Febbre, stanchezza, calo ponderale, dolori articolari e ai muscoli, macchie rossastre sulla pelle: potrebbero essere i segnali di una malattia rara, EGPA, che ha un’incidenza di 0,5-4,2 casi per milione di abitanti (ma che si reputa sottostimata), conosciuta sia come Granulomatosi Eosinofilica con Poliangite, sia come sindrome di Churg-Strauss, dal nome dei due scienziati che l’hanno scoperta nel 1951. Si tratta di una malattia caratterizzata da una infiammazione granulomatosa, associata alla poliangite, cioè alla presenza di vasculite una infiammazione a carico dei vasi sanguigni soprattutto di piccolo calibro, e a eosinofilia, cioè una infiammazione di specifici globuli bianchi che può coinvolgere vari organi e tessuti.
«Sono una paziente rara tra i rari», racconta Eugenia Durante, Vice Presidente dell’Associazione Pazienti APACS con Sindrome di Churg-Strauss (www.apacs-egpa.org). «Infatti la malattia si manifesta di norma in età adulta, mentre nel mio caso ho avuto i primi sintomi in età pediatrica e questo ha complicato il mio viaggio verso la diagnosi, arrivata dopo 10 anni. Inizialmente si viene trattati come asmatici fino a che non compaiono i sintomi più gravi, allora si è rimbalzati da uno specialista all’atro e ciò aumenta il nostro senso di solitudine. Dare supporto ai pazienti è il primo bisogno che mi ha spinto a fondare l’Associazione, il cui obiettivo è di informare sulla malattia, anche in relazione ai propri diritti, di educare alla presa di coscienza e fare community per dare voce ai nostri bisogni e all’impatto psico-emotivo, fisico e socio-relazionale che l’EGPA genera. Fondamentale è rivolgersi a centri di riferimento sul territorio, il più possibile vicini a casa, dove ricevere trattamenti multidisciplinari».
La malattia si evolve in tre fasi, come i tre atti di una pièce teatrale, i cui “attori” sono gli eosinofili, un tipo di globuli bianchi che hanno un ruolo importante nella risposta dell’organismo alle reazioni allergiche, all’asma, alle infezioni da parassiti. La causa è un’infiammazione eosinofila che colpisce le pareti dei vasi sanguigni di piccole e medie dimensioni e può causare seri problemi a diversi organi: il polmone in primis, ma anche alle alte vie aeree, ai reni, al cuore, all’intestino, alla pelle. Si tratta quindi di una patologia grave, multisistemica e potenzialmente letale: ogni organo potrebbe essere impattato, anche irreversibilmente, dall’infiammazione.
«L’EGPA evolve attraverso 3 fasi, la cui durata nel tempo può variare da paziente a paziente, andando a coprire intervalli fino a 20 anni nei casi a decorso più lento», puntualizza il professor Roberto Padoan, responsabile del Centro Vasculiti dell’Unità operativa complessa di Reumatologia dell’Azienda ospedaliera di Padova. «La prima, chiamata prodromica, è caratterizzata da uno stato di infiammazione alle alte e alle basse vie respiratorie e si manifesta con asma e rinite allergica, a volte accompagnate da poliposi nasale. Nella fase successiva (eosinofila), i protagonisti diventano gli eosinofili, cellule del sistema immunitario. Nell’EGPA i valori medi di eosinofilia sono generalmente pari o superiori a 1.500 cellule per microlitro di sangue, oppure superiori al 10% del totale dei leucociti, a fronte di valori di riferimento per le persone sane che normalmente si trovano tra 0 e 500 cellule per microlitro, con conseguente pericoloso accumulo nei tessuti. In questo stadio anche gli anticorpi anticitoplasma possono entrare in azione e creare danni. Le manifestazioni sono soprattutto: febbre, stanchezza, perdita di peso, dolori articolari, ai muscoli e disfunzione dell’organo maggiormente colpito dall’infiltrazione. La terza fase è detta vasculitica e determina un interessamento sistemico. Tra gli organi più colpiti c’è il polmone. Altri bersagli sono i reni, il cuore e l’intestino: in quest’ultimo caso l’addensamento degli eosinofili provoca dei micro-infarti mandando in necrosi le parti che non ricevono più il sangue. A volte vengono interessati più organi contemporaneamente e può capitare che la vasculite colpisca anche il sistema nervoso, con perdita di sensibilità o di mobilità dei muscoli. A complicare ulteriormente le cose: le fasi della malattia possono non presentarsi in ordine consequenziale, ma manifestarsi in modo sovrapposto. Ogni paziente è un caso a sé: in alcuni la malattia insorge e segue un’evoluzione “da manuale”, altri in cui la malattia esordisce con tutti i sintomi contemporaneamente presentando quadri esclusivi. Oggi poi abbiamo capito che l’EGPA tende a cambiare faccia, cioè a manifestarsi sempre meno come vasculite e sempre più come patologia eosinofilica. Buona parte delle recidive infatti sono rappresentate da riacutizzazioni asmatiche, rinosinusite importante e eventualmente infiltrato d’organo sempre mediato dagli eosinofili. Si stima che la recidiva vasculitica, quindi con una neuropatia periferica possa presentarsi solo in 1/5 di pazienti in follow-up».
