Dimenticare dove si è parcheggiata l’auto. Non trovare alcuni oggetti nella propria casa. Vagare senza meta per la strada. Non riconoscere le persone con cui si convive abitualmente: possono essere i primi campanelli d’allarme di una malattia, come l’Alzheimer, che inizia spesso con piccoli segni, di cui a volte non è facile accorgersi. «Soprattutto nelle persone avanti negli anni, questi piccoli deficit non vengono riconosciuti, come segnali di malattia», precisa Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia e Presidente Sin (Società Italiana di Neurologia). «A volte si tratta di segnali subdoli, difficili da intercettare. È importante non ritenere che tutto questo sia una normale conseguenza dell’invecchiamento, perché può essere il segnale, invece, di una malattia come l’Alzheimer che comporta un peggioramento continuo».
«Oggi ci troviamo di fronte a uno scenario inedito: per la prima volta la ricerca scientifica sta per fornire soluzioni in grado di interferire con l’andamento di questa patologia», dichiara Annachiara Cagnin, Responsabile del Centro per il declino cognitivo e la demenza della Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedale-Università di Padova e Segretario SINdem (Associazione aderente alla SIN per le demenze). «Si passa dall’avere a disposizione soluzioni che agiscono sul sintomo cognitivo o comportamentale, a trattamenti che possono rallentare la progressione o ritardare l’esordio dei sintomi, se utilizzati in una fase precoce di malattia. Per questo è importante, se si avvertono dei segnali di allerta persistenti o ricorrenti, rivolgersi al medico di medicina generale o allo specialista, per avviare anche dei semplici esami che consentano di capire il rischio, lo stato di salute del cervello, l’eventuale diagnosi e, se serve, il trattamento farmacologico più adatto».
«I familiari sono i primi a rendersi conto del cambiamento in atto nelle persone con Alzheimer», dichiara Patrizia Spadin, Presidente Aima (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer). «Oggi è importante che la loro attenzione si modifichi, imparando a cogliere non solo i sintomi della malattia, ma anche i primi segnali di deterioramento cognitivo. Questo può condurre a un percorso di accertamento diagnostico che permetterà di avere una vita migliore, più tutelata sia per il paziente sia per il caregiver che lo dovrà seguire e accompagnare negli anni futuri. Anche la nostra società nel suo insieme deve però assumersi il compito, in questo momento, di diventare una sentinella della buona salute di tutti, appoggiando, all’interno delle istituzioni, la costruzione di percorsi di prevenzione e diagnosi. È giunto il momento che la storia della malattia d’Alzheimer e dei pazienti che ne sono colpiti possa finalmente cambiare». L’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa debilitante che colpisce prevalentemente il cervello, con una serie di sintomi, che coinvolgono sia le capacità cognitive che quelle funzionali. Col tempo, ruba i ricordi, la qualità della vita e l’indipendenza nella quotidianità di milioni di persone, con un impatto emotivo molto forte anche su chi sta loro accanto. Diagnosticare precocemente la malattia e intervenire in una fase precoce può consentire di rallentarne la progressione permettendo così ai pazienti di avere più tempo di qualità davanti a loro, da trascorrere con i propri cari o facendo ciò che per loro conta davvero. È con l’obiettivo di “non dimenticarsi” dell’Alzheimer, invitando tutti a conoscerlo, che a pochi giorni dalla Giornata Mondiale, che ricorre il 21 settembre, Lilly, con il patrocinio di AIMA – Associazione italiana malattia di Alzheimer, SIN – Società italiana di Neurologia, e SINDEM – Associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze, lancia la campagna di sensibilizzazione “Pensaci, per non dimenticarlo”, che si propone di riscrivere la narrazione della malattia di Alzheimer, favorendo una maggiore consapevolezza dei primi sintomi così da rendere sempre più frequente la diagnosi precoce, fondamentale per intervenire sulla progressione di malattia e garantire una migliore qualità e aspettativa di vita delle persone che ci convivono. Al centro della campagna un video, che funge da catalizzatore per il coinvolgimento di un ampio sistema di canali social e digitali. Il video integra una parte emozionale, basata su brani tratti dal romanzo “Elegia per Iris” di John Bailey, letti dalla voce d’eccezione dell’attore Luca Ward, in grado di ingaggiare su un piano intimo ed emotivo, e una parte scientifica. Quest’ultima approfondisce in modo chiaro la necessità di consapevolezza dei primi segni di malattia e della presa in carico da parte di esperti medici attraverso le voci di Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia e Presidente Sin, Annachiara Cagnin, Responsabile Centro per il declino cognitivo e la demenza della Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedale-Università di Padova e Segretario Sindem e Patrizia Spadin, Presidente Aima.
