«Il veloce riconoscimento dei sintomi e il tempestivo intervento dei soccorsi sono i due elementi che mi hanno salvato la vita e non posso dimenticare il lavoro fondamentale di tutte le persone che mi hanno aiutato nella fase successiva, dal fisioterapista al logopedista», commenta Mauro Coruzzi, conduttore radiofonico e televisivo, in arte Platinette, testimonial di A.L.I.Ce. Italia Odv. «Sono orgoglioso di far parte di questa Associazione e sono felice di poter dare il mio contributo convinto che, nella lotta contro l’ictus, il lavoro di squadra rappresenta la chiave per poterlo affrontare e superare». L’ictus cerebrale, nel nostro Paese, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa di invalidità. Quasi 100 mila italiani ne vengono colpiti ogni anno e la metà dei superstiti rimane con problemi di disabilità anche grave. In Italia, le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, sono circa 1 milione, ma il fenomeno è in crescita sia perché si registra un invecchiamento progressivo della popolazione, sia per il miglioramento delle terapie attualmente disponibili. Dalle persone colpite da ictus che lavorano ogni giorno per riprendere in mano la propria vita ai caregiver che li assistono e li supportano, ai team sanitari che corrono contro il tempo per salvare vite umane agli specialisti della riabilitazione che fanno muovere le persone un passo alla volta: la lotta all’ictus cerebrale deve essere vista come un gioco di squadra perché Insieme siamo #PiuFortidellIctus (#GreaterThanSktroke). Questo il tema scelto dalla World Stroke Organization per l’edizione 2024 della Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale che, come ogni anno, si è celebrata il 29 ottobre, di cui si fa promotrice, in Italia, A.L.I.Ce. Italia Odv, l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale.
L’ictus è una malattia cerebrovascolare acuta che può essere causata dall’improvvisa ostruzione, da parte di un trombo o di un embolo, di un vaso del circolo cerebrale (in questo caso si parla di ictus ischemico) oppure dalla rottura di un’arteria (in questo caso si parla di ictus emorragico). È una di quelle patologie definite “tempo-dipendenti”, in quanto richiede l’attivazione immediata del sistema di soccorso: prima si interviene e più cellule cerebrali si possono salvare, consentendo una migliore ripresa e una minore disabilità. I tempi di trattamento del paziente, una volta raggiunto il pronto soccorso, sono governati da protocolli definiti e collaudati: il nodo cruciale resta il rapido riconoscimento dei sintomi dell’ictus da parte del paziente e dei suoi familiari, il pronto riconoscimento da parte dei mezzi di soccorso, la rapida comunicazione con la centrale del 112, il veloce invio del paziente e il contatto con il neurologo in pronto soccorso che è in grado, avendo a disposizione i dati fornitigli telefonicamente, di predisporre il trattamento all’arrivo del paziente.
Come per tutte le patologie tempo dipendenti e per tutti i percorsi di emergenza urgenza, è il lavoro di squadra che fa la differenza e, nel caso dell’ictus cerebrale, è fondamentale la consapevolezza dei cittadini: riconoscerne precocemente i sintomi e chiamare tempestivamente il 112 possono davvero salvare la vita. «La corretta informazione della popolazione svolge un ruolo fondamentale per favorire la consapevolezza dell’importanza di uno stile di vita per la prevenzione di questa malattia e la riduzione delle sue conseguenze», dichiara il Professor Danilo Toni, Direttore Unità Trattamento Neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico di A.L.I.Ce. Italia Odv. «I sintomi da riconoscere sono: improvviso intorpidimento, insensibilità o formicolio e/o debolezza, perdita di motilità e forza di grado variabile della metà inferiore del viso, del braccio e/o della gamba di un lato del corpo, con asimmetria della bocca (“bocca storta”, più evidente quando si prova a sorridere) e/o incapacità di sollevare un braccio o di mantenerlo alzato allo stesso livello dell’altro e/o difficoltà a muovere una gamba; confusione mentale, difficoltà a parlare o a comprendere; improvvisa difficoltà nel vedere oppure visione offuscata in uno o entrambi gli occhi; improvvisi problemi di stazione eretta e deambulazione, vertigini, perdita di equilibrio o della coordinazione, con eventuale caduta a terra; improvviso e forte mal di testa senza causa nota. In caso di comparsa di sintomi riferibili all’ictus è necessario evitare di perdere tempo e indispensabile chiamare subito il 112, quindi: non aspettare di vedere se i sintomi migliorano spontaneamente; non chiamare e non recarsi dal medico di medicina generale (MMG) o dalla Guardia Medica; non recarsi in Pronto Soccorso con mezzi propri, anche per evitare di presentarsi in un Ospedale dove non sia disponibile almeno il trattamento trombolitico per via endovenosa».
La famiglia della persona colpita da ictus diventa una risorsa indispensabile nel processo di cura ma, spesso, non ha le competenze sufficienti per l’assistenza a domicilio: per questo motivo, durante la degenza, l’infermiere comunica con il caregiver e la famiglia educandoli sulla prevenzione delle complicanze e sull’assistenza alla persona, in base al grado di autonomia. L’infermiere è, dunque, un’altra delle figure importanti nella presa in cura a domicilio della persona colpita da ictus. I caregiver e familiari svolgono un ruolo fondamentale perché aiutano il paziente nelle attività quotidiane, come la cura personale, la gestione dei farmaci e la preparazione dei pasti; possono aiutare il paziente a diventare il più indipendente possibile, incoraggiando l’autonomia nelle attività quotidiane e fornendo supporto emotivo per affrontare le difficoltà.
