“Il Bottone che ti lega alla vita”, per rispettare il percorso di cura

«Per me aderenza alla terapia vuol dire consapevolezza, da parte della paziente, che il farmaco che sta assumendo, prescritto dall’oncologo, è un’ottima opportunità per ridurre il rischio di progressione di malattia e di recidiva, col supporto del paziente e del caregiver che devono mantenere un dialogo diretto e chiaro con l’oncologo» (Antonella Campana, Patient Advocate, Fondazione IncontraDonna).

«Per me aderenza alle cure significa essere consapevole del proprio percorso terapeutico. Solo se so cosa mi aspetta riesco a partecipare meglio al processo di cura con una maggiore fiducia e sicurezza» (Rossana D’Antona, presidente Europa Donna Italia).

«Pe me aderenza è essere protagoniste del percorso di cura, che va condiviso col proprio curante: non si fa nulla senza questo rapporto. Questo significa accettare quello che la terapia può offrirci e in alcuni casi si può arrivare anche alla guarigione» (Annamaria Mancuso, presidente Salute Donna).

Sono le testimonianze di tre donne, a loro volta pazienti, presidenti di tre associazioni che si occupano di tumori femminili: la loro vita è l’esempio concreto di come l’aderenza alle cure oncologiche sia fondamentale per combattere una malattia come il tumore, con il quale ormai sopravvivono da anni, tanto da poter essere dichiarate “guarite”.

In Italia, ogni anno circa 54 mila donne ricevono una diagnosi di tumore al seno, la neoplasia più frequente tra le donne. Eppure, grazie ai progressi dell’innovazione scientifica, questo tumore è una patologia sempre più curabile e, in molti casi, gestibile nel tempo, come fosse cronica. Grazie al progresso della scienza e dell’informazione, parlare di prevenzione è più che mai importante. Oltre alla diagnosi precoce (screening, controlli regolari, stili di vita sani, senza fumo e alcol), è essenziale continuare a insistere su un tema spesso trascurato: l’aderenza terapeutica, ovvero il rispetto del percorso di cura indicato dai medici. Eppure, secondo una recente indagine condotta da Adnkronos in collaborazione con EMG Different, solo la metà degli italiani sa che seguire con costanza la terapia prescritta può ridurre il rischio di recidive e mortalità. Nonostante questo, il 30-50% delle pazienti interrompe il trattamento ormonale prima del tempo, spesso a causa degli effetti collaterali o per mancanza di informazioni. Sempre dall’indagine emerge che solo il 23% si sente davvero informato sull’aderenza terapeutica e 9 italiani su 10 vorrebbero una comunicazione più ampia e inclusiva al riguardo.

Per accendere i riflettori su questo tema di cui si parla troppo poco Lilly, con il patrocinio di Europa Donna Italia, Fondazione IncontraDonna e Salute Donna ODV, lancia la campagna rivolta a pazienti e caregiver “The Life Button- il bottone che ti lega alla vita”. Simbolo della campagna è infatti un bottone rosa rotondo, che diventa un monito quotidiano, un piccolo oggetto che parla con delicatezza ma con forza: è vicino al corpo, silenzioso ma presente. Diventa il simbolo dell’aderenza terapeutica, un richiamo concreto al valore di restare legati al proprio percorso di cura, passo dopo passo. Perché curarsi non è mai una linea retta: è un viaggio, fatto di ostacoli, paure, conquiste. E quel bottone rosa ricorda alle pazienti che non sono sole: è un piccolo segno che parla di costanza, motivazione e coraggio. Ma soprattutto, racconta che l’aderenza non è un dovere individuale, bensì una responsabilità condivisa. Medici, caregiver, amici, familiari: tutti possono aiutare una donna a “non perdere il filo”, a non mollare, a credere nel valore del trattamento giorno dopo giorno. Sul retro del bottone, parole che accompagnano: “Un giorno dopo l’altro.”  “Ne vale la pena.” “Non perdere il filo delle cure.” “Io ci sono.” Frasi semplici, ma capaci di tenere stretto il legame con la propria salute e con chi cammina a fianco di chi attraversa un percorso di cure. Viene distribuito nei centri oncologici in tutta Italia che aderiranno all’iniziativa, e raccontato attraverso un video emozionale sul sito www.thelifebutton.it. La campagna “The Life Button” si propone di supportare le pazienti nel loro percorso dopo la diagnosi, incoraggiandole a instaurare un dialogo aperto con il proprio medico e a seguire correttamente il percorso di cura.

Con la consulenza delle professoresse Grazia Arpino, Professore Associato all’Università Federico II di Napoli e Alessandra Fabi, Direttore UOSD Medicina di Precisione in Senologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma cerchiamo di inquadrare meglio il problema e ribadire l’importanza dell’aderenza alle terapie oncologiche.

Quali tipi di tumori richiedono l’utilizzo di terapie adiuvanti?
«Quasi tutti i tipi di tumori, soprattutto mammari, richiedono l’utilizzo di queste terapie, che possono variare dalla chemioterapia, alla terapia biologica oppure a quella anti-ormonale e da ultimo all’immunoterapia», puntualizza Grazia Arpino, Professore Associato all’Università Federico II di Napoli. «Ci sono forme di tumore in situ, molto piccole e localizzate, che non richiedono terapie adiuvanti, ma sono un’esigua minoranza. Il tumore al seno è la neoplasia più frequente nelle donne con circa 54 mila nuove diagnosi ogni anno, di cui il 68-70 per cento di tipo HR+/HER2-. La sopravvivenza a 5 anni delle donne con tumore della mammella in Italia è pari all’88 per cento, ed è variabile a seconda del tipo di tumore e dello stadio della malattia alla diagnosi. Negli anni tanto è stato fatto per la prevenzione: oggi la maggior parte delle donne guarisce in modo definitivo. Adottare stili di vita sani aumenta la possibilità di vivere più a lungo e in salute, ma sicuramente l’aderenza terapeutica ha un ruolo fondamentale per prevenire e ridurre al minimo il rischio di recidive».

