«Ho scoperto di avere l’infezione da HIV per puro caso, da un semplice esame del sangue. All’epoca, siamo agli inizi degli anni ’90, si cominciava a parlare di questo virus che colpiva alcune persone, molte delle quali morivano, anche giovani, nel giro di pochi anni. Allora non c’era nulla per poterlo curare. Inspiegabilmente il mio fisico ha retto bene per dieci anni, perché non ho mai avuto sintomi. Finché nel 1997 sono arrivate le terapie ed è stata una rivoluzione incredibile. Ho visto con i miei occhi persone che conoscevo e stavano malissimo ed erano completamente allettate: nel giro di un mese hanno cominciato a star bene. A quell’epoca si parlava di “sindrome di Lazzaro”, perché la persona malata si riprendeva completamente. Dalla fine degli anni ’90, si dovevano assumere tanti farmaci che provocavano molti effetti collaterali: si vedevano persone magrissime, ma con l’addome gonfio, un aspetto che era decisamente stigmatizzante. Per fortuna non ho avuto questi problemi: oggi prendo una sola compressa la mattina e non ha mai avuto particolari disturbi. Grazie a questi farmaci, la qualità e l’aspettativa di vita sono oggi comparabili a quelle delle persone che non hanno l’HIV. A causa del processo infiammatorio dovuto alla presenza del virus, chi ha l’infezione è più soggetto ad alcune comorbidità, quali un maggiore rischio di patologie cardiovascolari, tumori, fragilità ossea. Ma certamente, rispetto a tanti anni fa, la nostra qualità di vita è completamente cambiata. Quello che non è invece cambiato è lo stigma perché ancora di HIV se ne parla troppo poco, soprattutto tra i giovani, ma anche tra gli adulti che hanno vissuto questa malattia negli anni ’90. Abbiamo un’arma potentissima per combattere lo stigma: U=U, ovvero Undetectable-Untransmittable, ovvero se non è rilevabile, non è trasmissibile. Vuol dire che una persona HIV positiva che assume le terapie, in pochi mesi raggiunge la “non rilevabilità” della carica virale, in quanto il virus perde la capacità di riprodursi e la persona non trasmette più il virus. Questo è fondamentale da sapere e noi, come associazione ANLAIDS, stiamo da anni divulgando questa evidenza scientifica. In occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS, che si celebra tutti gli anni il 1° dicembre, i dati delle recenti indagini dell’Istituto Superiore di Sanità mostrano anche quest’anno che circa il 50% delle persone con HIV si accorgono di averlo solo quando presenta sintomi. Per questo caldeggiamo che il test diventi un esame di routine da fare, soprattutto da parte di persone sessualmente attive, con particolare riferimento alle giovani donne. Purtroppo c’è ancora molta reticenza per fare questo test e i medici dovrebbero essere i primi a consigliarlo. Sapere per tempo di avere l’infezione vuol dire poter accedere subito ai farmaci, non ammalarsi e limitare il contagio. Fare il test una volta all’anno non dovrebbe essere un problema, soprattutto per le giovani donne, che sono le categorie più a rischio, in particolare in alcuni Paesi dove sono costrette a subire atti sessuali, anche contro la loro volontà. Anche da noi ci sono donne che a volte non riescono a “negoziare” l’uso del profilattico. È importante fare il test e soprattutto fare prevenzione. Si aggiunge oggi l’opzione della “profilassi pre-esposizione”: utilizzare cioè il farmaco in fase preventiva, prima di un rapporto sessuale a rischio. Purtroppo l’accesso a questo farmaco, rimborsato dal SSN dal maggio 2023, non è molto facile: è ancora appannaggio dei reparti di malattie infettive e gli ambulatori che lo forniscono non sono capillarmente diffusi sul territorio nazionale. Può essere assunto sia tutti i giorni, sia on-demand, nei casi in cui si prevede di avere rapporti sessuali in determinati giorni. L’importante è diffondere queste informazioni, soprattutto nelle scuole, dove difficilmente si parla di educazione sessuale. E anche i consultori sono una realtà in via di estinzione. Per questo ben vengano campagne d’informazione come quella presentata oggi». Ne è convinta Valeria Calvino di ANLAIDS ETS, intervenuta alla presentazione della Campagna “HIV-Parliamone ancora” e dei podcast “A voce alta – Dialoghi sull’HIV”: disponibili da oggi su una piattaforma web: www.hivneparliamo.it, è un prezioso strumento dove medici e pazienti dialogano su questi temi e come affrontarli al meglio.
