Incoraggianti notizie per le donne con tumore al seno vengono dal Congresso mondiale ASCO, appena concluso a Chicago. Un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato può cambiare la cura in prima linea del tumore della mammella metastatico, evitando la chemioterapia dopo i farmaci anti ormonali. I dati non hanno precedenti: nei pazienti con bassa espressione della proteina HER2 (HER2-low), trastuzumab deruxtecan ha ridotto del 38% il rischio di progressione di malattia o morte e la sopravvivenza è stata di 13,2 mesi rispetto a 8,1 con la chemioterapia standard. Migliora anche il tasso di risposta, che ha raggiunto il 56,5% rispetto al 32,3%. Nei pazienti con bassissima espressione della proteina HER2 (HER2-ultralow), questo parametro è più che raddoppiato rispetto alla chemioterapia (61,8% rispetto a 26,3%). Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 DESTINY-Breast06, presentato in Sessione Plenaria del Congresso ASCO (American Society of Clinical Oncology). Sono stati coinvolti 866 pazienti con tumore al seno metastatico, positivo per i recettori ormonali (HR+), HER2-low (713) e HER2-ultralow (153). Tutti hanno ricevuto un trattamento con terapia endocrina.
«Nel tumore della mammella metastatico positivo per i recettori ormonali, dopo la terapia endocrina nelle fasi iniziali, lo standard di cura è la chemioterapia, che però è associata a benefici limitati», puntualizza Giuseppe Curigliano, membro del Direttivo Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). «Nello studio DESTINY-Breast06 le pazienti con tumore della mammella metastatico HR+, HER2-low e HER2-ultralow, trattati con trastuzumab deruxtecan, hanno vissuto più a lungo, senza progressione o peggioramento della malattia rispetto alla chemioterapia standard. Con questi risultati abbiamo la possibilità di utilizzare questa terapia precocemente nel trattamento del tumore del seno metastatico HR+ e di impiegarla nella malattia metastatica, che prima non ha potuto beneficiare di un farmaco mirato dopo terapia endocrina».
In Italia, nel 2023, sono stati 55.900 i nuovi casi di carcinoma mammario. Il sottotipo più comune è quello positivo per recettori ormonali (HR+) e HER2-negativo, che rappresenta il 70% del totale. Si stima che circa il 60%-65% dei tumori al seno HR positivi e HER2 negativi sia in realtà HER2-low, e un ulteriore 25% possa essere HER2-ultralow. «I progressi nella cura di questa neoplasia negli ultimi anni sono stati davvero molto importanti e la cronicizzazione è una realtà per un numero significativo di pazienti», spiega Francesco Perrone, Presidente AIOM. «L’innovazione consente di offrire terapie in grado di migliorare la sopravvivenza a lungo termine, con un ottimo controllo della malattia. I risultati dello studio DESTINY-Breast06 evidenziano l’importanza di determinare con precisione lo stato di HER2. In questo senso è fondamentale il ruolo del team multidisciplinare nei centri di senologia, in particolare la collaborazione tra oncologo e patologo, che effettua i test diagnostici per definire il profilo molecolare».
A gennaio 2023, trastuzumab deruxtecan è stato approvato dalla Commissione europea nel trattamento delle pazienti con cancro della mammella HER2 low non operabile o metastatico, che hanno ricevuto precedente chemioterapia o che hanno sviluppato recidiva della malattia entro 6 mesi dalla chemioterapia adiuvante. A dicembre 2023, AIFA ha approvato la rimborsabilità per questa indicazione. «Rispetto alla chemioterapia, trastuzumab deruxtecan ha dimostrato miglioramenti significativi della sopravvivenza libera da progressione, simili nei pazienti con malattia HER2-low e HER2-ultralow, e questi dati suggeriscono che il farmaco possa diventare un’opzione terapeutica di preferenza in prima linea per i pazienti con tumore del seno HR+ metastatico», conclude Saverio Cinieri, Presidente di Fondazione AIOM. «Lo studio DESTINY-Breast06 consente di espandere gli orizzonti della cura a pazienti precedentemente esclusi dai benefici delle terapie HER2 mirate. Trastuzumab deruxtecan appartiene alla categoria degli anticorpi farmaco-coniugati, cioè è costituito da un anticorpo diretto contro il recettore HER2, espresso sulle cellule tumorali, e da un potentissimo chemioterapico legato a questo anticorpo».
