Storie che cambiano la storia. Sono quelle che nascono dentro un laboratorio e che arrivano al letto del paziente, dando risposta a una malattia che prima non l’aveva, mutandone il decorso naturale. Storie di respiro internazionale, che si (pre)occupano degli ultimi come i migranti. Storie rese possibili dal prezioso contributo del terzo settore, associazioni di volontariato o di pazienti. Storie di successo, di riscatto, di speranza e di cura, di un nuovo futuro, per la scienza e per la vita. 58 storie, che raccontano di importanti progetti sviluppati da enti di ricerca italiani di eccellenza su tutto il territorio nazionale, da Università e Fondazioni, protagoniste della 13° edizione del Fellowship Program e Community Award Program, i Bandi di concorso promossi da Gilead Sciences, che dal 2011, con più di 16.6 milioni di euro ha contribuito a dare forma a progetti di ricerca e di natura socio- assistenziale nelle aree delle malattie infettive, oncologiche ed ematologiche, trasformandoli da un semplice disegno a realtà. Quasi 1.5 milioni di euro i fondi stanziati per i vincitori di quest’anno, suddivisi fra 25 progetti di ricerca, 33 in area socio-assistenziale e 4 premi speciali per progettualità che hanno posto l’attenzione su problematiche etiche, sul coinvolgimento del paziente, sull’uso dei social media o ri-premiati per il valore aggiunto dimostrato per la salute e il benessere della persona. Progetti, molti dei quali coordinati da ricercatrici donne: tra questi uno studio di area oncoematologica, sui linfomi aggressivi, sviluppato all’Istituto Nazionale Tumori di Milano, dalla dottoressa Anna Dodero, sotto la guida del Professor Paolo Corradini, direttore del Dipartimento di Ematologia e Onco-ematologia pediatrica. «Abbiamo sviluppato una raccolta prospettica, osservazionale, di tutti i pazienti che in Italia sono stati sottoposti a una terapia con CAR-T – spiega la dottoressa – per il trattamento di linfomi B aggressivi. Nella prima parte del progetto ci siamo dedicati a selezionare un sottogruppo di pazienti affetti da linfomi ad alto grado, con prognosi particolarmente sfavorevole e un andamento di risposta peggiore rispetto ai linfomi diffusi de novo. Pazienti, quelli con linfomi aggressivi, con casistica e informazioni molto limitate, pertanto abbiamo focalizzato l’attenzione su 78 pazienti trattati con CAR-T in terza linea raccogliendo dati clinici e gli esiti di risposta alla terapia. Nel prossimo futuro, poiché le CAR-T sono approvate già in seconda linea, intendiamo ricercare, sempre in questo sottogruppo di pazienti, le caratteristiche che contribuiscono a limitare la risposta terapeutica rispetto ad altre forme emato-oncologiche, nello specifico i linfomi de novo, e quindi eventuali biomarcatori su cui targhettare la terapia. Grazie a questo bando, intendiamo concentrare gli sforzi all’identificazione di possibili mutazioni associate alla non risposta con l’auspicio di riuscire anche a caratterizzare il prodotto inziale raccolto, cioè la linfocitoaferesi (raccolta delle cellule T dal sangue), e indagare la presenza di elementi distintivi rispetto ai linfomi diffusi de novo».
