«Dobbiamo uscire dall’emergenza, dalla tendenza ad autostigmatizzarci e diffondere informazioni corrette sull’infezione da HIV, sul test per individuarla precocemente, eliminando il consenso informato scritto e inserendolo nella normale pratica clinica. Solo così possiamo ridurre l’incidenza delle infezioni da HIV, ma soprattutto le morti da AIDS. Questa è la priorità della nostra Fondazione “The Bridge” che si propone di superare quegli ostacoli culturali che stigmatizzano ancora le persone con HIV. Spesso siamo noi stessi ad alimentare lo stigma. Se ci confrontiamo con i pazienti che hanno altre malattie come il diabete e persino alcuni disturbi mentali, molti di noi si sentono ancora “diversi”. Dovremmo fare lo sforzo di normalizzare la nostra condizione, di ammettere di avere l’HIV che è ormai diventata una malattia cronica, che si controlla con i farmaci sempre più efficaci. Noi non siamo l’HIV, ma abbiamo l’HIV. E prima viene individuato, più efficaci sono le cure. Ci dobbiamo impegnare a diffondere le informazioni sui test diagnostici che permetterebbero di riconoscere precocemente e curare tante infezioni che rimangono invece latenti. Per questo abbiamo lavorato tanto per una legge che purtroppo si è arenata in Parlamento e abbiamo chiesto di discuterla e approvarla nel più breve tempo possibile».
Così Rosaria Iardino, presidente della Fondazione The Bridge (www.fondazionethebridge.it) ha commentato, in occasione della Giornata mondiale dell’AIDS (1° dicembre), i ritardi dell’approvazione di una legge che dovrebbe, tra le altre proposte, rendere i test per l’HIV più semplici da eseguire. E soprattutto si è fatta portavoce della necessità di informare su questa malattia che non deve più essere stigmatizzata, ma va affrontata come una patologia cronica che si cura con le tante opzioni farmacologiche che oggi esistono.
Per fare il punto sulla malattia e la sua diffusione, abbiamo intervistato la dottoressa Barbara Suligoi, responsabile del Centro operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità, intervenuta all’evento: “HIV, Dalle parole alle azioni, Insieme per porre fine all’epidemia”, promosso da Gilead Sciences, con la partecipazione dei rappresentanti della Comunità scientifica, delle Associazioni, del Terzo Settore, delle Istituzioni nazionali e regionali.
Quanto è diffusa questa infezione in Italia?
«Sulla base del numero di casi esistenti nel nostro Paese, circa 142 mila, ogni giorno sette persone scoprono di essere HIV positive e quattro di loro arrivano con una diagnosi tardiva, avendo contratto l’infezione anni prima senza mai essersi accorti. Col rischio di diffondere a loro insaputa la malattia al partner e aumentare i contagi. Per questo è fondamentale rendere accessibili i test per individuare precocemente l’infezione ed evitare che si diffonda. Individuandola precocemente i farmaci antiretrovirali riescono ad avere un’azione più efficace per il controllo della malattia. Negli ultimi anni è aumentato il numero di persone che sopravvivono a questa malattia che è diventata ormai “cronica”».
Inconsapevoli di avere l’infezione sono soprattutto le donne, che la contraggono magari da partner infetti.
«Le nuove diagnosi di HIV in Italia nel 25% dei casi avvengono nelle donne. Questo non deve però far pensare che il rischio di contrarre l’infezione nelle donne sia minore. I rapporti sessuali non protetti sono molto frequenti e le rende più vulnerabili alle infezioni. Le donne sono ad alto rischio di contrarre l’HIV e le IST (Infezioni Sessualmente Trasmesse) perché non riescono a convincere i propri partner all’uso del preservativo. In più l’ambiente vaginale della donna è molto più recettivo e favorisce la proliferazione di virus e batteri».
Come arginare questo rischio?
«Innanzitutto utilizzando il preservativo, soprattutto nei rapporti occasionali con partner di cui non si conosce lo stato di salute. Se il partner è fisso il rischio è minore, ma non necessariamente nullo. Occorre esigere l’utilizzo del preservativo che non va per nulla stigmatizzato. È un gesto di rispetto nei confronti del partner e di sé stesse. Il secondo punto sono i test. Se le donne si espongono a un rapporto a rischio, non devono avere il timore o il pudore di sottoporsi ai test, sia per l’HIV che per altre infezioni sessualmente trasmissibili, in quanto sono disponibili cure efficaci per tutte queste patologie».
