Malattie rare metaboliche e nutrizione: un binomio inscindibile

Si definiscono “rare” le patologie che interessano fino a una persona ogni 2.000. Ad oggi conosciamo oltre 6.000 malattie rare che colpiscono 300 milioni di persone in tutto il mondo, con oltre un milione di casi in Italia. Tale rarità complica il percorso di cura e ne ritarda la diagnosi, che arriva spesso dopo l’esclusione delle malattie più comuni, oppure a causa della mancata disponibilità di un trattamento specifico, la cui ricerca e sviluppo è resa complessa per la scarsa disponibilità di dati. «E’ importante ricordare che nelle malattie rare il problema più importante è il ritardo diagnostico, che avviene soprattutto nelle donne», conferma il professor Giuseppe Limongelli, direttore del Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania, che ha promosso l’evento #AperiPizzaRara, al Pizza Village di Napoli (vedi ricetta Food), presso la Mostra d’Oltremare. «I sintomi di queste malattie sono spesso sottovalutati perché considerati disturbi funzionali. In particolare accade per i disturbi gastrointestinali che potrebbero invece essere sintomi di patologie sistemiche, anche di origine metabolica: se vengono individuate e trattate precocemente possono avere delle cure efficaci. Un esempio è la Malattia di Anderson Fabry, una patologia rara metabolica, legata a un problema a livello dei lisosomi, piccoli organi che intervengono nel metabolismo degli alimenti. Questa patologia genera problemi gastrointestinali che, negli anni, possono interessare anche i reni, il cuore, e persino il sistema nervoso centrale. Per questo è fondamentale non sottovalutare disturbi intestinali ricorrenti, che magari non rispondono ad altre terapie e non ricevono diagnosi adeguate». Per sapere di più di queste malattie genetiche rare e capire quale alimentazione sia più adatta ai pazienti che ne sono affetti, abbiamo intervistato la dottoressa Francesca Dongiglio, biologa nutrizionista dell’Unità Malattie Genetiche Rare dell’Ospedale Monaldi di Napoli.

Nutrizione e malattie rare: qual è il ruolo degli alimenti in presenza di alcune malattie rare che interferiscono con il metabolismo?
«Le malattie rare colpiscono ad ogni età, in particolare i bambini. Nell’età pediatrica ad esempio sono associate a una serie di patologie note come glicogenosi. A causa di una mutazione, alcuni geni non funzionano e impediscono il metabolismo del glicogeno. A seconda dell’enzima interessato, si hanno diversi tipi di glicogenosi. Si distinguono le Glicogenosi epatiche, caratterizzate da un accumulo prevalentemente a livello del fegato e le Glicogenosi muscolari caratterizzate da accumulo soprattutto nei muscoli. Tali patologie possono richiedere l’applicazione di protocolli nutrizionali specifici. La dieta è un supporto importante, ma non è una vera e propria terapia. Per alcune patologie esistono farmaci che sostituiscono il malfunzionamento di alcuni geni. Si stanno sviluppando una serie di ricerche sulle terapie geniche, per sostituire il gene mancante o carente, ma sono ancora in fase sperimentale».

Ci sono malattie metaboliche che compaiono in età adulta? Potrebbe fare qualche esempio?
«Per quanto riguarda l’età adulta, possono insorgere patologie come appunto la malattia di Anderson Fabry, causata da accumulo lisosomiale ed è dovuta alla carenza dell’enzima alfa-galattosidasi A. Questo porta all’accumulo di glicosfingolipidi, in particolare globotriaosilceramide (Gb3), nei tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto l’organismo, con danni a livello renale, sistema gastrointestinale, cardiaco e del sistema nervoso centrale tali da compromettere qualità e aspettativa di vita.  In particolare nell’apparato gastrointestinale, i pazienti riferiscono sintomi quali dolore e gonfiore addominale, difficoltà digestive: disturbi piuttosto aspecifici che sono da riferire a patologie di più comune riscontro come la sindrome colon irritabile. In questo caso si può utilizzare una dieta a ridotto contenuto di alcuni zuccheri, che, se assunti, possono peggiorare la sintomatologia. Gli alimenti da evitare sono ad esempio legumi, fruttosio, lattosio, ma anche carne e pesce. Occorre dunque seguire una dieta particolare che viene indicata da un ricettario che si può scaricare dal sito del nostro centro (www.ospedalideicolli.it/malattie-rare-campania/). Un’altra patologia, che può comparire anche in età adulta, è la sindrome di Marfan,  patologia autosomica dominante che colpisce il tessuto connettivo. Le manifestazioni della sindrome di Marfan interessano gli organi che contengono tessuto connettivo come il sistema scheletrico, gli occhi, il cuore e i vasi sanguigni, i polmoni e le membrane fibrose che ricoprono il cervello e la colonna vertebrale. Da un punto di vista nutrizionale, i pazienti affetti da questa patologia hanno un BMI ridotto: per questo si preferisce fornire un protocollo dietetico ipercalorico con un controllato incremento di proteine.  Un’altra patologia che può comparire dopo i 50 anni è l’amiloidosi cardiaca che può essere legata a una mutazione di un gene specifico. Provoca affaticamento e perdita di peso, ed è causata dall’accumulo di sostanza amiloide in alcuni organi, compreso il cuore, ma anche a livello cerebrale e oculare. In questo caso possiamo pensare a una dieta con integrazione proteica, e aggiunta di sostanze come vitamina D, curcumina, che tendono a ridurre il deposito di queste placche di amiloide».

In presenza di carenze nutrizionali specifiche, si potrebbe pensare a una patologia genetica? Esistono test specifici per individuarle?
«Spesso una carenza nutrizionale, che comporta quasi sempre un grave dimagrimento, potrebbe essere un campanello d’allarme della presenza di patologie genetiche. Nel caso di amiloidosi cardiaca, ad esempio, all’inizio si avvertono disturbi gastrointestinali che provocano dimagrimento. I pazienti iniziano una serie di consulti con gastroenterologi, ed esami come colonscopie, gastroscopie, test per la celiachia. Essendo questi esami negativi, si arriva con difficoltà alla diagnosi di malattie metaboliche rare. Anche perché, ad oggi, non esistono ancora test genetici specifici per poterle individuare».

di Paola Trombetta

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