Eleonora Giorgi: conoscendo il suo male, ha lottato fino alla fine

“Per mia madre non c’era speranza di guarire, ma il desiderio di aiutare gli altri, mettendo in piazza il suo dolore, senza guadagnarci alcunché. Lo ha fatto perché dal primo giorno in clinica, ci siamo trovati davanti un bambino di sei anni. È stato molto toccante, ci siamo chiesti se avesse lo stesso male suo. Ciò che so è che da quel momento ha deciso di vivere ogni giorno col sorriso e ha riempito la vita di chi le è stato accanto con gioia. A me e Paolo hanno spesso detto di essere forti, ma noi siamo solo stati trascinati dalla sua voglia e determinazione di mantenere l’impegno fino alla fine. Vedendovi qui capisco che lei ce l’ha fatta e questo segno lo ha lasciato”. Sono le toccanti parole del figlio Andrea Rizzoli, al funerale della madre Eleonora Giorgi, la celebre attrice mancata all’età di 71 anni, dopo più di un anno dalla diagnosi di tumore al pancreas, avvenuta nell’ottobre del 2023. Coraggiosa e determinata, consapevole della gravità del suo male, ha lottato fino all’ultimo, considerando ogni giorno in più tanto prezioso, per godere la compagnia degli adorati figli Andrea e Paolo, e del nipotino, che le sono stati accanto fino agli ultimi istanti della sua vita. E ha sempre cercato pubblicamente di incoraggiare quanti si trovano nella sua stessa condizione. Una diagnosi infausta, quella del tumore al pancreas, che è uno dei più aggressivi, con una percentuale di sopravvivenza del 20% a cinque anni, che aveva colpito due anni fa anche Gianluca Vialli. Secondo gli ultimi dati pubblicati nel registro “I numeri del cancro in Italia 2024”, questo tumore interessa ogni anno circa 13.600 persone, con un aumento di incidenza e mortalità che non accenna a diminuire.

Con l’aiuto del professor Massimo Falconi, Direttore Chirurgia del Pancreas e dei Trapianti, Pancreas Translational & Clinical Research Center, Università Vita e Salute, Ospedale San Raffaele IRCCS di Milano, abbiamo approfondito l’argomento.

Eleonora Giorgi è morta per un tumore al pancreas: quanti tipi si possono classificare?
«Premetto che non ho informazioni dirette sul tipo di tumore, ma il decorso clinico di Eleonora Giorgi e quanto riportato dai giornali, fa pensare a un adenocarcinoma duttale, la forma più nota ed aggressiva di malattia. L’elenco dei tumori al pancreas è lungo, ma le forme più frequenti sono l’adenocarcinoma duttale, che ha un aspetto solido, le neoplasie cistiche, il cui contenuto è liquido e generalmente sono meno aggressive, e i tumori neuroendocrini che nascono dalle isole di Langherans che sono i meno frequenti e anch’essi meno aggressivi».

Quali potrebbero essere i principali fattori di rischio per la comparsa di questi tumori? A quale età possono comparire?
«Se parliamo dell’adenocarcinoma duttale, l’età di maggiore insorgenza è tra i 60 e 70 anni. I fattori di rischio sono quelli comuni ad altre malattie neoplastiche quali fumo, abuso di alcol, e obesità, anche se non bisogna dimenticare l’età: col progredire dell’età, aumenta il rischio di ammalarsi. In un 10% dei casi, la predisposizione può essere legata a fattori geneticamente ereditati dai genitori quali mutazioni germinali lungo la linea dei geni BRCA, comuni al rischio di neoplasia della mammella e dell’ovaio».

Esistono sintomi specifici per il tumore al pancreas e se sì, quali?
«I sintomi sono, purtroppo, aspecifici, tranne l’insorgenza di ittero (colore giallo della cute e delle sclere). Il più frequente è il dolore in genere “alla bocca dello stomaco” che tende ad irradiarsi al dorso, stanchezza, inappetenza, perdita di peso non voluta. Da considerare l’insorgenza di diabete o un peggioramento del suo controllo, se preesistente, in assenza di fattori di rischio noti».

C’è una differenza di genere in questi tumori: compaiono più di frequente negli uomini o nelle donne?
«Oggi i dati epidemiologici ci dicono che l’incidenza di malattia è simile tra uomini e donne, dal momento che le abitudini voluttuarie sbagliate, soprattutto il fumo, sono diventate anche appannaggio delle donne».

Qual è la sopravvivenza media di una persona con questi tumori?
«Non è corretto parlare di sopravvivenza in modo generico perché gli scenari di malattia e la risposta alle terapie possono essere molto diversi. Se parliamo dell’adenocarcinoma, l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da questa malattia, considerata nel suo insieme, è del 13% a 5 anni ed è migliorata negli ultimi 5 anni, anche se non quanto tutti noi vorremmo».

Quali protocolli di cura (chirurgia, chemioterapia, farmaci biologici) vengono oggi utilizzati?
«Le opzioni terapeutiche che generalmente si adottano per contrastare la malattia sono, a seconda degli scenari clinici, la chemioterapia, in primis, la chirurgia quando possibile e la radioterapia, spesso combinata alla chemio. Queste opzioni terapeutiche sono combinate tra loro rendendo fondamentale il ricorso a quello che oggi viene definito un approccio multidisciplinare».

Quali e dove sono in Italia i centri specializzati nella cura di questi tumori (Pancreas Unit)?
«Non esiste ancora un elenco ufficiale di centri che vengano riconosciuti, come per la mammella, come Pancreas Unit, anche se moltissimo si sta facendo in questi anni per definirli, grazie al lavoro e alla spinta da parte delle Associazioni dei Pazienti e dell’Associazione per lo Studio del Pancreas (AISP). La regione Lombardia è stata antesignana in questo senso, identificando 14 ospedali che possono trattare chirurgicamente le neoplasie che colpiscono il pancreas, i suoi organi o visceri adiacenti. Anche in sede ministeriale è stato istituito un tavolo di lavoro che ne ha definito le caratteristiche, oggi tuttavia limitate agli esiti chirurgici. Esiste un’agenzia ministeriale (AGENAS) che ha monitorato attentamente i risultati della chirurgia di tutti gli ospedali Italiani negli ultimi anni, sia in termine di volumi, mortalità dopo intervento (a 30 e 90 giorni) e sopravvivenza dallo stesso a 1, 2 e 3 anni. I dati sono pubblici e reperibili su internet. In generale, tuttavia, un paziente dovrebbe rivolgersi a un centro che garantisca un percorso di cura con un approccio multidisciplinare in cui tutti gli specialisti disegnano il migliore piano di cura».

di Paola Trombetta

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