Arriverà il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la sentenza del processo a carico di Alessandro Impagnatiello per il femminicidio della fidanzata 29enne Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, uccisa il 27 maggio 2023, con 37 coltellate. I pubblici ministeri Letizia Mannella e Alessia Menegazzo, hanno chiesto l’ergastolo e l’isolamento diurno per 18 mesi per l’imputato. Il 3 dicembre invece sarà il giorno della sentenza con rito abbreviato su Filippo Turetta, che ha ucciso Giulia Cecchettin a coltellate l’11 novembre di un anno fa. A un anno dall’omicidio, è nata anche una Fondazione dedicata alla memoria della giovane ed è stata presentata dal padre Gino il 18 novembre a Montecitorio, con la partecipazione di tante personalità del mondo politico e istituzionale, in collegamento con il Parlamento Europeo e le scuole italiane.
I pilastri dell’azione della fondazione saranno “progetti innovativi di educazione all’affettività e all’amore, nelle scuole e nelle famiglie. Formare, parlare, confrontarsi soprattutto con i giovani, promuovendo una cultura del rispetto e della parità di genere che evidentemente oggi è carente”, ha affermato Gino Cecchettin. “Vogliamo far capire agli studenti che amare è molto meglio che odiare… Sensibilizzare l’opinione pubblica e fornire sostegno a coloro che sono vittime”.
Perché un anno dopo nulla è cambiato. Le donne continuano a morire. Dopo Giulia c’è stata Aurora, gettata dal balcone dal fidanzatino minorenne. C’è stata Sara, uccisa con le forbici. C’è stata la piccola Aurora Tila, 13 anni, precipitata dal settimo piano della palazzina dove abitava, a Piacenza, lo scorso 25 ottobre. Da subito i sospetti si sono indirizzati sul fidanzato quindicenne, già con un passato turbolento alle spalle, che spesso la picchiava; lo sapevano le amiche, i familiari, i servizi sociali. Secondo l’accusa, la ragazzina ha tentato di aggrapparsi alla ringhiera ma lui le ha colpito le mani facendole mollare la presa. Il ragazzo si trova nel carcere minorile di Bologna.
I numeri sono sempre gli stessi. Lo confermano i dati dell’ultimo report del Ministero dell’Interno, aggiornati al 3 novembre. Da inizio anno sono 96 gli omicidi di donne (erano 105 tra gennaio e novembre 2023), di cui 82 in ambito familiare e affettivo (87), 51 uccise da partner o ex partner. L’Osservatorio di “Non Una di Meno” ne conta ancora di più. Sono in aumento anche i reati sul web come l’estorsione sessuale (circa 1200 casi) e il revenge porn (200), entrambi in crescita del 9% rispetto allo stesso periodo del 2023 e lo stalking (intorno a 140 casi). Eppure le denunce e le richieste di aiuto ci sono, nel 2023 sono state il 24% in più dell’anno prima. Solo che non tutte ricevono la risposta giusta. O nei tempi giusti. Oppure non vengono ritenute urgenti come invece si rivelano dopo poco. Allarmanti a questo proposito anche i dati relativi all’infrazione del cosiddetto «Codice rosso», la legge 69/2019, introdotta per rafforzare la tutela delle persone che subiscono violenze e maltrattamenti. Il Servizio analisi della direzione centrale della polizia criminale ha rilevato infatti che la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, così come la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, sono in aumento. Celeste Palmieri, 56 anni, è stata uccisa a colpi di pistola appena uscita dal supermercato dal marito Mario Furio, 59 anni, agente della penitenziaria in pensione, da cui si stava separando. Aveva cinque figli. Lui indossava il braccialetto elettronico, ma quello della donna non ha funzionato. Aveva il braccialetto elettronico anche Lucian Tuduran, 41 anni, che ha ucciso a Civitavecchia l’ex compagna Carmela.