Molto spesso le donne si accorgono di essere infette, durante la gravidanza, perché vengono sottoposte a questo test. Si potrebbe ipotizzare uno screening più diffuso, magari nelle donne che hanno rapporti a rischio?
«Attualmente è una questione complessa, perché persiste ancora lo stigma di sottoporsi al test. Le donne in gravidanza hanno l’opportunità di incontrare un ginecologo che raccomanda di eseguire il test per l’HIV. Ma quando le donne vanno dal ginecologo per le visite di routine, il test per l’HIV dovrebbe essere offerto alle donne che riferiscono comportamenti a rischio o alle donne con un’infezione sessualmente trasmessa. In questo modo potremmo avere un’occasione preziosa per identificare donne che non sanno di essere sieropositive».
Più precocemente si individua l’infezione, più efficaci si rivelano le cure. Ormai l’HIV è una malattia che si può cronicizzare, se si utilizzano terapie adeguate…
«Adesso c’è un ventaglio di terapie molto ampio che permette di affrontare una serie di situazioni diverse, anche con in persone con comorbidità. Le combinazioni dei farmaci antiretrovirali sono tante e si possono utilizzare per uso cronico, analogamente a quanto accade per altre malattie. Oggi è anche possibile per una donna sieropositiva portare avanti una gravidanza perché si possono assumere farmaci che non danneggiano il feto. L’importante è individuare l’infezione precocemente, quando la carica virale è ancora molto bassa, perché in questo modo riusciamo a contenere i danni prodotti dal virus in modo duraturo nel tempo».
di Paola Trombetta
Un libro bianco e la campagna “HIV. Ne parliamo?”
Gli italiani sono abbastanza informati sul tema dell’HIV, ma non troppo: il 57,3% afferma di esserlo molto o abbastanza, ma solo il 10,6% è convinto di saperne molto. C’è ancora confusione sulla trasmissione del virus: il 14,5% pensa che per infettarsi sia sufficiente baciare una persona con HIV in modo appassionato, l’11,8% usare i bagni in comune con persone con HIV, il 16,6% essere punti da una zanzara che prima ha punto uno con HIV o stare nello stesso ambiente dove c’è una persona con HIV (5,2%). Questa scarsa consapevolezza porta paradossalmente a sottovalutare il rischio: il 63% si sente a rischio “nullo” e a non fare il test, eseguito solo dal 29,3% di quanti dicono di conoscere il virus. Poca informazione anche sulle strategie di prevenzione e profilassi pre-esposizione (PrEP), conosciuta solo dal 6,7%, e dei servizi che si possono trovare nei checkpoint (43,5%), presidi territoriali di cui il 56,5% non conosce l’esistenza.
Questo il quadro che emerge da un’indagine demoscopica realizzata da AstraRicerche per Gilead Sciences su un campione di oltre 1.500 persone fra i 18 e i 70 anni, i cui dati sono riportati all’interno del Libro Bianco “HIV. Le parole per tornare a parlarne”, presentato a Roma in occasione dell’evento “HIV. Dalle parole alle azioni. Insieme per porre fine all’epidemia”. Realizzato con il contributo di clinici, associazioni e rappresentanti delle Istituzioni, il libro bianco parte da quattro parole chiave: prevenzione, stigma, checkpoint e qualità di vita, e ha lo scopo di riportare l’attenzione su questa infezione, di riprendere il dibattito su problematiche ed esigenze ancora presenti e di proporre azioni concrete nella lotta a questa infezione. Il libro e l’evento si inseriscono nell’ambito della campagna “HIV. Ne parliamo?” iniziativa promossa da Gilead Sciences con il patrocinio di 17 Associazioni di pazienti, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e l’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (ICAR). A supporto una landing page, hivneparliamo.it, i podcast “A Voce Alta – Dialoghi sull’HIV”, realizzati da OnePodcast in collaborazione con Gilead Sciences dedicati ai temi dell’aderenza, dello sviluppo di resistenze e di come affrontare una diagnosi di HIV, disponibili a questo link: https://open.spotify.com/show/3WO4OGtxxupBJBiR7Oy1sz.
Infine, materiali informativi per i medici, eventualmente condivisi dai clinici con i loro assistiti, sui temi dell’aderenza e della salute mentale, a cui si aggiungeranno presto quelli dedicati allo sviluppo di resistenze e al momento della diagnosi. È possibile consultare il libro bianco “HIV. Le parole per tornare a parlarne” a questo link: https://issuu.com/oprg/docs/libro_bianco-le_parole-per-tornare-a parlarne?fr=sMTA2OTc5OTg5ODU
P.T.