Fratture da fragilità ossea: come prevenirle e curarle

«Una telefonata inaspettata nel cuore della notte che ti stravolge la vita! “Tua mamma è in bagno stesa per terra e non riesco a sollevarla”, mi dice la badante che da quasi un anno si prende cura di mia mamma. Mi precipito col cuore in gola a casa sua per scoprire che non riesce più a muovere la gamba sinistra e avverte dolori fortissimi solo a sollevarla e sdraiarla a letto. Aspettiamo l’alba e avvisiamo mia zia medico che, appena arrivata, non può che suggerirci di portarla al Pronto Soccorso dell’Ospedale più vicino a casa, per una radiografia. Che purtroppo, dopo diverse ore, conferma il sospetto: rottura del femore sinistro. Immediato il ricovero e nel pomeriggio mia mamma 90 enne era già in sala operatoria. Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente la dottoressa Francesca Colombo e la sua équipe del reparto di Ortopedia dell’Ospedale di Carate Brianza per aver subito preso in carico mia mamma e averla operata il giorno stesso del ricovero. E dopo due giorni la mamma era già sulla sedia a rotelle. Due mesi di riabilitazione a domicilio le hanno ridato la possibilità di camminare, pur con l’aiuto di un deambulatore. Ma dopo una frattura del femore, la vita cambia completamente. Non solo per la persona coinvolta, che si sente insicura, ha paura a camminare e comincia ad avvertire ansia e agitazione tutte le volte che deve alzarsi dal letto. Ma anche per tutta la famiglia, che ne risente: in questo caso io (figlia unica), la badante e le zie che mi aiutano ad assisterla. Perché da quel giorno la mamma è diventata difficile da gestire: il suo carattere forte la induce a volersi alzare a tutti i costi, spesso senza chiamare la badante. E questo ha portato nei mesi successivi ad altre cadute, per fortuna senza esiti di rotture, con infinita apprensione e preoccupazione per tutti noi che stiamo facendo i turni per assisterla continuamente ed evitare altre rovinose cadute».

Le fratture da fragilità, soprattutto in età avanzata, cambiano effettivamente la vita della persona e di chi l’assiste: sono molto invalidanti, rischiando di far allettare una persona o, al contrario, come è stato per mia mamma, di voler sempre camminare. Per questo devono essere costantemente monitorate e curate: per evitare nuove fratture, soprattutto in presenza di osteoporosi, una condizione predisponente la fragilità ossea. In Italia circa 5 milioni di persone soffrono di osteoporosi, di cui il 79,8% sono donne e il 20,2% uomini: solo il 20% viene però diagnosticato. Se non curata, l’osteoporosi è la prima causa di fratture da fragilità. Nel mondo 500 milioni di persone ne soffrono e 37 milioni hanno fratture da fragilità, 1 donna su 3 e 1 uomo su 5.

Se ne è parlato al recente convegno presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” a Roma, per la presentazione della Giornata Mondiale dell’Osteoporosi che ricorre il 20 ottobre, promossa dall’International Osteoporosis Foundation (IOF) www.worldosteoporosis day.org.

Nell’occasione, abbiamo intervistato la professoressa Maria Luisa Brandi, promotrice del congresso e presidente di FIRMO (Fondazione Italiana per la Ricerca delle Malattie dell’Osso: www.fondazionefirmo.com) e di OFFI (Osservatorio Fratture da Fragilità Italia).

Cosa si intende per fratture da fragilità ossea?
«Sono fratture che intervengono senza un trauma, le cosiddette fratture spontanee o con un trauma minore. La definizione data dal mondo ortopedico considera fragile chi, cadendo da una posizione eretta o da seduto, si frattura in una qualsiasi parte del corpo. Dobbiamo però capire quale è stato l’evento fratturativo. Se una persona, stando in piedi, improvvisamente cade è perché ad esempio aveva già il femore rotto. In questo caso si parla di fratture spontanee. Poi ci sono le fratture da trauma minore: una persona cade per terra e, in seguito a questa caduta, si frattura il femore. In entrambi i casi si parla di fratture da fragilità, causate dalla progressiva perdita di massa ossea».

Qual è la percentuale di queste fratture in Italia?
«Di quelle conosciute, sono circa 100 mila le fratture da fragilità di femore; altre 400/500 mila tra quelle di avambraccio, spalla e vertebre, arrivando quindi a un totale di 600 mila. Ma le fratture vertebrali sono molte di più di quelle 200 mila che diagnostichiamo. Circa l’80% di fratture vertebrali non viene diagnosticato: quindi siamo vicini a un milione di fratture da fragilità all’anno!»

