Passate le feste “gabbato” anche il sonno. Proprio così: dopo gli eccessi di dolci, calorie e stravizi, di ritmi sonno-veglia saltati, a danno di un giusto numero di ore di buon riposo, sono da mettere in conto possibili problemi di insonnia. L’intero sistema va resettato sulla regolarità. «L’assunzione di cibo abbondante e l’uso di alcolici, come accade nel periodo delle feste, inibiscono il naturale abbassamento di cortisolo, essenziale per un buon sonno. Così come il consumo di sostanze stimolanti, caffè, tè e altre che hanno un effetto sul sistema nervoso centrale, tra cui la teobromina, la teofillina, la guaranina, la sinefrina contenuta nell’arancio amaro, “eccitano” la veglia – spiega il Professor Piero Barbanti, docente di Neurologia presso l’Università IRCCS San Raffaele di Roma – e ci si trova a dover fronteggiare disturbi del sonno e problemi di insonnia». Quest’ultima colpisce in modo episodico il 20% degli italiani nel corso della vita e il 6-7% in forma cronica, caratterizzata da una cattiva qualità del sonno notturno per almeno tre volte a settimana. L’insonnia rappresenta, oggi, uno dei principali ostacoli a una vita sana e produttiva.
«I disturbi del sonno e l’insonnia non sono necessariamente sinonimi. I primi – precisa Barbanti – comprendono, ad esempio, le parasonnie che a loro volta includono il sonniloquio (parlare nel corso del sonno), il sonnambulismo o il disturbo comportamentale del sonno REM durante il quale la persona vive il proprio sogno come se fosse il protagonista, muovendo energicamente tutto il proprio corpo. Mentre l’insonne dorme poco e male, svegliandosi con la sensazione di non aver riposato, indipendentemente dalle ore dormite». La causa principale dell’insonnia è l’iperveglia: in questo caso si parla di insonnia psicofisiologica, a fronte di forme di insonnia dovute a malattie psichiatriche, come ansia e depressione, a elevati livelli di stress, ad apnee notturne. Ciò a dire che dormire bene non è solo sinonimo di riposo, ma soprattutto di salute. «Il sonno poco ristoratore causa nell’immediato disturbi di concentrazione, attenzione e memoria, ma può nel lungo termine favorire l’invecchiamento cerebrale. Il mancato sonno – prosegue l’esperto – può indurre lo sviluppo anche di problematiche emozionali-affettive, quali ansia, depressione, l’assunzione di sostanze psicostimolanti (alcool, caffè o droghe) o lo sviluppo di malattie internistiche. Dormire male è inoltre un fattore di rischio per l’obesità: è stato calcolato che a una notte insonne segue l’assunzione il giorno successivo di 300-400 chilo calorie in più rispetto all’abituale, ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari».
Sul cattivo sonno possono impattare anche contesti ambientali, ad esempio l’inquinamento luminoso e acustico outdoor, particolarmente diffusi nelle grandi città. «Studi dimostrano che un’esposizione continua al rumore ambientale può mantenere il corpo in uno stato di allerta, ostacolando un sonno ristoratore – sottolinea Barbanti. Nel corso del riposo notturno il cervello si libera di scorie tossiche, processo che può essere ostacolato dalla scarsa quantità del sonno, aumentando il rischio di patologie neurodegenerative come la demenza. È stato anche dimostrato che l’inquinamento acustico è un fattore di rischio per ictus e infarti del miocardio, a causa del mancato raggiungimento di una condizione di riposo assoluto, che porta la persona a restare inconsapevolmente e perennemente in uno stato di aumentata veglia». Anche l’inquinamento luminoso gioca un ruolo importante, legato ad esempio all’uso delle tecnologie che emettono luce blu: basti pensare che uno smartphone ha una potenza luminosa di oltre 70 volte superiore a quello di una notte di luna piena, o alla eccessiva illuminazione dell’ambiente. La raccomandazione è di usare la luce nei momenti in cui serve e prediligere una riduzione delle stimolazioni luminose quando si avvicina la sera e luci calde (sotto i 3.000 kelvin), ad esempio quella dell’abat-jour. Ancora, la temperatura della stanza da letto può conciliare il sonno: questa deve essere pari o inferiore ai 20 gradi per non ostacolare il fisiologico raffreddamento notturno di corpo e cervello. Anche l’attività fisica ha i suoi tempi: migliora il sonno se la pratica su base regolare viene svolta nella prima parte della giornata, mentre dopo le ore 17 sollecita il cervello e il corpo a rimanere svegli.
Sebbene tutti siamo potenzialmente a rischio di soffrire di disturbi del sonno e insonnia, i giovani sono le principali vittime del “social jet lag”, cioè la distanza esistente tra il momento in cui fisiologicamente il corpo chiede di dormire e quello in cui ci si obbliga ad andare a letto, a causa di esigenze ambientali o pressioni sociali. Indagini epidemiologiche rivelano che una considerevole parte degli italiani adulti in età lavorativa dorme meno più di 7 ore e che i ragazzi, durante il periodo scolastico, raramente dormono 8 ore a fronte di una necessità fisiologica per l’età di 9 -10 ore a notte. Ciò a causa di diversi fattori. «Il primo – illustra Barbanti – riguarda gli orari scolastici poco consoni ai ritmi fisiologici; la giornata scolastica inizia troppo presto e dura troppo, anche a causa di una inspiegabile settimana corta che concentra la frequentazione scolastica in 5 giorni anziché 6. Il secondo è rappresentato dal fatto che il ragazzo utilizza la sera e la notte per supplire all’assenza di socialità vera, con mezzi di comunicazione digitale. Il terzo attiene alla ridotta attitudine dei genitori a suggerire un’idonea igiene del sonno, controllando che i figli vadano a letto in orario accettabile e senza dispositivi elettronici. Andando a dormire tardi, questa generazione dorme poco e male, si sveglia all’ultimo momento e di conseguenza, nella stragrande maggioranza dei casi, non consuma una colazione adeguata e questo rappresenta un doppio problema: i giovani vanno a scuola/università non avendo riposato ed essendosi nutriti poco o male». Aumenta così l’irritabilità e diminuiscono concentrazione, attenzione, in buona sostanza la resa scolastica.
Un aiuto contro l’insonnia può essere offerto da prodotti di automedicazione. «Può essere utile, al rilascio delle tensioni, l’utilizzo dei precursori della serotonina, come il triptofano, o di alcuni ioni, come il magnesio, che riducono l’ipereccitabilità neuromuscolare, o anche sostanze di derivazione vegetale come valeriana e passiflora. La melatonina – conclude il professore – può favorire l’addormentamento e aiutare anche a resettare il ritmo del sonno nel cosiddetto “disturbo da ritardato ciclo sonno-veglia”, anticipando la necessità di riposare. Si tratta di sostanze che non danno rischio di dipendenza, ma vige comunque la regola di utilizzarle fino a quando il soggetto non si sia abituato in maniera stabile un accettabile ritmo del sonno».
di Francesca Morelli