Di diversa “expertise”, ma altrettanto interessante il progetto “Valutazione del benessere e dei bisogni non soddisfatti nella popolazione migrante con HIV”, premiato nell’area delle malattie infettive, condotto da Antonella d’Arminio Monforte, già professore ordinario di malattie infettive e Presidente della Fondazione ICONA. «Lo studio – racconta – è teso a valutare in pazienti HIV positivi, i “nostri pazienti ICONA”, per il 30% migranti a cui si legano anche i maggiori numeri e rischi di patologia, seguiti dal 1997 ed entrati a far parte della coorte ICONA in quanto non ancora sottoposti a terapia antiretrovirale. Tramite appositi questionari autosomministrati, proposti in diverse lingue (inglese, francese, spagnolo, portoghese, arabo), ne abbiamo valutato i bisogni di salute, la qualità di vita, il percepito sulla qualità dell’assistenza. Vero è infatti che queste popolazioni presentano un ritardo alla diagnosi di HIV, fatto salvo per le donne che eseguono un test in gravidanza, ed altre caratteristiche, quali fallimenti terapeutici maggiori che condizionano l’andamento (e la risposta della malattia), principalmente dovuti agli spostamenti territoriali, non alla mancata assistenza alla cura che è totalmente gratuita in Italia, come anche diverse altre criticità. L’intento della ricerca è quello di rilevare i bisogni differenti di salute dei migranti rispetto alla popolazione di nascita italiana, su cui orientare l’approccio terapeutico. Oggi siamo nella fase di arruolamento dei pazienti, ricavando un valido aiuto dal finanziamento di questo grant, e contiamo di avere i primissimi risultati fra 6 mesi con una ri-valutazione a 12 mesi a conclusione dello studio». Molti i progetti premiati di carattere assistenziale, come “C.A.S.A”: un nome evocativo che indica un “programma” di accompagnamento domiciliare caratterizzato da un supporto medico e psicologico, dedicato a donne di oltre 65 anni con tumore del seno, sviluppato dall’Associazione Tumori Toscana, cambiando il target di donne seguite, grazie alla ricerca. Ad oggi, infatti, il 50% di coloro che partecipano al progetto hanno forme di malattia avanzata, mentre la restante metà è in terapia attiva, cioè in trattamento con chemio e/o radio, e necessitano di un aiuto specifico per meglio controllare gli effetti collaterali delle terapie. Tra queste pazienti vi sono donne con tumore del seno metastatico, a cui si rivolge anche l’impegno di Europa Donna Italia APS, promotrice della realizzazione del “Manifesto delle richieste delle donne con tumore al seno metastatico”, redatto con la collaborazione di 52 mila donne con questa forma di malattia: un appello corale, per la tutela a livello istituzionale con leggi e con azioni negli ospedali, favorendo ad esempio la facilità di accesso a trial clinici e terapie innovative, sburocratizzando le procedure per l’ottenimento dell’invalidità, la velocizzazione delle prenotazioni e delle cure, a un supporto per l’accettazione della malattia per sé e i famigliari. Azioni che, messe in atto, porterebbero a un sensibile cambiamento, a favore dell’allungamento e miglioramento della qualità di vita.
Ammirazione, sostegno, gratitudine alla ricerca scientifica: sono solo alcuni dei valori espressi dagli italiani nel corso di una indagine realizzata da AstraRicerche per Gilead Sciences: per tre italiani su quattro (74.7%) lo sviluppo scientifico ha contribuito a migliorare vite e stato di salute, opinione più accreditata fra le donne tra 60-65enni (81%) e gli uomini 30-39enni (80%), con una consapevolezza che cresce proporzionalmente al titolo di studio (67% se inferiore, 76% se diploma, 83% se laurea). È fermo convincimento, inoltre, che la ricerca medico-scientifica possa cambiare la storia delle malattie, renderle sempre più curabili (61,4%) e favorire le opportunità diagnostiche (55%), come nel caso del tumore alla mammella (76.5%), di leucemie e linfomi (66.9%), di HIV/AIDS (68.5%) ed epatiti virali (65.0%). A ragione dunque gli italiani sostengono la ricerca con donazioni dedicate o altre forme di finanziamento. Un importante riconoscimento gli italiani lo rivolgono alle Associazioni pazienti per il supporto (62.5%), l’informazione (43.7%) e la vicinanza offerta a chi soffre, ai famigliari/caregiver: oltre l’80% concorda – e ne sono particolarmente convinte le donne e i 50-65enni – che le Associazioni “cambiano la storia dei pazienti” (81.8%), grazie anche alla vicinanza e all’attenzione alla salute della collettività (84.6%). Consapevole del proprio ruolo all’interno del sistema salute, Gilead ha confermato l’impegno e la volontà di non fermarsi qui, ma di andare avanti per scrivere nuove storie di successo. Per un futuro più sano, per tutti. Un’ implicita “call to action” ai ricercatori a partecipare (pro)attivamente alla prossima edizione dei Bandi 2025.
di Francesca Morelli