Sono numeri davvero preoccupanti… Cosa si potrebbe fare per prevenirle?
«Meglio sarebbe la prevenzione primaria, ovvero prima che avvenga la frattura, addirittura in età pediatrica con alimenti ricchi di calcio, esposizione alla luce solare per aumentare la sintesi di vitamina D a livello cutaneo e fare attività fisica regolare. Poi si potrebbe intervenire con la prevenzione secondaria, quando so che c’è un aumento del rischio di frattura. Per esempio nel periodo della menopausa, dove il calo degli estrogeni può comportare perdita di massa ossea e quindi un aumento del rischio di fratturarsi. C’è anche la prevenzione terziaria, quando il paziente ha già avuto una frattura da fragilità e non voglio che si fratturi di nuovo. Questa prevenzione richiede l’utilizzo di terapie farmacologiche».

Quali terapie si possono somministrare per evitare un’ ulteriore frattura?
«Le cure possono essere di vario tipo, con farmaci cosiddetti “anabolici”, come ad esempio il teriparatide, che aumentano la massa ossea e diminuiscono il rischio di frattura. Si tratta di farmaci antiriassorbitivi che riducono la distruzione dell’osso e contemporaneamente sono osteoformativi, in quanto aumentano la formazione ossea. Di recente è in commercio un nuovo farmaco, romosozumab, che svolge contemporaneamente entrambe le funzioni. Questi farmaci possono essere utilizzati anche in sequenza perché amplificano l’effetto positivo della ricostruzione dell’osso. La prescrizione di questo farmaco deve però avvenire in un centro specializzato».

Per questo è fondamentale che il paziente venga preso in carico e monitorato nei centri specialistici. Come sono seguiti oggi i pazienti che si fratturano?
«Monitorare un paziente fratturato vuol dire valutare nel tempo le sue condizioni e la sua risposta alle terapie. È auspicabile che nei grandi ospedali ortopedici ci sia un percorso di tipo terapeutico che metta a disposizione le terapie e garantisca l’assistenza, con ambulatori predisposti. Altrimenti rischiamo di dimettere una persona fratturata, senza poter valutare e di conseguenza evitare i rischi di un’ulteriore frattura».

È questo uno degli obiettivi del Registro delle fratture di cui si è parlato al convegno?
«Il Registro delle fratture serve perché consente di quantificare il fenomeno con dati istituzionali e permette ai decisori politici di decidere, su input degli specialisti in materia. Se vediamo ad esempio che le fratture da fragilità aumentano, ci dovremmo allertare maggiormente per rispondere meglio alle richieste dei pazienti. Abbiamo ad esempio scoperto che a fine novembre termina la fornitura di protesi in Toscana. E in questi casi chi ha subito una frattura e necessita di una protesi, cosa deve fare? Viene mandato a casa? Oppure si deve scegliere a chi impiantare le protesi e a chi no… O ancora ci si deve rivolgere ad altre strutture, magari fuori Regione. È una situazione davvero tragica! Anche per evitare queste incresciose situazioni è nato l’Intergruppo Parlamentare sulle Fratture da fragilità, presieduto dalla senatrice Ylenia Zambito, che è stato presentato in occasione di questo congresso e confidiamo che ci dia una mano per sensibilizzare le istituzioni alle problematiche a cui ogni giorno le strutture sanitarie devono far fronte per i pazienti con fragilità ossea».

Durante il congresso si è parlato anche delle problematiche relative alla malattia rara delle “ossa fragili” in età pediatrica. Quindi non solo gli adulti e gli anziani soffrono di fragilità ossea, ma anche i bambini?
«Anche i bambini con la malattia rara delle “ossa fragili” devono entrare in un percorso assistenziale: occorre fare una diagnosi e adottare cure appropriate. Per questo servono specialisti ed esperti. Un paziente potrebbe infatti avere un’osteogenesi imperfetta: non sa di averla e si frattura. Anche questo paziente, giovane o addirittura bambino, deve entrare in un percorso di tipo diagnostico-assistenziale che prevede una terapia personalizzata. I centri specializzati devono avere un know-how approfondito anche sull’argomento metabolico: occorre fare diagnosi e terapia preventiva, senza attendere che si fratturi il femore. Devono fare una diagnosi di osteoporosi secondaria, ad esempio, e saperla riconoscere, anche attraverso dei test genetici che la possano identificare. In questi centri devono lavorare specialisti competenti, spesso mancanti, che sappiano prevenire e per gestire le fratture nei giovani».

di Paola Trombetta 

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