Non tutti i tumori al seno sono uguali. Più del 90% possono essere determinati da un insieme di condizioni, quali una predisposizione personale allo sviluppo di malattia a cui si associano fattori esterni, come l’inquinamento, l’alimentazione, l’assetto ormonale. In meno del 10% dei casi, invece, il tumore al seno è correlato alla familiarità, dunque alla presenza della malattia tumorale tra i consanguinei di primo grado (mamma, papà, nonni, fratelli o sorelle) e in una percentuale ancora inferiore per ereditarietà. «Dal genitore – spiega la dottoressa Elena Repetti, medico genetista e Chief genetics di ImpactLab, un’azienda internazionale che offre servizi di diagnostica di alta specialità, con sede operativa presso la Fondazione Filarete dell’Università di Milano – non si eredita il tumore, ma si acquisisce la predisposizione genetica, aumentata rispetto alla popolazione generale, di andare incontro nell’arco della vita allo sviluppo di malattia». Nel caso del tumore del seno la predisposizione “ereditata” dipende dalla mutazione, cioè da un’alterazione rispetto alla norma, di due specifici geni: il BRCA1 e il BRCA2 i quali possono aumentare notevolmente il rischio (fino all’80%) di tumore del seno e all’incirca del 50% per il tumore all’ovaio, o di recidive per entrambe le patologie.
Conoscere la natura “mutata” di questi specifici geni consente dunque di stimare le probabilità di sviluppare un tumore al seno; informazione tanto più importante in caso di familiarità con la malattia. «È convinzione della donna – aggiunge la dottoressa – che la familiarità con il tumore al seno si associ soltanto alla malattia in consanguinei femminili, cioè nella mamma, nella nonna o in sorelle, senza considerare il ceppo maschile, il padre o i fratelli che abbiano avuto magari tumori alla mammella, alla prostata in età giovanile, e prima dei 50 anni, al pancreas, al colon, al retto e melanomi. Questo significa che le mutazioni BRCA 1 e BRCA 2 non fanno differenze di genere: sia che siano presenti nel maschio o nella femmina, trasmettono l’ereditarietà e dunque un rischio di malattia». È questa la ragione per cui le recenti linee guida internazionali, diffuse alla fine del 2016 dall’NCCN (National Comprehensive Cancer Network), ma non ancora recepite in Italia, raccomandano la precisa valutazione di specifici tumori (della mammella e dell’ovaio nella donna e della mammella, del pancreas e soprattutto della prostata con insorgenza giovanile nel maschio) in tutto l’albero genealogico, permettendo così una corretta e attenta stima del rischio oncologico all’interno della famiglia. «In caso di “positività” familiare con questi tumori – continua Repetti – è indicata una consulenza genetica oncologica che valuti l’esecuzione di un test genetico sul sangue. Si tratta di un esame poco invasivo per la persona, un semplice prelievo di sangue che non richiede alcuna preparazione né il digiuno mattutino, ma complessa nell’analisi. Dal campione di sangue, con raffinate e innovative tecnologie, si deve infatti estrarre il Dna che viene analizzato per esaminare sia la sequenza genetica dei geni BRCA1 e BRCA2 ma anche per ricercare eventuali anomalie presenti nella struttura nei geni BRCA1 e 2, rispetto ai parametri standard». Complessa è soprattutto l’interpretazione diagnostica del test, che deve essere fatta da personale esperto capace di leggere nelle informazioni raccolte dal sangue e dai geni mutati, un rischio basso di tumore del seno/ovaio e che richiederà solo un monitoraggio periodico, o un rischio “alto”. Ovvero con probabilità elevata di malattia per la mutazione dei geni BRCA 1 e 2: e questo consentirà di impostare un adeguato programma di prevenzione e terapeutico in caso di sviluppo di tumore. Oppure il test può dare anche un risultato incerto, in cui sono presenti varianti di cui non si conosce ancora il significato, se benigne o patogeniche. «In quest’ultimo caso – precisa l’esperta – si mantiene comunque un monitoraggio di sorveglianza molto stretto, soprattutto se la donna ha già avuto un tumore, senza procedere allo studio familiare. Dunque, data la complessità e la difficoltà di lettura, i test genetici non vanno considerati un esame di screening da proporre a tutti, ma soltanto a pazienti “selezionati”, a rischio per mutazione in BRCA1 e 2, consentendo così alla persona di conoscere qualcosa in più di se stesso e ai medici di attuare le scelte migliori di monitoraggio, prevenzione e terapia, ovvero senza eccedere con una chirurgia troppo aggressiva e demolitiva – quale la mastectomia profilattica o l’ovariectomia preventiva – laddove non necessarie e dal forte impatto fisico, psicologico, di identità di genere sulla donna e sulla vita di relazione e di coppia». Infatti, al momento, in caso di geni mutati non esiste una scelta terapeutica migliore di un’altra, ma esiste solo la scelta migliore per quella singola persona che potrebbe essere il monitoraggio stretto per l’una e la chirurgia per un’altra, in funzione delle caratteristiche della persona e delle malattia o dell’età della donna, specie se in cerca di maternità o ancora in età fertile. Dunque, per la consulenza genetica è fondamentale affidarsi a esperti genetisti che potranno consigliare, se necessario, anche l’esecuzione del test genetico, possibile sia a pagamento sia con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che lo rimborsa a soggetti che hanno avuto una valutazione genetica di alto rischio di tumore del seno. «Per i pazienti “mutati” – aggiunge Repetti – la Lombardia ha attivato un codice regionale di esenzione che consente di accedere gratuitamente ai sistemi di monitoraggio: per la donna una risonanza magnetica e una mammografia all’anno (a sei mesi di distanza l’una dall’altra), più a un’ecografia transvaginale (almeno ogni 6 mesi), e per il maschio anticipando l’inizio dei controlli di screening già previsti per la popolazione (sangue occulto nelle feci, PSA) ben prima dei 50 anni».
C’è anche un’altra importante novità diagnostico-terapeutica associata al test, che oggi è eseguibile non più solo sul sangue, ma anche sul tessuto tumorale ovarico prelevato dalla biopsia o più facilmente dall’intervento chirurgico. «In funzione dell’efficacia dimostrata da dati clinici, l’EMA (European Medicines Agency) ha approvato l’utilizzo di un farmaco (olaparib) in tumori all’ovaio metastatici in cui siano presenti mutazioni in BRCA1 e 2. Da cui l’importanza e la raccomandazione di eseguire il test in tutte le donne con tumore ovarico sieroso per delineare le migliori linee terapeutiche». I risultati del test genetico su BRCA1 e 2, presso ImpactLab, sono assicurati in 7 giorni lavorativi contro una media di almeno 3 mesi degli altri centri, a un costo di circa mille euro, laddove non rimborsato dal SSN.
di Francesca Morelli
(Redazionale ImpactLab)