Per cercare di prevenire il più possibile gli omicidi, o almeno assistere al meglio le richieste di aiuto dopo violenze e aggressioni, è stata corretta la legge Salvavita. Adesso il partner violento va fuori di casa per ordine del pm anche senza la flagranza di reato e rischieranno l’arresto in flagranza differita, se contro di loro esistono video o foto che riprendono chiaramente i fatti denunciati. Il provvedimento, approvato in Commissione Giustizia dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin, ha avuto l’ok sia alla Camera che al Senato. Ridotti i tempi per la valutazione del rischio in modo da adottare misure cautelari in tempi stretti.
Approfondiamo il tema con Simona Scalzi e Francesca Scardi, psicoterapeute: sono tra le fondatrici della Cooperativa Sociale Cerchi d’Acqua, che dal 2000 si occupa di contrastare la violenza di genere accogliendo circa 500 donne, e socie fondatrici di D.i.Re. (Donne in rete contro la violenza), associazione nazionale dei centri antiviolenza. «Le leggi sono uno strumento essenziale ma non sono sufficienti a difendere le donne. Dentro c’è il tema, forte, dell’educazione agli affetti, osservano, sicuramente un elemento polarizzante nel dibattito, ma ancora mancante nella concretezza dei fatti».
Come sono toccati gli e le adolescenti dal fenomeno della violenza di genere? Che percezione e che vissuto hanno? Qual è il dato più evidente che avete rilevato?
«È proprio l’abbassamento dell’età delle ragazze che chiedono supporto. Abbiamo registrato un incremento significativo nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 29 anni, un 22% in più di donne relative a quella fascia di età. È un dato preoccupante, che induce alla riflessione: al contempo è un segnale positivo perché le giovani generazioni sembrano più capaci di riconoscere la violenza quando si palesa sotto forma di controllo e di cercare aiuto quando ne sono vittime o testimoni. In passato non era così. Qualcosa sta cambiando. Ma troppi stereotipi sono ancora presenti, percepiti e agiti dai giovani e dalle giovani: la gelosia ad esempio è tutt’ora vista come segno essenziale d’amore. Ragazzi e ragazze non riconoscono gli atteggiamenti “di controllo” come una forma di violenza, e pure condividere la password dei propri profili social non viene considerata forma di violenza, ma incasellata come una sfaccettatura inevitabile di una relazione amorosa. In generale, si tende a minimizzare la violenza: per un adolescente su quattro è normale diventare violenti se si scopre un tradimento. Spesso, quando parliamo di violenza maschile sulle donne, ci concentriamo sui fatti, su ciò che è visibile e che, nei casi più estremi, prelude al femminicidio. Dietro alle forme visibili, però, ce ne sono altre non visibili come quella psicologica ed economica. Tutti comportamenti che affondano le radici nella nostra cultura. C’è anche lo stupro “che non si vede”. La violenza che usa alcol e farmaci è un fenomeno in crescita, e poi è difficile denunciare, quando non si ricorda nulla. A questo, si somma lo sforzo degli avvocati nel dimostrare che quelle sostanze non siano state assunte volontariamente. Perché cambia: non è violenza sessuale aggravata, cioè non si può aumentare di un terzo la pena, se la vittima ha fatto un uso volontario e spesso accade che si cerchi di arrivare a quella conclusione. Infatti, ciò che colpisce sempre in questi casi è proprio la difficoltà per le donne di essere credute», sottolinea Francesca Scardi.
L’onda emotiva non si è fermata
Sono oltre 3.000 le lettere arrivate da tutta Italia: sono state consegnate dal postino al padre, Gino, che le conserva nella cameretta di sua figlia. C’è di tutto all’interno, stando a quanto riportato dal “Corriere della Sera”. Ci sono ragazze che raccontano la rivoluzione che ha scatenato la morte di Giulia, ma anche donne che hanno rivissuto tragedie personali. Molte sono scritte a mano. Messaggi d’affetto, il racconto di violenze private o un semplice grazie a chi non chiede vendetta.
Cosa colpisce così tanto del caso Cecchettin?