Un altro ruolo fondamentale è quello degli specialisti che si occupano del post ictus. Il trattamento neuroriabilitativo, che ha come obiettivo quello di migliorare le funzioni fisiche, mentali e cognitive, restituendo alla persona la maggior indipendenza possibile, dovrebbe iniziare in ospedale quanto prima, non appena il paziente mostri segni di recupero fisico e proseguire in modo continuativo, senza interruzioni né rigide limitazioni temporali e seguendo un protocollo uniforme: il recupero avviene rapidamente tra il primo e terzo mese dopo l’ictus, alcune persone comunque continuano a migliorare anche dopo questo periodo, soprattutto per quanto riguarda il linguaggio. «L’ictus è un evento traumatico, improvviso e inatteso – dichiara Andrea Vianello, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) –. La nostra Associazione è da sempre impegnata in attività di sensibilizzazione e informazione su questa patologia a 360°: è fondamentale che tutti i cittadini siano consapevoli di quali siano i fattori di rischio, di quanto sia importante il riconoscimento tempestivo dei sintomi e di cosa fare in caso di loro comparsa. Il post ictus è una fase molto delicata ma, purtroppo, ancora troppo trascurata: le persone colpite da ictus presentano esiti più o meno invalidanti causati dal danno cerebrale ed è fondamentale che ricevano una corretta informazione sulla fase neuroriabilitativa, in modo da poter, possibilmente, migliorare la propria situazione clinica. Oltre alla riabilitazione motoria, che aiuta a mantenere il tono e la forza muscolare, spesso è necessario prevedere anche sedute di logopedia ed esercizi che possano migliorare la deglutizione: con l’ictus si può perdere, infatti, la capacità di parlare o comprendere le parole, così come la capacità di scrivere e leggere o anche di deglutire in modo adeguato. Non meno importante è la terapia occupazionale, di aiuto nell’affrontare le attività quotidiane ed essere nuovamente inseriti nell’ambiente sociale e lavorativo».
di Paola Trombetta
ARRIVA LO “STROKE ACTION PLAN” ITALIANO
Per contribuire alla sensibilizzazione riguardo la prevenzione e al miglioramento di presa in carico e cura dei pazienti, sulle orme del precursore europeo, ISA-AII (Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus) ha redatto lo Stroke Action Plan for Italy (SAP-I). Lo scopo è il raggiungimento degli obiettivi di prevenzione, consapevolezza, ottimizzazione della fase pre-ospedaliera e intra-ospedaliera, riabilitazione e monitoraggio entro il 2030. Nelle prossime settimane la società scientifica consegnerà il documento alle istituzioni e ne chiederà la firma al Ministro della Salute. «Il numero di persone colpite ogni anno da ictus è molto alto, sia a livello italiano che europeo», spiega Mauro Silvestrini, Presidente ISA-AII. «Le stime dicono che nel prossimo futuro sarà possibile un aumento di incidenza della patologia del 26%, con un incremento dei costi sanitari legati alla gestione della malattia. È quindi fondamentale intervenire sull’ottimizzazione dei servizi di presa in carico e trattamento dei pazienti, che oggi vedono grandi discrepanze tra Nord, Centro e Sud Italia. Infatti, solo il 24% delle Unità Ictus (Stroke Unit) si trova nel Sud del Paese, mentre il Centro ne ospita il 26%. Al Nord si concentra il 50%, con 106 unità. Ai pazienti devono essere garantite una presa in carico rapida e una riabilitazione completa su tutto il territorio italiano. Per questo è necessario un impegno soprattutto a livello istituzionale». «Come ISA-AII, in questi mesi stiamo lavorando allo Stroke Action Plan (SAP-I), una versione nazionale del precursore europeo, lo Stroke Action Plan for Europe (SAP-E)», sottolinea Paola Santalucia, Presidente Eletta ISA-AII. «Un primo documento è già stato condiviso con tutta la società scientifica e verrà presto presentato alle istituzioni italiane perché possa ricevere il patrocinio del Ministero della Salute. Una volta ufficializzato, rappresenterà le linee guida di riferimento della Società e indirizzerà le azioni dei professionisti sanitari che si occupano di ictus. Il nostro interesse è in primis verso una maggiore informazione al cittadino riguardo i rischi della malattia, con controlli capillari ai pazienti ipertesi; una sensibilizzazione all’importanza del rapido riconoscimento dei segni e il coinvolgimento di scuole e Regioni; l’incremento delle centrali operative, la riduzione dei tempi di trattamento, oggi ancora eccessivamente dilatati, la revisione di percorsi e modalità di intervento. Altri obiettivi riguardano il recupero post ictus, che prevede che pazienti e parenti ricevano informazioni approfondite riguardo le possibilità riabilitative, la definizione di protocolli regionali e il trattamento di almeno il 40% dei pazienti. Infine, un monitoraggio di qualità in ospedali e strutture, anche fino a 3 mesi post evento. Intanto chiediamo che il Ministero della Salute italiano firmi, come gesto simbolico di impegno istituzionale, la Dichiarazione di azione dello SAP-E, un primo passo per garantire che entro il 2030 tutti i 53 Paesi europei possano condividere piani nazionali condivisi sul trattamento dell’ictus».
P.T.