«Ho avuto le mie gravidanze in età completamente diverse», esordisce Francesca Barra, giornalista e scrittrice che ha portato la sua esperienza di donna e di mamma. «Non è cambiato nulla: quello che una donna prova in questi periodi non dipende dall’età. Tutte le volte ho convissuto con una serie di tabù, che partono da un assunto pericoloso: ovvero che sia fisiologico soffrire e fare fatica. E che, come hanno fatto le nostre nonne e le nostre mamme, così dobbiamo fare tutte noi». Esiste ancora il retaggio culturale che sintomi come nausea, dolori alla schiena, insonnia o addirittura il vomito in gravidanza siano “normali”, addirittura un segno che tutto stia procedendo bene. Non è cosi: nausea e vomito durante la gestazione non vanno considerati un disturbo, ma una vera e propria patologia, una complicanza su cui, negli ultimi anni, si sta ponendo sempre più attenzione.
«Solitamente nausea e vomito – spiega Romolo Di Iorio, Professore Associato di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Roma Sapienza – compaiono durante il primo trimestre, entro la sedicesima settimana, e interessano circa il 70% delle donne in gravidanza, con un impatto negativo sulla qualità della vita, a livello fisico e psico emotivo che si ripercuote sull’aumento dello stress e dell’ansia. Nel 4% dei casi questa condizione clinica può peggiorare e diventare iperemesi gravidica, che necessita di un trattamento più specifico, e talvolta del ricovero in ospedale. Quindi nell’immaginario collettivo sono vissuti come un disturbo delle prime fasi della gravidanza per scomparire con l’evolvere dell’epoca gestazionale». Recenti studi hanno invece dimostrato che possono comportare rischi, sia per la gravidanza, che per la madre e il neonato: pertanto è importante iniziare il più presto possibile un trattamento adeguato.
«C’è evidenza – prosegue il professor Di Iorio – che l’associazione tra un antistaminico (doxilamina) e la vitamina B6 (piridossina) sia efficace nel trattamento di nausea e vomito e sia una terapia sicura per la madre e il feto/neonato, ovvero che non si associa a eventi avversi sullo sviluppo e sulla salute del feto. Per questo è indicata dalle più recenti Linee guida internazionali delle principali società scientifiche di Ostetricia e Ginecologia come terapia di prima scelta, l’unica specificamente autorizzata per il trattamento di questa condizione. Tale terapia va prescritta da un medico, che dovrà valutare attentamente tutti gli aspetti clinici della paziente e iniziarla il più presto possibile, alla comparsa dei sintomi, per scongiurare la progressione verso le forme più gravi di iperemesi gravidica». Invece solo il 25% di donne riceve o ha ricevuto un trattamento per contrastare i sintomi.
Per valutare l’impatto di questa condizione sulla qualità della vita e le sue implicazioni è stato avviato lo studio multicentrico PURITY, il primo in Italia, che ha coinvolto un campione omogeneo di 528 pazienti gravide afferenti a tre strutture ospedaliere italiane: l’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” di Milano, il Presidio Ospedaliero SS. Annunziata di Chieti e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, per avere una visione del problema sul tutto il territorio nazionale. Alle partecipanti è stato somministrato un “doppio” questionario: il primo, tra la diciottesima e la ventiduesima settimana di gravidanza, per valutare la prevalenza e la gravità, l’insorgenza e la durata dei sintomi, il loro trattamento e l’impatto sulla qualità della vita; il secondo entro 14 giorni dal parto per indagare la correlazione tra i sintomi in gravidanza e gli esiti neonatali, lo stato di salute post-parto delle donne. Studio da cui sono emersi dati interessanti: una proporzione abbondante di donne, 348 su 528 (66%), hanno sofferto di nausea e vomito nelle prime 22 settimane di gravidanza: in forma lieve in 118 donne (34%), moderata in 217 donne (62%) e grave in 13 donne (4%), evidenziando che 2 donne su 3 hanno sperimentato questi disturbi oltre il primo trimetre di gravidanza.
