È difficile portarli allo scoperto, perché i giovani di oggi, in età adolescenziale, spesso non riconoscono il loro problema di dipendenza. Da fumo, per lo più cannabis che ha ormai sostituito la vecchia sigaretta, fumata passandosela da un amico all’altro, o da alcol. Birra, fino a ubriacarsi, o chupito, anche noto come “shottino”: un bicchierino di superalcolico, per lo più di rum, bevuto tutto d’un fiato, anche di pessima qualità, perché i giovani scelgono la serata “giusta”, quella in cui queste bevande si possono avere per pochi soldi. Un solo euro: minima spesa, ma molto danno! Non subito percepibile, perché all’inizio è sballo, euforia: quello che i ragazzi cercano. Ma le conseguenze sulla salute si contano poi: 4 chupito, all’età di 14 anni, possono essere sufficienti per far saltare il fegato; a 17 anni, bevuti spesso e in abbondanza, danno problemi di concentrazione, memoria, apatia. Cambia radicalmente il mondo e quello che prima era importante non lo è più. Ma farsi, di qualunque cosa, è normale, almeno per essere e restare parte del gruppo: altrimenti sei fuori, dagli amici, dalle relazioni, dalle feste, dal giro. Ma c’è di più, perché la cannabis, dicono i ragazzi, serve per calmarsi: aiuta a vedere le cose e il mondo in modo più leggero. Le ragazze, invece, sembrano preferire la cocaina perché dopo non si mangia, si dimagrisce e si resta in forma: loro che a questa età – intorno ai 18 anni – sono così attente al corpo. E con quell’immagine perfetta si identificano. Né rifiutano l’alcool: quello disinibisce e ti fa essere come di norma non saresti.
Il problema però è che molti non sanno nemmeno di “che cosa si fanno” o come intercettano quelle sostanze – fumo, droghe mal tagliate, miscele di alcol – che arrivano quasi sempre per le vie dell’illegalità, aumentando il mondo e il traffico dello spaccio. Solo pochi si lasciano scoprire, o manifestano preoccupazione, spendendo una parola con i genitori: in alcuni si accende il sospetto che qualche cosa turba il proprio figlio; altri negano perché al proprio ragazzo entrare in un giro di droga non può ceto capitare. A tutti gli altri sì, ma al proprio figlio no!
Ancora meno si lasciano convincere a rivolgersi al SERT, il Servizio Tossicodipendenze: solo i più “audaci”, che sentono di non stare bene, arrivano a chiedere un aiuto esperto, per lo più accompagnati da un adulto, di rado da soli. Alcuni poi rimangono al SERT e mantengono un contatto con il centro. «Il primo colloquio – spiega la dottoressa Antonella Possi, psicologa e psicoterapeuta presso il dipartimento dipendenze della Ats di Milano – di norma avviene con il ragazzo, i genitori o chi ne fa le veci, un medico e uno psicologo, e insieme si cerca di capire di quale tipo di sostanze l’adolescente faccia uso, con quale frequenza, quando, dove, con chi e per quanto tempo la sta assumendo. Il colloquio può essere integrato anche da un questionario somministrato al ragazzo con domande specifiche che profilano lo stato emotivo, ovvero come si sente, come funziona, cosa prova. Ed eventualmente può essere completato anche con un esame del capello o delle urine che consentono di scoprire la o le sostanze di uso/abuso».
Non è però solo una questione di sballo o di sentirsi parte del gruppo, perché alla base del ricorso a sostanze può esistere un disagio emotivo: «Ci possono essere problemi con la famiglia – continua l’esperta – per storie di separazioni, relazioni conflittuali con i genitori, per famiglie allargate o ricostituite con due padri, due madri e più fratelli in cui l’integrazione e la condivisione diventa molto complicata e la relazione gestita solo per quanto conviene. Talvolta preferendo ad essa contatti virtuali, perché l’uso di sostanze può associarsi a un uso o a una dipendenza da Internet o da videogiochi». Eppure i segnali per capire o sospettare un uso di sostanze ci sono, soprattutto nel caso si tratti di droghe: basta saperli osservare, anche da parte del genitore. «Non devono passare inosservati – aggiunge la dottoressa – alcuni cambiamenti fisici, come occhi rossi o pupille dilatate, il maggiore appetito, i frequenti sbalzi di umore nell’arco della giornata o lo scambio del giorno per la notte. Più possibili nelle ragazze sono anche alcuni segnali comportamenti: una trasandatezza e sciatteria nel vestire o la minore cura del proprio corpo che nelle femmine adolescenti è invece un culto». Occorre però che il genitore, in caso di sospetto, assuma un atteggiamento corretto nell’approcciare o nel parlare al proprio figlio: «Per quanto difficile, è necessario apparire distaccati – raccomanda Possi – non giudicare e non farsi prendere dall’ansia, ma piuttosto sedersi a tavolino cercando di capire perché il ragazzo si è avvicinato all’uso di sostanze, sebbene sia noto che i giovani preferiscano parlare con estranei, piuttosto che con mamma e papà. Consigliare di fare test specifici non è mai l’approccio migliore, né questi test sono sempre attendibili poiché il ragazzo “sotto tiro”, eviterà di farsi trovare positivo».
Perché ci si fa? «Le motivazioni possono essere differenti: i maschi perché in età adolescenziale sono più fragili rispetto alle ragazze – conclude la psicologa – o per la ricerca di una chiara identità sessuale, ma per lo più per un condizionamento da parte del gruppo, essendo la cannabis o l’alcol lo “strumento” per identificarsi, per sentirsi qualcuno». È così, la cannabis o le droghe diventano la fonte di uno pseudo-rilassamento, che fa stare bene, fa dormire meglio e fa sentirsi più distesi. E l’alcol perché è lì, fruibile, a portata di mano, sembrando meno preoccupante della fumata di gruppo. Ma a questa età, tutto è lecito, tutto va bene ed è possibile, perché sperimentare sensazioni nuove oggi conta più dell’effetto che potrebbero provocare domani.
di Francesca Morelli