Sono esami fastidiosi e spesso suscitano timore e paura di avvertire forti dolori. Così si tende a rimandare questi esami “invasivi”, anche in presenza di sintomi che si sopportano magari per anni. La gastroscopia e la colonscopia sono però strumenti diagnostici essenziali per individuare patologie, come le ulcere nello stomaco o i polipi nell’intestino, che potrebbero degenerare anche in forme tumorali. Diagnosticarli precocemente è fondamentale. E sottoporsi a questi esami è importante, soprattutto dopo i 50 anni. Del resto, il recente e “misterioso” intervento all’addome, a cui è stata sottoposta la principessa Kate Middleton (di cui abbiamo pubblicato un articolo il 7 febbraio, al link: www.donnainsalute.it/ 2024/02/ kate-middleton-le-ipotesi-piu-accreditate-sullintervento-alladdome/), sottolinea ancora una volta quanto sia basilare la prevenzione che può essere effettuata proprio con questi controlli endoscopici.
Per comprenderne l’importanza e trovare il coraggio di sottoporsi con assoluta tranquillità, abbiamo intervistato la dottoressa Lorella Fanti, responsabile dell’Unità Funzionale di Endoscopia Digestiva presso l’Unità Operativa di Gastroenterologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Molto professionale e cordiale, ti mette subito a tuo agio, accennando a qualche battuta scherzosa che distende il clima teso e ti infonde la certezza che non sentirai alcun dolore. Non posso che confermare un’esperienza assolutamente positiva, che non esiterei a consigliare a chiunque, soprattutto alle persone ansiose e preoccupate com’ero io quel fatidico giorno…
Per quali sintomi e in quali casi (ad esempio familiarità per tumore gastrico o del colon, malattie infiammatorie intestinali, diverticolite) si ricorre ad esami quali la gastroscopia e la colonscopia?
«Per quanto riguarda la colonscopia, nel caso di familiarità per tumore del colon, andrebbe eseguita 10 anni prima dell’età di insorgenza nel familiare e, successivamente, in assenza di lesioni riscontrate, ogni 5 anni. Per la prevenzione è inoltre importante eseguirla la prima volta, a partire dai 50 anni e, successivamente, ogni 10 anni. La gastroscopia va senz’altro eseguita ogni 5 anni in presenza di familiarità per neoplasia gastrica o comunque in presenza di sintomi cosiddetti di “allarme” che valuterà il vostro medico curante o lo specialista».
Esistono in Italia screening per le persone “a rischio” che dovrebbero sottoporsi periodicamente a questi esami?
«L’unico screening di massa diffuso sul territorio nazionale in ambito gastroenterologico, è la ricerca sangue occulto nelle feci, consigliato alla popolazione a partire dai 50 anni che, in caso di positività, pone l’indicazione ad eseguire la colonscopia a prescindere dall’età e dalla familiarità».
Quali patologie vengono più di frequente diagnosticate nelle donne rispetto agli uomini?
«Nelle donne sono più diffuse le malattie a genesi autoimmune, il colon irritabile e la stipsi. Per quanto riguarda l’insorgenza di neoplasie la differenza non è così rilevante rispetto agli uomini».
Esistono ancora reticenza e timore ad effettuare questi esami per paura di sentire dolore. Qual è il “segreto” della sedazione da lei praticata, avendo pubblicato diversi studi sull’argomento, che rende questi esami assolutamente indolori?
«In realtà sono da sempre stata attratta dal concetto di “ospedale senza dolore”. Il protocollo di sedazione che utilizziamo qui all’Ospedale San Raffaele è frutto di più di 20 anni di studio e di stretta collaborazione con i nostri anestesisti per disegnare un protocollo farmacologico che offrisse comfort, sicurezza e controllo del dolore ottimali. Non si tratta di una ricetta segreta da applicare, ma semplicemente di molto studio, passione ed esperienza».
Da esami prevalentemente diagnostici, a veri e propri “interventi”: in quali casi l’endoscopia diventa un intervento con valenza terapeutica?
«Sempre più spesso l’endoscopia sta assumendo valenza terapeutica, sia in pazienti ricoverati sia in pazienti ambulatoriali per interventi di minore entità; tramite l’endoscopia si può procedere ad asportazione di polipi, a trattamento di emorragie e a molto altro».
Qual è stato l’intervento endoscopico più complesso nella sua esperienza professionale?
«Gli interventi complessi sono stati molti ed è difficile identificarne uno solo; sicuramente ricordo con orgoglio alcuni casi per i quali il trattamento endoscopico, talvolta ripetuto e prolungato nel tempo, è stato risolutivo ed ha evitato al paziente un secondo intervento chirurgico che sarebbe stato gravato da un elevato tasso di mortalità. In particolare ricordo il caso di una deliziosa signora, che aveva meno di 50 anni, sottoposta a un intervento di asportazione dell’esofago per una neoplasia. In questo caso sono riuscita, con tecnica e pazienza, a trattare e chiudere per via endoscopica una fistola post-chirurgica di ben 8 cm. Se avessi fallito, la paziente avrebbe dovuto sottoporsi a un nuovo intervento, gravato da un tasso di mortalità molto elevato: riuscire ad evitare tutto ciò mi ha dato una soddisfazione indescrivibile!».
Come riesce a conciliare un lavoro così impegnativo e un aggiornamento continuo, con la sua vita privata?
«La mia attività di Medico ospedaliero, che è sempre stata il mio sogno, è iniziata nel 1990. La mia vita professionale è stata una scelta consapevole e voluta e da sempre si svolge con ritmi che vanno dalle 10 alle 12 ore al giorno, con turni di reperibilità notturna, festiva e anche durante il weekend. Non ho avuto figli per caso e non per scelta e, per fortuna, ho un compagno che svolge un’attività come libero professionista che gli concede molto più tempo libero rispetto a me. Di fatto mi è di grande aiuto nello svolgere tutte quelle incombenze delle quali fatico ad occuparmi a causa del mio lavoro. In tutti i modi, tornando indietro, non mi viene in mente nessuna professione che avrei potuto/voluto svolgere in alternativa alla mia».
di Paola Trombetta