Tumore al seno con metastasi: oggi c’è una cura innovativa

«Mi hanno diagnosticato un tumore al seno all’età di 45 anni. Avevo già due figlie e le avevo allattate per lungo tempo: due elementi che avrebbero dovuto “proteggermi”. Il mio tumore era ormono-dipendente e per fortuna all’epoca esistevano già le cure per poterlo curare e guarire. Di fatto sono ormai passati 30 anni e non ho più avuto problemi. Ci sono invece tumori che causano metastasi e sono molto difficili da curare con la chemioterapia tradizionale, come quello HR+/HER2- e i tripli negativi per i quali non esistono terapie mirate e devono essere trattati con la chemioterapia tradizionale, alla quale non sempre rispondono. Di recente è stato approvato un farmaco anticorpo-coniugato, che sembra dare promettenti risultati. Come associazione Europa Donna abbiamo caldeggiato dapprima per l’estensione dell’uso di questa nuova terapia nelle donne con tumore triplo negativo metastatico (mTNBC), e ora anche per quello HR+/HER2-, che fino a prima avevano poche chance di cura. E ci stiamo impegnando per far conoscere queste opportunità e infondere fiducia alle donne che, già alla diagnosi di un tumore con metastasi, si fanno prendere dall’angoscia più profonda. Oggi anche per loro c’è una speranza di cura».

Le parole di Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia, rappresentano un incoraggiamento per tutte le donne, circa 37 mila in Italia, che convivono con una diagnosi di tumore al seno metastatico e lottano ogni giorno per combatterlo con le opzioni terapeutiche che la ricerca oncologica sta via via sperimentando, come questo nuovo anticorpo-coniugato (sacituzumab govitecan-SG).

Per saperne di più, abbiamo intervistato Lucia Del Mastro, direttore della Clinica di Oncologia medica dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, professore ordinario di Oncologia Università di Genova.

Innanzitutto cosa s’intende per tumore triplo negativo e HR+/HER2-?
«Il primo è un tumore che non ha quei bersagli terapeutici presenti in altri, come i recettori per l’estrogeno e il progesterone dei tumori ormono-dipendenti, e i recettori per la proteina HER 2. Mentre nel passato questi tumori triplo negativi, particolarmente aggressivi, avevano una ridotta possibilità di poter essere curati, oggi abbiamo a disposizione nuove opzioni terapeutiche, oltre alla chemioterapia, come l’immunoterapia e un nuovo farmaco (sacituzumab govitecan- SG) che sembra dare promettenti risultati in questa tipologia di tumori e da poco anche per un altro tumore, refrattario alle chemioterapie, HR+/HER2-, positivo ai recettori ormonali, ma negativo al recettore della proteina HER 2».

Qual è il meccanismo d’azione di questo nuovo farmaco e come si differenzia da altri anticorpi-coniugati?
«Sacituzumab govitecan è un anticorpo-coniugato (ADC) di nuova generazione, che riconosce in modo specifico una proteina chiamata TROP-2, presente sulla superficie delle cellule del tumore mammario. Attraverso il riconoscimento di questa proteina, il farmaco rilascia un potente agente chemioterapico (SN-38) direttamente all’interno delle cellule tumorali. Questo meccanismo permette di ottenere un potente effetto antitumorale riducendo la tossicità sui tessuti sani che non esprimono la proteina TROP-2, con minori effetti collaterali rispetto alla chemioterapia standard».

Con l’impiego di sacituzumab govitecan nelle donne con tumore al seno metastatico triplo negativo: quali evidenze si registrano nella pratica clinica?
«Il tumore al seno triplo negativo metastatico, che rappresenta il 15% di tutti i tumori al seno, è la forma biologicamente più aggressiva di carcinoma mammario, per il quale fino a tempi recenti avevamo poche opzioni terapeutiche efficaci. Sacituzumab govitecan è oggi uno standard di cura, riconosciuto sia dalle linee guida nazionali che internazionali, grazie a solide evidenze cliniche. Lo studio ASCENT, che ha portato all’approvazione iniziale della terapia, ha dimostrato un chiaro vantaggio sia in termini di controllo della malattia che di sopravvivenza rispetto alla chemioterapia tradizionale: il rischio di una progressione di malattia e di morte si sono dimezzati rispetto alla chemioterapia standard. Grazie ai risultati di questo studio, sacituzumab govitecan è diventato un trattamento standard, colmando un enorme bisogno terapeutico precedentemente insoddisfatto, considerata la scarsa efficacia della chemioterapia standard. Questo studio ha incluso soprattutto pazienti molto pretrattate (in terza linea o successive), ma una parte delle partecipanti aveva ricevuto la terapia già in seconda linea. I dati mostrano che il beneficio del farmaco in questa popolazione era simile, se non addirittura migliore; sulla base di tali dati sacituzumab govitecan era già considerato dalle linee guida internazionali come lo standard di trattamento in II linea, sebbene l’approvazione iniziale in Italia fosse più limitata».

