Protagonista, il prossimo 25 novembre, in occasione della Giornata Nazionale, la malattia di Parkinson. Un’attenzione “meritata” in funzione dei numeri innanzitutto, oggi importanti con 300mila casi solo in Italia, destinati tuttavia a raddoppiare entro i prossimi 15 anni con una previsione stimata di 6mila nuove diagnosi l’anno, di cui la metà ancora in età lavorativa. E molte sono le donne. «La malattia di Parkinson – spiega il dottor Roberto Eleopra, direttore dell’Unità Operativa complessa di Neurologia I Parkinson e disordini del movimento della Fondazione Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano – è la malattia più frequente dopo l’Alzheimer, la cui incidenza varia dai 5 ai 35 per 100mila abitanti e una prevalenza di 250-300mila casi per 100mila abitanti. Più tipicamente maschile, il Parkinson “esordisce” nel maschio fra i 55-65 anni con un probabilità di una volta e mezzo superiore rispetto alle donne, sebbene questo “vantaggio” si azzeri dopo i 65 anni quando nella donna cala l’azione protettiva degli ormoni, raggiungendo un’ incidenza persino superiore nella popolazione femminile dopo i 70-80 anni, in funzione della vita media più lunga». L’età di insorgenza o l’incidenza non sono i soli fattori che differenziano la malattia nella donna, esistono anche caratterizzazioni “di genere”. «Gli uomini – precisa il neurologo – tendono ad avere sintomatologie motorie classiche, come il tremore e la rigidità, mentre le donne pur ammalandosi di meno nella fascia di esordio, hanno maggiori probabilità di sviluppare delle complicanze come le discinesie o i movimenti involontari».
Solo una parte dei casi di malattia di Parkinson, all’incirca il 15-20%, ha una base genetica associata cioè a mutazioni comuni nella stessa famiglia o a una predisposizione ad avere specifici deficit genetici che espongono a un rischio di malattia 3-5 volte superiore; nei restanti, un ruolo importante è svolto da agenti esterni o da stili di vita sedentari. «Esiste un sospetto, tuttavia non ancora dimostrato scientificamente, che alcuni fattori “ambientali”, come ad esempio gli anticrittogamici o altre sostanze utilizzate in agricoltura o specifici additivi, possano favorire lo sviluppo di malattia, mentre è accertato che la vita sedentaria è un fattore favorente l’insorgenza del Parkinson. «È stato dimostrato che una vita attiva e indipendente non solo rappresenta un fattore protettivo contro la malattia, ma salvaguarda anche da un’evoluzione più rapida e peggiorativa in soggetti già portatori di malattia», aggiunge il dottor Eleopra. Altri fattori di rischio, come quello cardiovascolare, o abitudini negative quali alcol e fumo, sembrerebbero invece non influenzare la malattia, anzi potrebbero perfino avere, come nel caso del caffè o del tabacco, effetti protettivi. Ciò non significa che sia lecito adottare abitudini poco sane o scorrette, ma soltanto che non rappresentano un fattore predisponente.
Proprio per scoprire i fattori protettivi e di rischio della malattia di Parkinson è al via il primo studio italiano multicentrico osservazionale. «È probabile – dichiara Alfredo Berardelli, presidente della Fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus e neurologo presso il dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell’Università Sapienza di Roma, Policlinico Umberto I – che fattori differenti lavorino insieme per creare i cambiamenti cerebrali responsabili della malattia. Ora vogliamo arrivare a individuare queste eventuali associazioni tra fattori di rischio (familiarità, età avanzata, sesso maschile e etnia caucasica, ma anche disturbi dell’umore, traumi cranici, esposizione a idrocarburi e alterazioni genetiche specifiche) e protettivi, tra cui vita attiva e lavorativa, capaci di influenzare la malattia, prevenirla o rallentarne la progressione». Così nei prossimi mesi i Centri dei Disordini del Movimento aderenti allo studio arruoleranno mille pazienti e mille controlli a cui sarà somministrato un questionario, elaborato attraverso una revisione sistematica della letteratura scientifica, e monitorandoli per un anno quando si potranno conoscere i risultati preliminari. Occorre però fare attenzione ad alcuni segnali premonitori che anche la donna deve saper riconoscere, in funzione della loro aspecificità. La malattia, infatti, può avere inizio con una classica lentezza nei movimenti e un rallentamento soprattutto fisico generalizzato e mentale, tremori a cui si associano sintomi meno caratterizzanti. Fra questi apatia, affaticamento mentale, comparsa di disturbi del sonno come incubi o agitazioni notturne, ma anche sogni con incubi, fino a variazioni di umore e stati depressivi. «Sono i cosiddetti “sintomi non motori” difficili da associare al Parkinson – dichiara il neurologo – perché spesso compaiono anche in altre patologie o in un momento coincidente con il pensionamento, a cui ad esempio si imputa un cambiamento umorale o una vita più sottotono. Tuttavia, se questi sintomi si associano anche alla tendenza a curvarsi in avanti o a rigidità muscolare, allora è opportuno sottoporsi a una visita neurologica per valutare una possibile forma esordiente di Parkinson. Si tratta di sintomi che in genere compaiono in maniera progressiva, ma in un tempo abbastanza rapido, soprattutto quelli relativi al quadro di rallentamento motorio, mentre alcune problematiche associate come la qualità del sonno, ad esempio, possono iniziare a manifestarsi anche 7-10 anni prima dell’insorgenza della malattia. Dunque, mettendo insieme il mix sintomatico di difficoltà del sonno con incubi, depressione, cambiamento del carattere, una certa rigidità e il rallentamento nei movimento, il sospetto di una malattia neurodegenerativa è più che lecito e meritevole di attenzione».