In Italia aumentano le donne vive dopo la diagnosi
I dati riportati al congresso ASCO confermano che negli Stati Uniti, negli ultimi 30 anni, la mortalità oncologica è diminuita del 33% e sono stati oltre 4 milioni i decessi per tumore evitati. Risultati ottenuti grazie alla combinazione di più fattori: riduzione del fumo di sigaretta e maggiore attenzione agli stili di vita sani, più diagnosi precoci e terapie sempre più efficacy. Il nostro Paese, in particolare, fa registrare rispetto all’Europa il più alto numero di donne vive dopo la diagnosi in rapporto alla popolazione (6.338 casi per 100mila abitanti, pari a circa 1.939.000 cittadine). «È la dimostrazione dell’eccellente livello del nostro sistema sanitario, che garantisce a tutti le terapie migliori», afferma Francesco Perrone, Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). «La prevalenza include persone in terapia, coloro che sono sotto sorveglianza per la prevenzione di eventuali recidive e i guariti, che non necessitano di ulteriori cure o controlli. Il dato sembra davvero rilevante: devono però essere affrontati aspetti organizzativi, a partire dai tempi ancora troppo lunghi per l’accesso a queste cure. In Italia, i cittadini colpiti dal cancro attendono ancora 14 mesi per poter essere trattati con terapie innovative già approvate a livello europeo. Siamo pronti a collaborare con l’Agenzia Italiana del Farmaco per definire nuovi modelli per l’accesso precoce a terapie innovative in termini di miglioramento della sopravvivenza e della qualità di vita».
«L’accesso immediato alle cure deve rientrare in una strategia unitaria contro il cancro che includa la diminuzione dell’incidenza e della mortalità, il miglioramento della qualità di vita dei pazienti e l’istituzione delle reti oncologiche regionali che favoriscano programmi di screening più rapidi», spiega Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM. «Ma vanno integrate con norme che consentano di rendere disponibili le terapie innovative in termini molto più brevi rispetto agli attuali, al massimo entro tre mesi dall’approvazione europea. Il confronto fra diverse competenze consente la scelta delle migliori terapie per il paziente e di gestire tecnologie innovative come la biopsia liquida, un test sul sangue che permette di analizzare alcune caratteristiche delle cellule tumorali, ad esempio la presenza di mutazioni nel loro DNA. Ad oggi, gli utilizzi della biopsia liquida, validati in pratica clinica, sono ancora limitati. Il primo impiego ha riguardato il tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato, per la valutazione dello stato mutazionale del gene EGFR, quindi come fattore predittivo di risposta alle terapie mirate, ma è prevedibile un aumento nel prossimo futuro. Le applicazioni cliniche emergenti di questa procedura riguardano soprattutto i tumori del colon-retto, della mammella, della prostata e il melanoma nella forma avanzata». Per i tumori al colon-retto, in particolare, è urgente inoltre rafforzare i programmi di prevenzione primaria e secondaria così da poter ridurre il numero di malati. «I dati più recenti degli Annals of Oncology prevedono nel 2024 un tasso di mortalità per carcinoma al colon-retto tra i giovani (25-49 anni) in Italia in aumento dell’1,5% tra gli uomini e del 2,6% tra le donne rispetto al periodo 2015-2019», fa notare Saverio Cinieri, Presidente di Fondazione AIOM. «Invece nella fascia d’età compresa fra 50 e 69 anni, inclusa nell’attuale programma di screening colorettale, nel 2024 è prevista una diminuzione dei decessi del 15% negli uomini e del 16% nelle donne. L’anticipazione dell’età dello screening per questa neoplasia, non più a partire dai 50 anni ma dai 45, consentirebbe di salvare più vite. Le nuove raccomandazioni della U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF) hanno abbassato l’età iniziale dello screening per cancro colorettale a 45 anni. Ed è auspicabile che anche in Italia avvenga lo stesso. Questo programma di prevenzione secondaria è in grado di individuare, oltre alla presenza di un tumore in persone asintomatiche, anche adenomi, cioè polipi, potenzialmente in grado di trasformarsi in cancro».
di Paola Trombetta