Più di 7 su 10 (70,9%) sono le persone costrette a modificare il proprio progetto di vita in seguito alla diagnosi di una malattia reumatologica, con punte che superano l’80% (83,3%) tra coloro che hanno ricevuto la diagnosi prima del 2000, anno spartiacque per le cure grazie all’arrivo, tra le opzioni terapeutiche, dei farmaci biologici. I principali ambiti in cui si manifestano questi cambiamenti riguardano il lavoro (71,7%), dove più di 6 persone su 10 (60,8%) con una patologia reumatologica sono state costrette ad abbandonare o a ridurre l’attività lavorativa. Seguono poi lo sport (38,9%) e la sfera affettiva con il partner (32,8%): in quest’ultimo caso più della metà del campione (56,6%) dichiara di aver avuto problemi a seguito della diagnosi, con difficoltà nei rapporti sessuali riscontrate per oltre 3 persone su 4 (79,4%). Problematicità che per fortuna solo in meno di un caso su 5 (17,1%) hanno portato all’allontanamento del partner. In generale, il 48,9% del campione di persone affette da una delle oltre 150 patologie reumatologiche dichiara che la qualità della vita è peggiorata dal momento della diagnosi, percentuale che sale al 53,2% nella fascia di età compresa tra i 65 e i 75 anni. Sono alcuni dati che emergono dall’indagine “Vivere con una patologia reumatologica”, promossa da APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APS ETS, in collaborazione con l’istituto di ricerca WeResearch, per la ricorrenza del 40° compleanno dell’Associazione nell’ambito dell’evento celebrativo che si è svolto a Roma, presso il Palazzo Santa Chiara. La ricerca è stata condotta su un campione nazionale di 1.627 persone, tra quelle affette da patologie reumatologiche (274), caregiver di persone con malattie reumatologiche (100) e popolazione generale non colpita da queste patologie (1.253). In Italia sono più di 5 milioni, quasi il 10% della popolazione nazionale, le persone affette da una delle oltre 150 patologie reumatologiche che rappresentano la seconda causa di disabilità dopo le malattie cardiovascolari. Per non parlare dei risvolti psicologici: i sentimenti più diffusi sono la tristezza (49,2%), la paura (47,8%), lo smarrimento (44,9%) e l’ansia (43%). Oltre alla rabbia (39,8%) provata anche verso sé stessi, sentendosi quasi responsabili per non essersi presi cura a sufficienza della propria persona e al senso di sollievo provato per aver dato finalmente un nome reale alla malattia così da non sentirsi più considerati, malati immaginari. Ansia (40,9%) e paura (37,6%) ritornano anche nel momento dell’avvio della terapia farmacologia con solo il 9,1% che dichiara di essersi sentito tranquillo.
«Come APMARR siamo impegnati fin dalla nostra fondazione, avvenuta ben 40 anni fa, per tutelare e difendere il diritto alla salute delle persone con patologie reumatologiche e rare, perseguendo la nostra mission: migliorare la qualità dell’assistenza e la qualità della vita», precisa Antonella Celano, presidente APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APS ETS. «Per questo chiediamo alle Istituzioni interventi mirati con un rafforzamento del piano nazionale della cronicità e un impegno costante per garantire il diritto alla salute agli oltre 5 milioni di italiani affetti da una delle oltre 150 patologie reumatologiche affinché la diagnosi non equivalga a una sentenza, costringendo le persone a dover cambiare i loro progetti di vita con costi emotivi, sanitari e sociali molto alti».
Tra le principali fonti di d’informazione sulle patologie reumatologiche spiccano il medico di base (43,5%), i forum di discussione (30%), i siti istituzionali e governativi (22,6%); da notare come solo in poco più di un caso su 10 (10,1%) siano le associazioni di pazienti attive in ambito reumatologico ad essere fonti informative per i cittadini italiani. Risultati sconfortanti emergono anche rispetto alla prevenzione visto che il 78,3% degli italiani non ha mai effettuato analisi e/o dei controlli per verificare di essere affetto da una patologia reumatologica, una percentuale che sale ancora di più nella fascia d’età compresa tra 41 e 64 anni (80,5%).
«Dall’analisi dei dati emergono diversi aspetti critici», spiega Matteo Santopietro, Senior Market Researcher presso l’Istituto WeResearch. «Da una parte, le persone affette da patologie reumatologiche dichiarano che la malattia ha avuto un impatto negativo sulla loro vita, tale da dover rimodulare il loro progetto di vita; dall’altra, a livello nazionale, le persone non affette da patologie reumatologiche hanno dichiarato di non avere informazioni complete ed esaustive. Questa mancanza di informazioni nella popolazione si traduce in una bassa incidenza delle analisi effettuate per verificare di essere affetti o non affetti da una patologia reumatologica. In conclusione, si può affermare che le campagne informative delle associazioni pazienti, APMARR in primis, siano fondamentali per tradurre la conoscenza delle tematiche inerenti alle patologie reumatologiche in atti concreti quali sono, in particolare, le diagnosi precoci, così da poter migliorare la qualità della vita delle persone affette da patologie reumatologiche». Un altro aspetto chiave che emerge come ambito di miglioramento riguarda la comunicazione tra medico e paziente. «Ci immaginavamo l’impatto negativo che una patologia reumatologica può avere sui pazienti, ma i numeri di questa ricerca epidemiologica sono veramente sconvolgenti», dichiara Luis Severino Martin Martin, presidente del CReI – Collegio dei Reumatologi Italiani. «Tra gli ambiti analizzati quali lavoro, sport e aspetti relazionali, mi ha colpito la reazione dei pazienti quando iniziano una terapia farmacologica: soltanto uno su 10 si mostra tranquillo e questo dato si dimezza se dobbiamo prendere in considerazione ogni cambio di terapia, che purtroppo avviene spesso. Questo dato contrasta con l’entusiasmo che spesso proviamo noi sanitari quando offriamo una terapia valida ed innovativa che certamente potrà migliorare la qualità della vita del paziente. È evidente che dobbiamo ancora imparare molto, noi medici, su come comunicare con i pazienti, trasmettendo loro più entusiasmo e notizie rassicuranti e meno informazioni tecnico-scientifiche».
«La Società Italiana di Reumatologia, SIR ha tra i suoi obiettivi principali il miglioramento della salute del malato reumatico», afferma Gian Domenico Sebastiani, presidente SIR. «Per conseguire questo obiettivo ha messo in atto una serie di azioni di coinvolgimento e miglioramento della conoscenza di queste patologie presso i decisori politici e la popolazione in generale, ottenendo importanti risultati quali ad esempio il DDL 946 volto al potenziamento dell’assistenza al malato reumatico».
«L’impatto invalidante delle patologie reumatiche è evidente, non solo per la limitazione fisica e comportamentale che spesso ci si trova ad affrontare, ma anche per la riconfigurazione della propria immagine di sé come persone», puntualizza Guendalina Graffigna, Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona e direttore del Centro di Ricerca EngageMinds HUB. «Dal punto di vista psicologico-emotivo la diagnosi e l’esperienza della malattia si accompagnano spesso ad una perdita di senso di autoefficacia, ad autolimitazioni nelle attività professionali e quotidiane, a forme di isolamento sociale. Peggiora il quadro, la scarsa consapevolezza che l’opinione pubblica ha di questo invalidante impatto delle malattie reumatiche e la tendenza a stereotipizzare le diagnosi come tipiche dell’età avanzata: elementi che tendono a stigmatizzare la malattia e a far sentire isolato e poco compreso chi ne soffre».
Paola Trombetta