«Mi è stato diagnosticato un tumore al seno quando avevo 39 anni, una bimba di 2 mesi e una progettualità lavorativa al massimo. Ansia e sconforto sono state le mie prime reazioni. E la depressione è venuta di conseguenza. Chi ha un tumore, pensa di dover morire. E invece, grazie al percorso fatto con lo psiconcologo, ho capito che anche il tumore è una condizione che fa parte della vita e come tale deve essere affrontata! ». Così Simona Righetti ha raccontato la sua esperienza di malattia, elaborata grazie all’aiuto di uno psiconcologo, nell’ambito dell’International Forum on Cancer Patients Empowerment, il primo appuntamento su questo tema che si è da poco concluso all’Università degli Studi di Milano, con la collaborazione della Fondazione Umberto Veronesi.
Da un sondaggio internazionale sul tema, realizzato da SWG e presentato al Congresso, si evince che solo il 7% dei pazienti colpiti da un tumore viene accompagnato nel percorso di cura dallo psicologo, una presenza richiesta a gran voce dal 79% degli italiani, almeno nei momenti iniziali di malattia.
«Si tratta di malattie che nel 75% dei casi generano paura, nel 52% tristezza e in tre casi su 10 solitudine e rabbia», spiega Guja Tacchi, dell’Istituto di Ricerche SWG, commentando i risultati del sondaggio condotto su uomini e donne, over 45, residenti in Italia, UK, Spagna, Francia e Germania, che sono entrati in contatto con una patologia oncologica (personalmente o assistendo un familiare). «Alla comparsa dei sintomi, otto su 10 si rivolgono al medico, nel 60% la prima figura di riferimento è il curante, nel 47% dei casi l’oncologo è reputato il professionista più adatto a comunicare la diagnosi. La partecipazione attiva alle proprie cure viene percepita come molto importante da sette pazienti su 10. Tuttavia meno della metà (47%) degli intervistati dichiara di essere pienamente consapevole del proprio percorso terapeutico, mentre ben un quarto del campione ammette di essere poco o per nulla consapevole. A guidare il trend dell’empowerment sono UK (75%) e Germania (72%), rispetto alla media del 68%. All’ultimo posto la Spagna (con ben 10 punti sotto la media, 58%). Anche l’Italia si attesta sotto la media (penultimo posto della classifica, con il 66%), mentre la Francia si colloca a metà (67%)».
Ci troviamo di fronte a un panorama europeo in cui medici, pazienti e istituzioni sono fortemente consapevoli che la salute non possa prescindere da un paziente informato e consapevole. I malati sono chiamati a essere più coinvolti in ogni aspetto della loro salute. Questo modo di agire porta non solo vantaggi in termini di salute, ma anche di prevenzione, diagnosi precoce e migliore compliance. In una parola: risparmio economico. «Il termine “empowerment” è utilizzato anche in Italia e sta a indicare il coinvolgimento del paziente nelle scelte che riguardano la propria salute», chiarisce Gabriella Pravettoni, direttore della divisione di Psiconcologia all’Istituto Europeo di Oncologia e ordinario di Psicologia delle decisioni all’Università Statale di Milano. «Oggi, quando si intraprende un percorso di cura, occorre condividerlo con la persona che si ha di fronte: a prescindere dal sesso, dall’età e dalle sue conoscenze in ambito medico. Comunicare è fondamentale, anche perché sempre più spesso dal cancro si guarisce. L’essere ascoltati, seguiti e accuditi dai propri familiari favorisce l’auto-efficacia e riduce i livelli di ansia e preoccupazione collegati alla malattia». In occasione del forum è stato divulgato il “Patto per l’empowerment”, con la richiesta ufficiale alla comunità scientifica, medica, agli operatori sanitari, alle autorità politiche e regolatorie, alle associazioni e all’industria, di adoperarsi concretamente affinché la centralità della persona malata e della sua dignità sia alla base di ogni intervento di ricerca, formazione e cura dei pazienti con tumore.
di Paola Trombetta