Sì a una maggior partecipazione delle donne ai trial clinici

I trial clinici a volte sono guardati con sospetto, associati all’idea che possano rappresentare un rischio o un esperimento sulla salute di chi vi partecipa. Ma una ricerca del Queen Mary dell’Università di Londra, pubblicata su International Journal of Obstetrics and Gynaecology, ne dimostrerebbe l’efficacia terapeutica, oltre ai benefici effettivi del farmaco in studio.

La ricerca, che ha preso in considerazioni 21 studi con più di 20 mila donne, non lascerebbe dubbi: partecipare a un trial clinico dà maggiori probabilità di migliorare le proprie condizioni di salute. Con esiti tanto più evidenti in caso di sperimentazioni di farmaci fuori commercio, e indipendenti dall’effettiva capacità curativa del prodotto stesso. Seppure la ricerca abbia riguardato terapie mirate alla gravidanza o alla riproduzione, è possibile ipotizzare che i benefici si possano estendere anche a trial clinici per qualunque patologia.

Come testimonia Ngawai Moss che ha partecipato al trial “Empire”, condotto dall’ateneo britannico con lo scopo di monitorare l’andamento dell’epilessia, in donne sofferenti, durante la gravidanza. La donna esprime parere positivo alla partecipazione a trial clinici: «Lo rifarei senza esitazione – ha dichiarato – e mi sento di sostenere l’importanza di aderire ai trial clinici perché l’investimento del tempo è minimo, nel mio caso si è limitato a visite mensili, alla compilazione di un questionario e a un esame del sangue, rispetto al risultato. Mi ha, inoltre, rassicurato il fatto di aver potuto incontrare i medici con regolarità, anche in funzione della mia gravidanza un po’ complicata, ricevendo consigli e supporto psicologico e una facilitazione all’accesso a controlli medici periodici».

«Il nostro studio – conclude Khalid Khan, il principale ricercatore –  non ha solo dimostrato che i trial clinici sono sicuri e si  associano al 25 per cento di possibilità di stare meglio, ma intende anche rivolgere un invito alle donne, sottorappresentate, ad aderirvi con fiducia e tranquillità».  E laddove esista un rischio, che può associarsi a una specifica ricerca, gli autori dello studio ribadiscono il dovere dei clinici di informare le pazienti sia riguardo le possibili problematiche sia riguardo gli eventuali i benefici, prima dell’accettazione al trial stesso.   F.M.

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