«Nel nostro Paese la nausea gravidica – dichiara Irene Cetin, Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Università degli Studi di Milano e Direttore dell’Ostetricia del Policlinico di Milano – non è sempre stata considerata e trattata correttamente, con conseguente mancanza di supporto per le donne che ne soffrivano. Per questo motivo nel nostro studio abbiamo inserito anche alcune domande sulla qualità di vita, che mostrano come le donne richiedano una maggiore attenzione al problema. Negli ultimi anni la consapevolezza è aumentata tra i ginecologi, che oggi hanno a disposizione nuovi strumenti terapeutici per combattere questo disturbo. La seconda parte dello studio ha messo in luce un altro dato rilevante: le donne che soffrono di questi problemi hanno un aumentato rischio di parto pretermine, ovvero hanno in media un tempo gestazionale più corto, non arrivando alla quarantesima settimana. In buona sostanza, questi dati confermano come sia necessario non sottovalutare questi disturbi e trattarli adeguatamente, in quanto associati a un aumentato rischio di sviluppare complicanze con potenziali effetti negativi sia sulla futura mamma che sul bambino».
In questo percorso il ginecologo svolge un ruolo cruciale: «È la figura di riferimento a cui si deve rivolgere la donna – sottolinea Nicola Colacurci, già Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli e Past President di SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia) – ma anche per tutte le altre possibili problematiche che si possono verificare. Anche la donna con una gravidanza a basso rischio, in presenza di nausea e vomito o altri disturbi, deve essere indirizzata al ginecologo, che valuterà l’entità del problema e deciderà l’approccio diagnostico-terapeutico più opportuno».
In questa direzione, la SIGO ha avviato lo studio PURITY-Extended, che coinvolgerà 1.300 gestanti afferenti a 100 strutture ospedaliere su tutto il territorio nazionale. Lo scopo è valutare l’evoluzione dei disturbi nel corso di tre trimestri della gravidanza, tenuto conto anche delle differenze geografiche e socioeconomiche, dell’atteggiamento dei ginecologi e le possibili conseguenze sulla gravidanza, quali diabete gestazionale o ipertensione/preeclampsia e sul bambino, ad esempio l’iposviluppo fetale, le modalità del parto e il peso alla nascita.
«Attualmente l’impatto di nausea e vomito in gravidanza è ancora sottostimato – aggiunge Colacurci – sia perché le donne spesso riferiscono la problematica solo quando i disturbi impattano negativamente sulla qualità della loro vita, sia per la modalità di ricerca dei disturbi da parte dei ginecologi. Ad oggi abbiamo intervistato oltre 500 donne gravide e prevediamo di avere i primi dati nel mese di ottobre». Lo studio è stato sostenuto da Italfarmaco con l’intento di sottolineare anche il ruolo dell’alimentazione materna nei diversi momenti della vita della donna e negli stadi della gravidanza e del puerperio, decisiva per la crescita e lo sviluppo fetale, con possibili influenze sul futuro stato di salute del bambino: la nausea può infatti compromettere gravemente l’alimentazione materna e l’introito di componenti, quali vitamine e oligoelementi, essenziali per il corretto progresso della gestazione e la crescita del nascituro. Per sfatare retaggi culturali, va fatta comunicazione e informazione sul territorio, entrando innanzitutto nelle scuole, parlando alle nuove generazioni di ragazze, future mamme. «Il lavoro che va fatto è verticale – conclude Francesca Barra – ogni problematica va espressa senza vergogna e le donne devono sentirsi libere di chiedere aiuto. Ciò va spiegato alle bambine e alle giovani, partendo dalle piccole problematiche, come il ciclo mestruale fino alla gravidanza». Senza tabù, ma con responsabilità e consapevolezza.
di Francesca Morelli