Quali effetti collaterali potrebbero verificarsi?
«Dipende dal trattamento. La chemioterapia e l’immunoterapia hanno effetti collaterali a cui siamo abituati, come la perdita di capelli, la nausea, il vomito», risponde Alessandra Fabi, Direttore UOSD Medicina di Precisione in Senologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma. «Le terapie domiciliari, ormonoterapia, e le terapie biologiche hanno un loro profilo di tossicità, generalmente meno acuto, ma devono essere accettate dalla paziente per evitare di sospenderle proprio a causa di questi effetti collaterali. E poi, soprattutto nelle giovani, l’improvviso stato menopausale che provoca vampate, insonnia, irritabilità, sudorazione, secchezza vaginale, e può portare anche alla riduzione della libido, sono responsabili della sospensione della terapia. Soprattutto le giovani mi chiedono se possono interrompere la terapia magari per 15 giorni o un mese. Ma questa sospensione rischia di compromettere il beneficio clinico della cura. E qui deve intervenire la motivazione da parte dei clinici che devono essere convincenti e usare a volte autorevolezza con le pazienti. Se non si riesce a sensibilizzare la donna all’utilizzo per almeno 5 anni della terapia anti-ormonale, la non adesione potrebbe diventare una conseguenza molto frequente».

Le nuove terapie, comunque, non provocano più gli effetti collaterali del passato…
«Oggi eventi come la nausea sono quasi completamente scomparsi, ridotti al 4%», conferma la professoressa Fabi. «Anche la perdita di capelli non è più frequente come prima. L’importante è che l’oncologo riesca a motivare la paziente e convincerla dell’importanza di assumere questi farmaci, per evitare il rischio di recidive, che sarebbero molto più dannose e rischiose per la vita, rispetto agli effetti collaterali provocati dalle terapie oncologiche stesse. Si potrebbero escogitare piccoli accorgimenti come associare l’assunzione della compressa a un evento piacevole: una camminata salutare oppure l’uscita quotidiana col proprio cane. Oppure alcuni escamotage per non dimenticare, come apposite App, o lo squillo del cellulare all’ora giusta. Così facendo si incentiva l’assunzione della compressa e si evita la dimenticanza».

Si parlava di età delle pazienti che sono meno “aderenti” alle terapie…
«In genere sono le donne giovani, nel pieno della loro attività lavorativa, ad avere una minore compliance nel tollerare gli effetti collaterali di queste terapie e una maggiore probabilità di sospenderla (30-50%). Ci sono però anche le pazienti molto anziane, a cui manca un caregiver che ricordi loro l’assunzione della compressa, di cui si dimenticano. In particolare e donne più avanti negli anni sono meno consapevoli delle giovani che queste terapie abbassano il rischio di recidive. Ci sono poi le donne in sovrappeso, ipertese, o con altre malattie croniche che, prendendo già altri farmaci, tendono a sospendere le terapie oncologiche».

Per incentivare l’aderenza alle terapie, è stata promossa la Campagna “The Life Button” – “Il Bottone che ti lega alla vita”, con uno slogan molto emblematico e motivante…
«È un’iniziativa significativa e importante per convincere i pazienti a non interrompere le terapie oncologiche», risponde la professoressa Arpino. «E per i medici spiegare come vengono somministrate le terapie, quali i possibili effetti collaterali e come possono essere gestiti. Il bottone, da attaccare a una giacca, oppure alla borsa, potrebbe diventare un monito a ricordare di assumere le terapie. Una modalità giovane, di impatto ed esempio anche per noi clinici».

In che modo lo specialista potrebbe convincere e rendere più consapevole la donna?
«Motivandola con estrema pazienza, ma anche con realismo e prospettando i rischi di possibili recidive che l’interruzione della terapia potrebbe comportare, di cui le pazienti, nella stragrande maggioranza dei casi, sono comunque bene informate», puntualizza la professoressa Fabi. «La stanchezza terapeutica può portare a ridurre l’attenzione al beneficio della cura. Pensiamo a 5 anni di terapie: all’inizio si può essere entusiaste e si procede fiduciose che la cura funzioni, nella speranza anche della guarigione. Addirittura ci sono casi in cui la paziente vorrebbe proseguire la terapia, oltre gli anni previsti, e considera i farmaci come una sorta di “coperta di Linus”, interrompendo i quali, possano comparire recidive. Direi che il 20% delle pazienti vorrebbe proseguire il trattamento, oltre i cinque anni previsti dai protocolli. Per questo è fondamentale saper comunicare subito sul tempo, la durata e il beneficio della cura. E questa campagna potrebbe rappresentare anche un valido aiuto per i clinici, oltre che per le pazienti. Qualche anno fa si insisteva sull’importanza di assumere farmaci come il tamoxifene. Oggi le terapie più utilizzate sono quelle anti-ormonali, associate a nuovi farmaci biologici, che comportano l’assunzione di diverse compresse: e qui subentrano i problemi legati all’aderenza. Più compresse si devono prendere, minore è l’aderenza terapeutica. E questo accade spesso in alcuni tipi di tumori, come gli HR+/HER2+, per i quali sono richieste combinazioni terapeutiche con più compresse, i farmaci anti-ormonali e i biologici mirati, tra cui l’innovativo abemaciclib. Questi tumori sono in aumento e rappresentano il 68-70% di quelli al seno».

di Paola Trombetta

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