L’icona è l’arte nata alle origini del Cristianesimo per esprimere i misteri di questa religione. Raffigura immagini sacre, soprattutto Cristo, la Vergine e i Santi. Pur provenendo da diversi Paesi, oggi martoriati dalla guerra, come Ucraina, Russia, Terra Santa, Siria, l’icona rappresenta una “finestra sul Mistero”, ma è anche un “simbolo dell’umano” che accomuna differenti popoli in un linguaggio iconografico universale, e testimonia un passato di fratellanza che orienta verso un futuro di speranza e di pace, che tutti auspichiamo in occasione di questo Natale.
Ne abbiamo parlato con Giovanna Parravicini, 69 anni, laureata in Lettere Moderne, studiosa di arte sacra e storia della Chiesa russa, direttore del Centro culturale “Biblioteca dello spirito” di Mosca, ricercatrice della Fondazione “Russia Cristiana”, che già abbiamo avuto modo di intervistare su donnainsalute all’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina (https://www.donnainsalute.it/2022/04/ucraina-una-pasqua-di-sofferenza-il-punto-di-vista-della-studiosa-parravicini/). Vive da più di 30 anni a Mosca, ma è di passaggio in Italia per la presentazione della mostra “Icone per la pace”, allestita di recente a Seregno, sua città natale, dall’Associazione Umana Avventura in collaborazione con la Scuola Iconografica di Seriate, le cui immagini sono raccolte in un libro, (editrice La Casa di Matriona) della Fondazione “Russia Cristiana”.
“Icone per la pace”: cosa rappresentano oggi queste immagini sacre per le popolazioni, come i russi e gli ucraini, coinvolti in un conflitto tra due culture che hanno simili origini religiose?
«Queste immagini continuano ad avere un importante significato per queste popolazioni. Le icone fanno parte del patrimonio sacro più caro ai popoli slavi, e certamente sono milioni le persone che a tutt’oggi le pregano. Auguriamoci che il messaggio portato da queste immagini sacre contribuisca a far maturare la pace in questo lungo e doloroso conflitto».
Lo sguardo della “Madre di Dio della tenerezza”, un’icona bizantina che proviene da Kiev, sembra voler raffigurare l’itinerario che Gesù affronterà nella sua vita, una sorta di presagio dei tempi attuali, ma al tempo stesso potrebbe diventare anche un’esortazione alla pace?
«Il messaggio di questa icona in particolare, attraverso il gesto di tenerezza che le dà il nome, è quello di comunicare la passione e morte che attendono Cristo nel suo cammino di vita: si spiega così lo sguardo doloroso della Madre, in risposta al gesto affettuoso del Bambino. Negli occhi di Maria c’è come il presagio di tutti i dolori che attendono l’umanità, e anche del male, a causa del quale suo Figlio dovrà salire in croce. In qualche modo, in questi occhi rivivono tutte le vittime innocenti delle guerre, ma anche coloro che si sono offerti in sacrificio per la salvezza del mondo, i santi e i martiri. Proprio in questo senso, mi sembra, questa icona è un contributo alla pace, invita a guardare tutto e tutti con lo sguardo d’amore che assicura la vittoria finale».
Le icone testimoniano una speranza di fratellanza e potrebbero rappresentare davvero un invito per un futuro di pace?
«Le icone ci testimoniano un’epoca in cui la Chiesa era unita, pur nella ricchezza e pluriformità delle culture e tradizioni dei vari popoli. Noi parliamo di Oriente e Occidente, ma in realtà ci sono moltissimi “Orienti” e “Occidenti”: pensiamo alla differenza tra la nostra cultura e quella tedesca, anglosassone, ispanica, oppure alle differenze tra il mondo bizantino e quello slavo, armeno, siriaco, ecc. Differenze che si uniscono a una sorprendente unità nel messaggio consegnato al mondo contemporaneo. Questo modello di unità nella molteplicità potrebbe essere un prezioso contributo anche per la situazione conflittuale di oggi».
I colori utilizzati, dal rosso sangue al blu e all’oro, hanno un preciso significato simbolico?
«Nell’icona ogni minimo aspetto ha una valenza simbolica, dalla conformazione della tavola, all’uso di terre e pigmenti cristallini e così via. Anche i colori hanno una vasta e profonda simbologia: ad esempio, l’oro è sempre segno della divinità. La loro simbologia può anche mutare secondo il contesto. Così, il rosso è il segno del sangue, e quindi della passione di Cristo, ma anche dell’energia e del fuoco, e della regalità (la porpora imperiale). Il blu è generalmente collegato al cielo, e può rimandare alla dimensione terrena come pure alla Provvidenza che è presente nel mondo come energia che muove il creato. È un linguaggio affascinante e molto profondo, che sottende una grande dignità umana e intensità spirituale».
Potresti commentare la recente esortazione di Papa Francesco ai cristiani di essere “profeti di pace” e la considerazione sulle icone come “profezia dell’umano”?
«L’icona è l’arte liturgica nata alle origini del cristianesimo per esprimere attraverso linee e colori il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione. Se “Cristo è la nostra pace” e si è fatto uomo, possiamo dire che l’icona è una “profezia dell’umano”, perché raffigura attraverso i volti di Cristo, della Vergine e dei santi, la persona umana così com’era stata pensata in origine da Dio, quando la creò a sua “immagine e somiglianza”.
La presenza di icone nelle Chiese di Russia, Ucraina, Terra Santa e Siria, Paesi che soffrono di sanguinose guerre, potrebbe davvero essere un modo per riscoprire la fede che accomuna questi popoli e diventare un motivo di riflessione sul tema della fraternità, auspicabile soprattutto per questo imminente Natale.
«La mostra recentemente proposta a Seregno dal centro culturale “Umana Avventura” va esattamente in questa direzione: le immagini e i testi proposti in questa occasione (di cui si può prendere visione nel catalogo, edizioni “La Casa di Matriona”) sono finalizzati a proporre una meditazione sui temi della pace e della fratellanza, che oggi ci appaiono irraggiungibili, a fronte dei conflitti che divampano in tutto il mondo, ma di cui il Natale è già un segno certo e visibile».
di Paola Trombetta