Una diagnosi di malattia reumatologica a 14 anni, dieci anni dopo la comparsa dei primi sintomi, soprattutto la stanchezza, fin dall’età di 4 anni, del tutto sottovalutati, scambiati addirittura per indolenza e pigrizia. Antonella Celano da 60 anni convive con questa patologia, che nel tempo ha progressivamente modificato la sua qualità di vita. Ma non si è mai arresa. Anzi il fatto di aver sempre vissuto con questa malattia l’ha resa ancor più forte e a 22 anni ha deciso di fondare l’Associazione APMARR che oggi compie appunto 40 anni. Nell’occasione, celebrata con un importante evento che si è tenuto a Palazzo Santa Chiara a Roma, con il patrocinio del Senato della Repubblica, Istituto Superiore di Sanità, AGENAS – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, SIR – Società Italiana di Reumatologia, CReI – Collegio dei Reumatologi Italiani, FIMMG – Federazione Italiana Medici di Medicina Generale e FNOMCeO – Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, dove sono intervenuti i massimi esperti di questa patologia, oltre ai rappresentanti politici e istituzionali, abbiamo rivolto alcune domande ad Antonella, instancabile organizzatrice di eventi e testimone in prima persona che, nonostante la malattia, si può non solo vivere normalmente, ma addirittura fare di più. E’ questa la cifra della sua vita di “paziente instancabile”, sempre pronta ad organizzare eventi e partecipare a congressi di aggiornamento in Italia e in Europa. A lei, che ha il merito di aver fondato 40 anni fa l’Associazione APMARR, vanno tutti i nostri più cari auguri per questo importante traguardo destinato a proseguire nel tempo, grazie alla sua tempra inossidabile e alla profonda convinzione che con le malattie reumatologiche si può oggi avere una buona qualità di vita, grazie soprattutto ai nuovi farmaci biologici che hanno cambiato completamente il decorso di queste malattie.
Da 40 anni Antonella Celano è presidente di APMARR: cosa rappresenta questo traguardo?
«Non è proprio un traguardo, ma rappresenta la continuazione di un cammino. Anche dalla ricerca che abbiamo presentato (vedi articolo: “Vivere con una patologia reumatologica”) si evidenzia come le esigenze di diagnosi, di informazione, di supporto psicologico sono alla base della vita delle persone affette da patologie reumatiche. Abbiamo voluto festeggiare sicuramente un traguardo che segna anche una ripartenza: non ci si può fermare, in quanto le esigenze sono tante. 40 di impegno, di attività, in cui non possiamo dire di non aver raggiunto significativi risultati, ma anche 40 anni in cui abbiamo posto le basi del cambiamento dell’idea che le persone hanno delle patologie reumatiche. Oggi le nostre patologie sono finalmente riconosciute, anche se sono un po’ ancora la “Cenerentola”, non adeguatamente considerate come gravi e invalidanti. Per questo serve sempre l’informazione, i contatti con i politici e le istituzioni. Contiamo nei prossimi anni di riuscire ad avere migliori risultati per i malati, per poter alleggerire quel carico che hanno quotidianamente di preoccupazione, tra cui la ricerca del reumatologo, del farmaco, del centro di riferimento. E poi vorremmo coinvolgere i decisori politici che, grazie al supporto dell’Associazione, potranno legiferare in maniera più mirata».
Cosa vuol dire convivere con una patologia reumatologica e come hai fatto nella tua vita?
«Convivo con questa patologia da ben 59 anni: quest’anno ho compiuto 63 anni. Ho iniziato ad avere i primi sintomi all’età di 4 anni e ho ricevuto la diagnosi dieci anni dopo, quando avevo 14 anni. Questo mi ha permesso di vivere tutta la vita con questa patologia e quindi non conosco un prima e un dopo, come invece accade nella maggior parte delle persone con questa malattia che colpisce dai 30 fino a 50 anni. Questo mi fa sentire in un certo modo “privilegiata” perché non ho rimpianti, come hanno quelli che sviluppano la patologia in età adulta. Indubbiamente c’è gente che ha avuto una buona adolescenza, che ha vissuto bene e poi pian piano deve affrontare una realtà che cambia la vita. Oggi per fortuna esistono farmaci che permettono di controllare la malattia e mantenere una buona qualità di vita. Sicuramente non vediamo più quei quadri clinici gravi causati da diagnosi ritardate».
I nuovi farmaci permettono dunque di cronicizzare la malattia e migliorano la qualità di vita?
«Le nuove terapie permettono addirittura di arrivare alla “remissione” della malattia, che non vuol dire assenza di patologia, ma una sorta di arresto della progressione. Ma non bisogna mai abbassare la guardia e seguire le indicazioni del reumatologo perché è importante mantenere i buoni risultati raggiunti. Per cui fidiamoci della scienza, della ricerca, del nostro medico, del reumatologo, ma soprattutto non abbandoniamo le Associazioni che fanno di tutto per migliorare la qualità di vita, passando attraverso una buona qualità dell’assistenza».
Una domanda “di genere”: la donna risulta più penalizzata da questa malattia? Un tempo addirittura si sconsigliava di avere una gravidanza…
«Oggi è possibile avere una gravidanza, perché ci sono farmaci che si possono assumere durante la gestazione. Come APMARR abbiamo fatto tanti progetti, tra cui il sito “generedonna”. Abbiamo creato anche un portale “anch’io mamma”, abbiamo promosso una serie di attività con altre associazioni per parlare di medicina di genere, perché le patologie reumatiche sono più frequenti nelle donne e quindi va da sé che per arrivare a una diagnosi sono necessari precisi punti di riferimento. Quindi anche per la gravidanza occorre mettere in atto una collaborazione con il reumatologo, il ginecologo, il medico di base. Si parla in questi casi di multidisciplinarietà, presa in carico globale del paziente per avere una cura adeguata e superare i rischi che possono presentarsi. Se una donna decide di programmare una gravidanza, deve concordarla col ginecologo e il reumatologo: sarà una decisione più complessa, ma eviterà il riacutizzarsi della patologia».
di Paola Trombetta