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La malattia di Alzheimer può progredire lentamente nell’arco di 10-20 anni, passando dalla fase preclinica non sintomatica, alla demenza grave, con un impatto sempre maggiore sulla vita quotidiana. Le persone che presentano un decadimento cognitivo lieve o una demenza lieve, quando dovute alla malattia di Alzheimer, possono essere descritte come individui con una malattia sintomatica precoce. Ricevere una diagnosi all’inizio della progressione della malattia offre a queste persone, ai loro cari e ai medici, più tempo per prendere decisioni personali e mediche, nonché la possibilità di modificare alcuni stili di vita e intervenire precocemente.
A livello globale, il numero di persone di età pari o superiore a 50 anni affette da malattia di Alzheimer si stima essere circa 416 milioni, ovvero più di una persona su cinque. In Italia sono circa 600 mila i soggetti con malattia di Alzheimer, e complessivamente è stimato in oltre un milione il numero delle persone con demenza; si stima che circa 3 milioni di soggetti siano direttamente coinvolti nell’assistenza dei loro cari che ne soffrono. Questa malattia ha un onere economico a livello italiano di circa 15 miliardi all’anno Nonostante la rilevanza dei numeri, destinati a crescere anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, le persone affette da demenza ricevono una diagnosi accurata e tempestiva in meno del 20% dei casi a causa dell’impreparazione dei sistemi sanitari e dello stigma della malattia che fa ritardare il primo accesso al percorso diagnostico.
di Paola Trombetta
Raccomandazioni della Società Italiana di Neurologia
In occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer del 21 di settembre e della riunione del G7 sulle demenze prevista ad Ancona l’8 di ottobre, la Società Italiana di Neurologia (SIN) fa il punto della situazione su questa importante patologia e suggerisce alcune raccomandazioni per la prevenzione. Innanzitutto identifica due nuovi fattori di rischio: elevati di lipoproteine a bassa densità (LDL) o colesterolo “cattivo” nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata. Questi nuovi fattori di rischio si aggiungono a quelli già noti: bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, resistenza all’insuline e diabete, consumo eccessivo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale, che sono collegati al 40% di tutti i casi di demenza. Per ridurre il rischio di demenza nel corso della vita, la SIN delinea diverse raccomandazioni:
- Offrire un’istruzione scolastica di buona qualità incentivando gli studi superiori.
- Promuovere un’istruzione permanente nelle diverse fasi della vita sostenendo le Università della terza età e le attività associative volontarie.
- Promuovere l’uso del casco e protezioni per la testa nell’uso di monopattini e biciclette, nei luoghi di lavoro a rischio e nelle attività sportive di contatto.
- Ridurre l’esposizione all’inquinamento ambientale e alimentare attraverso rigorose politiche per un ambiente pulito e sano.
- Ampliare le misure volte a ridurre il fumo di sigaretta, come il controllo dei prezzi, l’innalzamento dell’età minima per l’acquisto e il divieto di fumo nei luoghi comuni anche all’esterno.
- Ridurre il consumo di alcol e ampliare le misure volte a ridurre l’eccessivo consumo di superalcolici nei luoghi di ritrovo.
- Promozione di una lotta all’isolamento e alla solitudine a tutte le età favorendo la realizzazione di ambienti comunitari e alloggi di supporto per contrastare il disagio sociale.
- Promuovere una attiva campagna di prevenzione dei disturbi della vista e dell’udito nella logica dell’approccio One Health, favorendo screening oftalmologici e audiologici dell’età di 65 anni.
- Promozione della salute dentaria rendendo accessibili a tutti gli screening odontoiatrici mediante il coinvolgimento degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri.
- Monitorare i livelli di trigliceridi, colesterolo LDL, glicemia, a partire dai 35 anni promuovendo una campagna di prevenzione ai disturbi alimentari.
- Monitorare i livelli di pressione arteriosa periodicamente a partire dai 35 anni riducendo l’uso di sale negli alimenti.
- Prevenire e trattare l’insonnia mediante un’educazione all’igiene del sonno.
- Individuare precocemente i disturbi del tono dell’umore anche mediante il coinvolgimento dell’Ordine degli Psicologi favorendo una tempestiva presa in carico da parte della Psichiatria nei centri di cura.
- Promuovere nelle scuole e nei luoghi di lavoro una attiva campagna di informazione a favore di un’alimentazione sana e di una attività fisica costante anche nelle età avanzate.
Per sensibilizzare la popolazione sulla Malattia di Alzheimer, a partire da sabato 21 settembre sui canali social ufficiali della Società Italiana di Neurologia verranno pubblicate delle video pillole in risposta ad alcune delle domande ricevute dagli utenti. Ecco il link di riferimento: www.neuro.it/web/procedure/contenuto.cfm?List=WsIdEvento,WsIdRisposta,WsRelease&c1=AGGCNGNEU&c2=190&c3=1
P.T.