«Dopo l’uccisione di Giulia, una moltitudine di ragazze e ragazzi hanno sentito che quel dramma apparteneva anche alle loro vite – commenta Simona Scalzi –. Giulia era estremamente giovane: il traguardo della laurea vicino, la sensazione di infinite possibilità che quel periodo della vita porta con sé e l’incapacità di accettare che una vita venga spezzata in modo così brutale, e proprio per mano di Turetta, che appariva al mondo come un “bravo ragazzo”». L’elemento più rilevante, infine è la famiglia di Giulia Cecchettin, che è stata capace di trasformare il proprio dolore in un atto pubblico e, quindi, politico laddove per politica si intende ciò che attiene alla dimensione della collettività. La sorella ci ha chiesto di muoverci, di attivarci. Di non restare fermi; il padre di Giulia, Gino, ha parlato di responsabilità delle istituzioni, di prevenzione, di un’attività educativa che comincia all’interno delle famiglie e prosegue nelle scuole, per insegnare ai giovani ad accettare le sconfitte, a dare voce alle emozioni, a una sessualità libera dal possesso, a un amore che cerchi l’ascolto e il bene dell’altro. Da quel momento, il dibattito si è spostato (per una volta e come dovrebbe essere sempre) non sui dettagli più macabri, non solo sul dolore dei parenti o sulla vita dell’omicida, ma su una critica al sistema che permette che cose del genere accadano ancora. Perché è solo mantenendo il dibattito pubblico acceso, l’attenzione alta, che si costruisce una coscienza sociale condivisa che coinvolga non solo chi è già sensibile al tema, ma anche tutti gli altri».
Ombre anche in ambito della giustizia civile. Quello che emerge non è confortante: archiviazioni e sentenze contradditorie
«Nonostante l’introduzione del Codice Rosso, i dati disponibili, riportati dal Sole 24 Ore in una recente inchiesta sui reati di violenza, rivelano che circa il 50% dei casi segnalati vengono archiviati senza nemmeno arrivare al processo. Per quanto riguarda la tutela delle bambine e dei bambini convolti, è molto frequente l’affidamento condiviso tra genitori (75,6% dei casi) anche in presenza di querele, indagini o addirittura condanne per violenza contro la partner, mentre sono rari (22% dei casi) i provvedimenti che fanno decadere la responsabilità genitoriale del padre sospettato di aver agito violenza, indagato per questo tipo di reato o condannato. Lo dimostra la vicenda di Ana (nome di fantasia), peruviana alle soglie dei quarant’anni, che dieci mesi fa si è vista portare via i figli – una bimba di due anni e un bimbo di tre – dal compagno da cui aveva subito violenza, denunciato dal G.O.A.P. (Gruppo Operatrici Antiviolenza e Progetti), l’associazione che gestisce il Centro antiviolenza di Trieste. Purtroppo, la storia di Ana è la storia di tante altre donne e non solo straniere. Se esaminiamo gli esiti dell’indagine della Commissione Femminicidio del Senato: tra i 2.089 procedimenti di separazioni con figli minori esaminati, 603 mostravano prove di violenza, ma solo nel 15% dei casi i giudici avevano approfondito le accuse presentate».
Ecco qualche caso, più o meno controverso. La Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha confermato l’ergastolo per Giovanni Padovani, il 28enne ex calciatore e modello che già in primo grado era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, 56 anni, uccisa sotto casa, in via dell’Arcoveggio a Bologna, il 23 agosto 2022. La difesa aveva proposto di valutare di nuovo la possibilità di infermità mentale, mentre l’accusa aveva chiesto la conferma dell’ergastolo.