L’importanza dell’aderenza alla terapia
Questa iniziativa rientra in una più ampia Campagna d’informazione “HIV. Parliamone ancora!”, promossa da Gilead Sciences, con il patrocinio di 16 associazioni di pazienti, di SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) e ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research). Aderenza terapeutica e resistenze sono al centro del dibattito che si è svolto la scorsa settimana al Congresso ICAR di Roma. Oggi le persone con HIV hanno una qualità e un’aspettativa di vita che fino a 30 anni fa era impensabile. A patto però di seguire la terapia con costanza e regolarità, evitando che si sviluppino resistenze ai farmaci e che l’infezione progredisca. L’aderenza può essere faticosa per chi deve assumere una terapia tutta la vita; per questo è importante discutere con il proprio medico, in modo da trovare insieme la soluzione più adatta a ognuno.
Grazie alle terapie antiretrovirali si raggiunge in breve tempo la soppressione della replicazione virale; in questa condizione il rischio di trasmissione è azzerato. La chiave per garantire che la carica virale rimanga soppressa è l’aderenza alla terapia. Se la terapia non è assunta correttamente, secondo lo schema terapeutico concordato dal medico, il virus riesce nuovamente a replicarsi e produrre nuove copie virali. Queste possono contenere mutazioni in grado di renderla resistente ai farmaci che così diventano inefficaci. «Una volta che il virus ha “imparato” a rendere inefficace un farmaco, non lo dimentica più. Ecco perché la resistenza ai farmaci limita le opzioni terapeutiche disponibili e può rendere più complessa la gestione dell’infezione», puntualizza Simone Lanini, Professore Associato in Malattie Infettive Università degli Studi di Udine. Il tema dell’aderenza e dello sviluppo di resistenze sono al centro del primo podcast della serie “A Voce Alta – Dialoghi sull’HIV”, realizzata da OnePodcast in collaborazione con Gilead Sciences, che è possibile ascoltare a questo link: (https://open.spotify.com/show/3WO4OGtxxupBJBiR7Oy1sz). Il Podcast fa parte dell’iniziativa “HIV. Parliamone ancora!” che rientra nella più ampia campagna “HIV. Ne parliamo?”. Accanto al podcast, su tutte le piattaforme è disponibile un nuovo opuscolo informativo per i medici sul rischio di sviluppo di resistenze, mentre la landing page della campagna, www.hivneparliamo.it, si arricchirà di nuove storie dedicate a queste tematiche ed altri aspetti legati alla qualità di vita. In autunno, infine, è prevista l’uscita di una seconda puntata della serie dedicata alle persone che hanno appena ricevuto una diagnosi di infezione da HIV e un nuovo opuscolo su questa tematica. Con questa nuova iniziativa si ampliano gli strumenti messi a disposizione da “HIV. Ne parliamo?” per la promozione del dialogo fra medici e persone con HIV, per una migliore qualità di vita.
«Il dialogo fra medico e paziente deve essere franco, aperto e bidirezionale. Deve creare empatia e favorire un modello di cura collaborativo. Deve esplorare tutti gli aspetti che possono ostacolare un’assunzione ottimale della terapia e, se necessario, deve fornire alla persona che vive con HIV gli strumenti per rimodellare l’interpretazione della propria malattia e condividere nuovi obiettivi di cura. Talvolta, in questo senso, può essere utile coinvolgere figure esterne, come lo psicologo», afferma Giuseppe Lapadula, Ricercatore Malattie Infettive Università degli Studi Milano-Bicocca. «Posto che difficilmente la modifica della terapia risolve i problemi di mancata aderenza, adattare la terapia alle abitudini di chi la assume, e non viceversa, aumenta le probabilità che questa venga assunta correttamente». «Da oltre 35 anni siamo accanto alle persone con HIV, offrendo loro i risultati della nostra ricerca e il nostro supporto per migliorarne la qualità di vita. E se all’inizio di questo percorso il nostro impegno era focalizzato nel trovare soluzioni salvavita, ora che le abbiamo trovate e le persone con HIV possono avere un’aspettativa di vita paragonabile a chi non ha l’infezione, è nostro dovere impegnarci a migliorare la qualità di questo tempo, sviluppando soluzioni terapeutiche sempre più efficaci e promuovendo una corretta informazione e un maggiore dialogo tra medici e pazienti. La campagna “HIV. Ne parliamo?” è un’iniziativa fondamentale in questo senso perché offre strumenti concreti a clinici e pazienti per costruire un rapporto di fiducia e migliorare la relazione di cura a favore delle persone che vivono con HIV», conclude Gemma Saccomanni, Senior Director Public Affairs Gilead Sciences.
di Paola Trombetta (con la collaborazione di Stefania Bossiner)