LA “PRESA IN CARICO” DI DEMENZE E DECLINO COGNTIVO LIEVE: COSA FARE PER LA PREVENZIONE
Un’emergenza sociosanitaria crescente, preoccupante e fra le più temute. Restano una “zona grigia” il declino cognitivo e le demenze, soprattutto per la scarsa conoscenza fra la popolazione circa gli aspetti che differenziano queste due condizioni cliniche, le possibilità di prevenzione, le opportunità di cure sintomatiche, che ci sono e funzionano sul rallentamento della malattia. Alla scarsa informazione si aggiungono poi le difficoltà di accesso ai trattamenti o il limitato supporto concreto al paziente, al care-giver e famiglie da parte di strutture competenti. Ambiti questi ultimi in cui hanno un ruolo determinante le Associazioni di pazienti, che anche con azioni di advocacy danno voce, presso le istituzioni alle richieste e istanze dei pazienti portatori di patologia. Problematiche che generano ricadute importanti sul sistema assistenziale, sui costi sociali, diretti e indiretti, sulla quotidianità, professionale e famigliare, sulla produttività della persona e dei nuclei famigliari. Sono alcune delle criticità e preoccupazioni riportate da 9 italiani su 10 nell’ambito dell’indagine “Declino cognitivo e demenza: quanto ne sappiamo, cosa stiamo facendo e quale impatto sulla società e sul Servizio Sanitario Nazionale”, realizzata dall’istituto di ricerche “EMG Different” su un campione di 1000 italiani tra i 24 e i 75 anno per conto di Neopharmed Gentili, nel mese dedicato all’Alzheimer (Giornata Mondiale, 21 settembre). «Con l’aumento dell’aspettativa di vita – dichiara Camillo Marra, presidente SINDem (Associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze) – queste stesse sono destinate ad acquisire sempre più rilevanza: intervenire preventivamente nelle forme precliniche di demenza è cruciale per contrastare la progressione della malattia. Vi è infatti evidenza che agire su fattori di rischio modificabili, tra i 40 e i 60 anni, quali lo stile di vita, l’attività fisica, l’alimentazione, fino al ricorso a integratori “misurati” sulle necessità della persona e le caratteristiche della malattia, sulla socializzazione, così come su alcune patologie favorenti (diabete, ipertensione, dislipidemie), potrebbe ridurre del 40% l’evoluzione della demenza. Anche l’ipovisione e la perdita di udito, non riconosciute in età adulta, sono altri fattori di rischio da non sottovalutare. Ma la “vera” prevenzione inizia sui banchi di scuola riducendo il tasso di abbandono scolastico: più siamo istruiti, più siamo in grado di alimentare la riserva cognitiva per quando saremo anziani. Sul fronte terapeutico, interventi precoci, anche limitati ai trattamenti oggi disponibili ad azione sintomatica, sono in grado di contribuire a modificare il decorso della malattia».
In attesa che la ricerca scientifica offra nuove opportunità di cura, mentre risposte in tema di diagnosi precoce sono attese da biomarcatori specifici. Oggi esami di imaging, come la Risonanza magnetica, o un ECG, test di laboratorio (ematochimici) o test psicometrici possono contribuire a analisi più tempestive e puntuali. «Il declino cognitivo, che all’esordio lascia autonomia alla persona nel continuare a svolgere le proprie normali attività, pur presentando alcuni segnali di allarme – precisa Alessandro Pirani, rappresentante SIMG – Tavolo permanente Demenze, Ministero della Salute – è da attenzionare al massimo per la diagnosi precoce e coinvolge in prima persona il medico di medicina generale. Il disturbo delle capacità di memoria è l’indicatore chiave, spesso invece ignorato o sminuito a causa dello stigma che lo considera un normale aspetto dell’invecchiamento. Altri segnali importanti sono la comparsa di depressione, cambiamenti del carattere, la tendenza a perdere il filo del discorso e alcuni disturbi del comportamento: insonnia, oppositività (il paziente non mangia, non si lascia lavare), aggressività fisica e verbale. La stabilizzazione di questi sintomi, causa di forte stress emotivo nei familiari, è un obiettivo assistenziale prioritario e decisivo ai fini della gestione del paziente al domicilio». Occorre inoltre aumentare il supporto alle famiglie: «Pur rientrando nella competenza del Servizio sanitario nazionale in quanto malati cronici – aggiunge Donatella Oliosi, Presidente Associazione Di.A.N.A. onlus (Associazione diritti non autosufficienti) – queste non ricevono sufficienti prestazioni e adeguati sostegni dai servizi sanitari territoriali: in molti casi i centri diurni rappresentano un sollievo per le famiglie, ma andrebbero dimensionati sul reale fabbisogno, così come dovrebbe essere garantito in maniera uniforme l’accesso in struttura per quei pazienti che non possono più essere assistiti al domicilio».
Francesca Morelli