme sono giunte dall’immunoterapia che può essere usata per il trattamento del tumore in fase precoce». Anche in questa edizione dell’evento genovese, sono stati assegnati tre premi a giovani oncologi under 40, prime firme di lavori scientifici sul carcinoma mammario pubblicati nel 2023. Benedetta Conte, ex specializzanda dell’Università di Genova, attualmente dottoranda presso l’Hospital Clinic di Barcellona, per il lavoro sui fattori che predicono tossicità ed efficacia della terapia ormonale; Luca Licata, dell’Ospedale San Raffaele di Milano per la sua ricerca sui tumori ad elevata attività proliferativa; Eva Blondeaux, Oncologo Medico presso l’Unità di Epidemiologia Clinica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, primo autore con Matteo Lambertini del lavoro presentato al SABCS sulla gravidanza dopo carcinoma mammario nelle pazienti con mutazione BRCA.
di Paola Trombetta
Aifa approva la rimborsabilità di trastuzumab deruxtecan per la malattia “Her 2 low”
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità di trastuzumab deruxtecan come monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con cancro della mammella HER2 low, non operabile o metastatico, che hanno ricevuto precedente chemioterapia per malattia metastatica o hanno sviluppato recidiva di malattia durante i 6 mesi dal completamento della chemioterapia adiuvante. A gennaio 2023 trastuzumab deruxtecan è stato approvato dalla Commissione europea per questa indicazione in base ai risultati dello studio di fase 3 DESTINY-Breast 04, pubblicati sul “New England Journal of Medicine”. È stata osservata una sopravvivenza libera da progressione di malattia di 9,9 mesi nelle pazienti trattate con trastuzumab deruxtecan rispetto a 5,1 mesi con chemioterapia. Inoltre, l’anticorpo farmaco-coniugato ha ridotto del 36% il rischio di morte, con un miglioramento di oltre 6 mesi della sopravvivenza globale, che ha raggiunto 23,4 mesi con trastuzumab deruxtecan rispetto a 16,8 mesi con sola chemioterapia. Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 55.900 nuovi casi di carcinoma mammario e circa 52 mila persone vivono con la malattia metastatica, un numero in costante aumento.
«Trastuzumab deruxtecan appartiene alla categoria degli anticorpi farmaco-coniugati, cioè è costituito da un anticorpo diretto contro il recettore HER2, espresso sulle cellule tumorali, e da un potentissimo chemioterapico legato a questo anticorpo: il risultato è di traghettare all’interno delle cellule questo chemioterapico che porta a morte cellulare, limitando l’esposizione dei tessuti normali», spiega Giampaolo Bianchini, Professore associato e responsabile del Gruppo mammella dell’IRCSS Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Questa terapia innovativa supera il dogma, precedentemente definito nel tumore della mammella, per cui le terapie anti-HER2 funzionano solo nei carcinomi HER2 positivi, che esprimono livelli molto alti di questo recettore, espandendo gli orizzonti della cura a pazienti precedentemente escluse dai benefici delle terapie HER2 mirate. Nello studio DESTINY-Breast04, che ha coinvolto 557 pazienti, trastuzumab deruxtecan ha ridotto del 50% il rischio di progressione rispetto alla chemioterapia e aumentato significativamente la sopravvivenza globale. L’impatto di questi risultati è tale da aver meritato da parte della comunità scientifica la piena approvazione al Congresso della Società Americana di Oncologia (ASCO) di Chicago. Questo rappresenta un ulteriore importante passo avanti per aumentare tempo e qualità della vita per un numero sempre maggiore di pazienti con malattia metastatica». «Fino al 55% di tutti i tumori al seno esprime livelli bassi di HER2 ed è, pertanto, classificabile come HER2 low. Fino ad oggi questi tumori erano considerati HER2 negativi», fa notare Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione “G. Pascale” di Napoli. «Oggi, invece, visto che i tumori HER2 low possono avvalersi di questa nuova opportunità terapeutica di trastuzumab deruxtecan, diventa fondamentale identificarli con precisione. Lo stato di HER2 low può essere determinato utilizzando il comune test di immunoistochimica: ora diventa estremamente importante identificare il livello di questa proteina, e non solo dichiarare un risultato positivo o negativo, proprio per diagnosticare i tumori HER2 low, rispetto a quelli con assenza completa della proteina HER2 (HER2 0). Per questo è necessario il ruolo del team multidisciplinare nella valutazione dei pazienti e, in particolare, una collaborazione stretta tra oncologo e patologo che effettua i test diagnostici». P.T.