Questo è più o meno il quadro clinico. Sulle cause c’è ancora da studiare. L’importanza però delle manifestazioni allergiche fa pensare a un processo autoimmune. Quel che è certo è l’impatto sulla vita dei malati. Convivere con l’EGPA non è una passeggiata, dal punto di vista fisico e di conseguenza psicologico. Il dolore, la sensazione di smarrimento e la difficoltà a essere diagnosticati precocemente (ci possono volere dai 7 ai 10 anni) è quello che i pazienti lamentano maggiormente.
Ma come si arriva alla diagnosi? «I sintomi descritti suggeriscono allo specialista – immunologo, allergologo, reumatologo e pneumologo – di sottoporre il paziente a esami di laboratorio specifici che riescono a intercettare “l’esplosione eosinofila” grazie al dosaggio dell’emocromo, alla formula leucocitaria ed ECP (proteina cationica eosinofila, una proteina rilasciata dagli eosinofili), unitamente ad un controllo di un marker d’infiammazione come la VES», precisa il professor Jan Walter Volk Schroeder, direttore del reparto di Allergologia e Immunologia dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano. «Fatta la diagnosi inizia il percorso di cura che oggi, fortunatamente, offre nuove luci e risposte concrete. Le terapie tradizionali come i corticosteroidi e gli immunosoppressori hanno un impatto limitato sull’EGPA, perché non agiscono alla sua origine e aumentano il rischio infettivo. E qui entra in gioco l’anticorpo monoclonale mepolizumab: agisce direttamente sulle cause molecolari e biologiche sia dell’EGPA che delle altre patologie eosinofile. Nello studio registrativo MIRRA, pubblicato anche sul New England Journal of Medicine nel 2017 (Mepolizumab or Placebo for Eosinophilic Granulomatosis with Polyangiitis | New England Journal of Medicine), si è visto chiaramente come a 24 settimane oltre la metà dei pazienti in cura con mepolizumab fosse in remissione di malattia e che l’uso del farmaco ha permesso di ridurre significativamente il consumo di corticosteroidi orali necessari per mantenere la malattia sotto controllo. Un risultato che ha cambiato la vita dei pazienti, confermato dallo studio MARS che ha valutato la sicurezza e l’efficacia a lungo termine. Ancora dopo 4 anni di trattamento si è osservata una significativa riduzione mediana dei corticosteroidi orali, un controllo dei sintomi e nessun evento avverso correlato al farmaco».
«L’approccio con il paziente – dichiarano gli esperti – è sensibilmente cambiato. Oggi curiamo la persona, non la malattia: medici e pazienti collaborano insieme e in sinergia. Abbiamo imparato molto dai pazienti: ascoltiamo i loro bisogni, moduliamo le terapie sulle loro necessità e racconti, in un dialogo interattivo e di interscambio per garantire la migliore qualità di vita possibile. Basiamo le nostre valutazioni oltre che sugli esami clinici sul Reported Patient Outcome, sul loro vissuto esperienziale». «Finalmente il paradigma è cambiato – conclude Eugenia Durante – si pensa al paziente in un’ottica di benessere reale, non siamo più considerati un “caso clinico”».
di Paola Trombetta e Francesca Morelli