Inquietante, allarmante è invece la decisione dei giudici della Corte di Cassazione nel caso Antonio De Pace: per la Cassazione l’uomo merita la concessione delle attenuanti generiche. Stiamo parlando dell’infermiere calabrese che Soffocò a mani nude la sua fidanzata Lorena Quaranta, perché sarebbe stato stressato a causa del Covid. Sulla base di questo presupposto, i giudici della prima sezione penale della Suprema Corte hanno annullato – “limitatamente al punto” – la sentenza del 18 luglio 2023, con la quale la Corte di assise di appello di Messina aveva confermato l’ergastolo per omicidio aggravato, già inflitto in primo grado. E questo perché “non tiene conto della causa che ha provocato la condizione di agitazione” – ossia la pandemia – che portò l’uomo a uccidere e che “ha ostacolato la pronta attivazione di quei presidi, di ordine psicologico, affettivo, relazionale, sanitario, diretti a mitigarne gli effetti e a prevenirne l’escalation”. Gli “Ermellini” hanno quindi disposto il rinvio alla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria per un nuovo giudizio. Il 28 novembre la Corte d’Assise d’Appello si ritirerà in camera di consiglio per la sentenza. Non solo, potrebbe anche usufruire del rito abbreviato (prima precluso) e ottenere un sensibile sconto di pena. «Queste motivazioni ci lasciano sgomente – affermano le psicoterapeute –. Le parole con cui le sentenze raccontano i casi di violenza sulle donne sono significative: disegnano la realtà e contribuiscono a creare. Come quella emessa dal Gup di Firenze, con la quale il giudice ha assolto due ragazzi accusati di stupro, ritenuti non punibili perché avrebbero commesso “un errore di percezione del consenso”. Nella sentenza vengono elencati come elementi a favore dell’assoluzione il fatto che “la ragazza era in uno stato di alterazione più o meno accentuato e non appariva in grado di esprimere un valido consenso” e che “aveva avuto, nei mesi precedenti, dei rapporti sessuali con un imputato”. Entrambi questi elementi dovrebbero costituire al contrario delle aggravanti, non delle attenuanti! Serve una rivoluzione culturale nei tribunali».
di Cristina Tirinzoni
Teatro Carcano, in prima linea per la ricorrenza
In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza contro le Donne, il Teatro Carcano di Milano sarà in prima linea attivamente affinché questa ricorrenza diventi un’importante occasione di sensibilizzazione e mobilitazione civile, utilizzando il teatro come strumento di riflessione e dialogo sul tema. E promuovendo una rassegna di eventi interamente dedicata.
La rassegna si apre il 25 novembre con Uomini si diventa – Nella mente di un femminicida, un reading condotto da Alessio Boni e Omar Pedrini. “Un momento di autocoscienza collettiva di cui, oggi più che mai, sentiamo il bisogno”, ha dichiarato Alessio Boni. “Perché anche se ogni volta che leggiamo un titolo di cronaca istintivamente pensiamo: “Io non sono così, io non lo farei mai”, nel nostro profondo sappiamo che, nel corso di una vita, qualche tipo di sopraffazione nei confronti delle donne, magari inconsapevolmente, l’abbiamo compiuta anche noi”.
Il 26 novembre attrici e donne della società civile daranno voce alle vittime di femminicidio con Ferite a morte, reading di Serena Dandini e Maura Misiti. I testi attingono alla cronaca e alle indagini giornalistiche per dare voce alle donne che hanno perso la vita per mano di un marito, un compagno, un amante o un “ex”. Ad accompagnare Dandini in scena ci sarà anche Lella Costa.
Il 1° dicembre, sarà la volta di Monica Guerritore, attrice, regista e scrittrice che metterà in scena il reading tratto da libro Quel che so di lei (ed. Longanesi), che ha scritto nel 2019 e si ispira al terribile femminicidio di Giulia Trigona, sposata e madre di due figlie, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel marzo del 1911. “Doveva essere l’incontro dell’addio con l’ex amante che aveva deciso di lasciare e che non si rassegnava alla fine di quella relazione. Un femminicidio feroce, uno schema che ancora si ripete. Mi è sembrata una storia emblematica di certi orrori a cui assistiamo anche oggi”, racconta Guerritore. E aggiunge. “Occorre liberarci dall’amore che ci consegna all’altro, a partire dalle più subdole e velate violenze, prendendo consapevolezza della nostra forza”. C.T.