Cosa significa garantire l’accesso a sacituzumab govitecan alle pazienti in seconda linea?
«I dati che abbiamo a disposizione dimostrano che è efficace anche in II linea, vale a dire più precocemente in pazienti che hanno ricevuto solo una chemioterapia. Garantire l’accesso a sacituzumab govitecan in seconda linea significa offrire alle pazienti con tumore triplo negativo metastatico una terapia più efficace, in una fase più precoce della malattia, quando le possibilità di risposta sono maggiori. Considerando l’aggressività biologica di questo tumore, si registra una quota di pazienti che dopo una I o II linea di trattamento possono avere un peggioramento clinico che non consente di effettuare un’ulteriore terapia. Fino a poco tempo fa, il farmaco era disponibile solo in terza linea, salvo eccezioni per le pazienti con recidiva precoce (entro 12 mesi dalla fine della chemioterapia neoadiuvante o adiuvante). Questo significava che molte donne dovevano ricevere un’ulteriore chemioterapia prima di poter accedere a un trattamento più innovativo. Con l’ampliamento dell’accesso, tutte le pazienti possono ricevere sacituzumab govitecan dopo la prima linea, senza doversi sottoporre a un’ulteriore chemioterapia tradizionale. Ciò si traduce in un trattamento mirato, somministrato in una fase di malattia più precoce; efficacia superiore rispetto alla chemioterapia convenzionale; un impatto positivo sulla qualità di vita, riducendo la tossicità cumulativa delle terapie tradizionali. Significa che più pazienti possono accedere a una terapia più efficace, con benefici sia in termini di sopravvivenza che di migliore qualità di vita».

Oltre al tumore triplo negativo, questo nuovo farmaco ha ricevuto l’approvazione anche nel trattamento del tumore HR+/HER2-?
«La nuova indicazione di sacituzumab govitecan riguarda anche il tumore al seno metastatico, con recettori ormonali positivi (HR+) e senza i recettori della proteina HER2 (HER2-) che rappresentano complessivamente il 70% di tutti i tumori. In Italia si contano ogni anno circa 6/8000 nuovi casi di tumore metastatico HR+/HER2-, che riguardano generalmente pazienti in buone condizioni cliniche, che utilizzano la chemioterapia in prima linea di trattamento. Se non sono più responsive alla chemioterapia e hanno già fatto due linee di trattamento, è possibile oggi utilizzare questo nuovo farmaco, che prolunga la vita anche di queste pazienti. I vantaggi sono documentati dallo studio TROPiCS-02: sacituzumab govitecan ha migliorato la sopravvivenza, senza progressione di malattia, del 34% e ridotto la mortalità del 21%».

Come sono cambiate l’aspettativa e la qualità di vita delle pazienti trattate con sacituzumab govitecan?
«Il farmaco ha dimostrato di prolungare la vita delle pazienti con questo tipo di tumori metastatici, preservandone la qualità. Oltre ai benefici sulla sopravvivenza globale e sulla progressione della malattia, i dati raccolti nello studio ASCENT mostrano che il trattamento con sacituzumab govitecan ha anche ritardato il deterioramento della qualità di vita, rispetto alla chemioterapia standard. Ciò significa che le pazienti trattate con SG hanno mantenuto più a lungo una migliore qualità della vita rispetto a quelle trattate con chemio convenzionale; hanno riscontrato un migliore controllo della malattia, con meno sintomi debilitanti. L’innovazione di sacituzumab govitecan sta quindi non solo nel prolungare la sopravvivenza, ma nel farlo con un’attenzione importante anche alla qualità di vita, un aspetto fondamentale nella gestione del tumore metastatico. In conclusione, siamo in presenza di un cambio di paradigma nella terapia del tumore al seno triplo negativo metastatico e HR+/HER2-».

Questi tumori colpiscono anche le donne giovani? In questi casi è possibile conservare la fertilità?
«La maggiore incidenza del tumore alla mammella è intorno ai 50/60 anni, anche se stiamo effettivamente registrando un incremento nelle donne più giovani. In questi casi è opportuno mettere in atto dei programmi specifici per conservare la fertilità. A Genova abbiamo coordinato il primo studio al mondo per preservare la funzionalità ovarica nelle giovani donne operate di tumore al seno e candidate a ricevere la chemioterapia che può provocare menopausa precoce e perdita della fertilità. Abbiamo messo a punto questa strategia di somministrare, prima della chemioterapia, un farmaco che mette a riposo le ovaie e le preserva dalla tossicità. Questo studio ha dimostrato che, così facendo, si riduce almeno del 10% la percentuale di donne che va incontro a menopausa precoce, aumentando il numero di quelle che possono portare avanti una gravidanza, una volta terminati i trattamenti anti-tumorali. Oltre a questa strategia, è possibile anche effettuare la conservazione degli ovociti o del tessuto ovarico, entrambe per preservare la fertilità. Solitamente la gravidanza si programma dopo almeno un anno dal termine della chemioterapia e due anni dopo il trattamento anti-ormonale. Nel passato la percentuale di donne che affrontava una gravidanza, dopo un tumore al seno con trattamento chemioterapico, era molto bassa e  non superava il 5%. Oggi, grazie alle strategie per conservare la fertilità, la percentuale è più che triplicata».

di Paola Trombetta

Articoli correlati