Oggi le opportunità di cura sono molteplici e possono cambiare la storia della malattia: si va dalla classica e tradizionale levodopa, fino a innovative terapie infusionali o di neurostimolazione cerebrale profonda, in caso di malattia avanzata o di Parkinson complicato. Un’opportunità terapeutica, quest’ultima, a cui le donne sembrano ricorrere di meno, non ancora chiaro se per un atteggiamento culturale che le porta ad approcciare più tardivamente una soluzione terapeutica aggressiva o per una migliore compensazione farmacologica. Ciò che sarebbe importante, invece, è l’istituzionalizzazione di trial clinici al femminile per valutare se la differente sintomatologia di genere corrisponda, come presumibile, anche a una diversa risposta alle terapie. Perché studi sull’argomento, al momento, non ce ne sono. «Si sta cercando di realizzare ricerche – fa sapere ancora Eleopra – per valutare se determinati tipi di antidepressivi o di altre terapie possano essere più efficaci in fase precoce nel sesso femminile, rispetto a quello maschile: sebbene la risposta ai sintomi motori non sia così diversa fra i due sessi, sembra che le donne siano più sensibili alla terapia dopaminergica già dopo 3-4 anni, mentre sono in corso di preparazione studi che possono valutare la sensibilità sui sintomi non motori».
Insomma anche per la malattia di Parkinson si va sempre più nella direzione della personalizzazione della cura. «Ogni paziente – conclude il neurologo – ha espressioni di malattia diverse e personali e il clinico deve essere così bravo da capire se si tratta di una forma di tipo tremore dominante, cinetica o con instabilità, personalizzando la terapia farmacologica in funzione del profilo clinico, ma anche del sesso». È questa la sfida “parkinsoniana” dei prossimi anni: arrivare a identificare farmaci migliori e più attivi, in una popolazione specifica “di genere”. Femminile o maschile che sia.
di Francesca Morelli
Le iniziative sul territorio in occasione della Giornata Nazionale
In circa 90 strutture, sull’intero territorio, medici specialisti saranno a disposizione dei pazienti e dei caregiver per informazioni sulla diagnosi e terapia e sarà possibile partecipare anche ad eventi (spettacoli teatrali, concerti, mostre, ecc.) ed incontri di informazione e sensibilizzazione. La Giornata Nazionale del Parkinson 2017 sarà anche l’occasione per raccogliere fondi che la Fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus destinerà a progetti di ricerca clinici e sperimentali sulla malattia di Parkinson e sui disordini correlati. Fondamentale è il ruolo svolto dalle Associazioni pazienti e dal volontariato. Ad essi è dedicato il primo concorso “Il tuo progetto per combattere il Parkinson”, realizzato grazie al contributo di Charming Italian Chef e della Federazione Italiana Cuochi, che invita a elaborare e presentare progetti finalizzati al miglioramento della qualità della vita delle persone con malattia di Parkinson. Il concorso potrà finanziare prestazioni di servizi sociali, sanitari, culturali, anche in collaborazione con strutture sportive, sanitarie, o finanziare l’acquisto di attrezzature a supporto della terapia (soprattutto fisioterapica) per pazienti con malattia di Parkinson. Testimonial di eccezione anche per questa edizione 2017 Jury Chechi.
Per ulteriori informazioni, per conoscere l’elenco delle strutture aderenti all’iniziativa o per i dettagli del concorso, consultare il sito: www.giornataparkinson.it
F. M.
Mogli e figlie sono le principali caregiver
Le attività di assistenza alle persone con malattia di Parkinson ricadono in netta prevalenza su caregiver donne: sono il 76,4% rispetto al 23,6% di uomini. L’età media del caregiver è di 59 anni. A occuparsi dei malati uomini sono soprattutto le mogli (nel 65,3% dei casi), mentre per le pazienti donne aumenta la quota dei caregiver uomini (42,4%), che sono comunque meno delle caregiver donne (57,6%), di solito le figlie. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis, con il contributo non condizionato di AbbVie, sul ruolo del caregiver nel Parkinson avanzato, che fa luce sugli oneri assistenziali di cui i familiari si fanno carico e sull’impatto che i compiti di cura hanno sulla loro condizione esistenziale.
Le importanti limitazioni dei pazienti affetti dalla malattia di Parkinson rendono infatti i compiti di assistenza dei caregiver molto onerosi. I pazienti devono prendere farmaci in media 6,3 volte al giorno e la gestione della terapia farmacologica rappresenta un problema rilevante, perché l’80,8% dei pazienti ha bisogno di aiuto per ricordarsi di prendere i farmaci negli orari giusti. Il 42,4% dei pazienti non è autosufficiente nel farsi la doccia o il bagno, il 36,5% a occuparsi dell’igiene personale, il 37,9% a vestirsi, il 35% ha problemi di incontinenza, il 29,1% ha difficoltà a muoversi, il 21,7% non riesce a mangiare da solo. Il 69,5% dei caregiver ha iniziato sin dal momento della diagnosi del malato di Parkinson a svolgere le funzioni di assistenza, il 16,2% è diventato caregiver entro 3 anni dalla diagnosi, il 14,3% dopo 4 anni o più. Quotidianamente il caregiver dedica al malato di Parkinson in media 8,8 ore della propria giornata per le mansioni di assistenza diretta e 10,2 ore in media per la sorveglianza (dati che crescono in relazione alla gravità della malattia).
E tutto questo ha un impatto rilevante sulla salute del caregiver, soprattutto donna, con conseguenze quali stanchezza fisica, perdita di peso, depressione. Dedicarsi ad assistere un malato di Parkinson comporta anche cambiamenti nella vita lavorativa per il 37% dei caregiver e sacrificare il proprio tempo libero (55% dei casi). P.T.