La grande rivoluzione nella cura dell’Epatite C

«Monica ha 35 anni e la figlia Ludovica 15. Da qualche mese sono entrambe in cura con un nuovo farmaco antivirale contro il virus dell’epatite C, con ottime speranze di guarigione. Monica si è accorta di avere l’epatite C in gravidanza (forse aveva contratto l’infezione a seguito di una trasfusione avuta dopo un incidente stradale), e sfortunatamente ha trasmesso il virus alla figlia. Ludovica in tutti questi anni è stata controllata con esami del sangue ed ecografie. Monica invece ha tentato diverse terapie: prima l’interferone, poi l’interferone con l’antivirale ribavirina ma senza successo. Oggi entrambe sono in cura con i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta che, certamente, garantiranno la guarigione di entrambe!».

Con questo buon auspicio la dottoressa Barbara Coco, dirigente medico presso l’Unità operativa di Epatologia dell’Azienda ospedaliera di Pisa e consigliere FIRE (Fondazione Italiana per la Ricerca in Epatologia) ha introdotto il suo intervento in occasione della presentazione della Campagna: “Epatite C Zero”, al Roma Web Fest, promossa da MSD Italia in collaborazione con EpaC Onlus, con la supervisione scientifica di FIRE. Durante questo evento è stata mostrata in anteprima la Web serie in 5 episodi che dal 28 novembre, con cadenza settimanale, sarà on line sul sito: www.epatiteczero.it
È il racconto “simbolico” di un viaggio compiuto attraverso gli Appennini da sei personaggi (nella foto a destra, gli attori) che hanno in comune una malattia come l’epatite C, ciascuno con il suo vissuto di malato, e tra loro anche un medico infettivologo.

Nell’occasione abbiamo posto qualche domanda alla dottoressa.

Si parla di epatite C come di una patologia sistemica. Che impatto ha il virus HCV sull’organismo? Quali sono le complicanze e le comorbidità correlate alla malattia?
«Al contrario dell’epatite B, il virus dell’epatite C, oltre a causare la malattia epatica, può infettare altri tipi di cellule (come quelle del sistema immunitario) ed essere causa di manifestazioni cliniche che coinvolgono altri organi e apparati, favorendo ad esempio l’insorgenza di alcune malattie immuno-reumatologiche. Più recentemente è stata dimostrata una stretta correlazione tra infezione da HCV e malattie autoimmuni (tiroidite, porfiria cutanea), cutanee (lichen), renali, ma soprattutto metaboliche come il diabete e le malattie cardiovascolari. Un intervento terapeutico precoce, che porti all’eradicazione del virus, può avere un impatto positivo su queste malattie, favorendo la completa regressione».

Qual è il profilo di tollerabilità delle nuove terapie? E quale la differenza rispetto a quelle usate in passato?
«In passato i farmaci per il trattamento dell’epatite C erano l’interferone e la ribavirina: efficaci solo per una limitata quota di pazienti e soprattutto con importanti effetti collaterali che li rendevano controindicati in molti casi. I nuovi antivirali (DAAs), che agiscono direttamente sul genoma del virus bloccandone la replicazione, sono al contrario altamente efficaci e garantiscono l’eradicazione dell’infezione in percentuali superiori al 98%, con un documentato profilo di sicurezza e tollerabilità: praticamente, non hanno effetti collaterali. Episodicamente, qualche paziente ha riferito una modesta astenia o nausea; in alcuni soggetti si è avuto un incremento della bilirubina o un lieve rash cutaneo. L’elevata efficacia antivirale ha consentito di ridurre la durata del ciclo di cura: oggi, sono sufficienti 8-16 settimane in relazione al tipo di virus. La disponibilità di una terapia efficace con effetti collaterali minori ha rivoluzionato la cura dell’epatite C: oggi possono essere trattati anche coloro che prima non erano candidabili per gravità di malattia, per comorbidità o coloro i quali rifiutavano il trattamento per timore degli effetti collaterali».

Anche la presenza di comorbilità non è più un limite. Potrebbero insorgere possibili interazioni con farmaci che vengono assunti per altre malattie? E come comportarsi nei casi di una gravidanza?
«Tenendo conto del breve periodo di trattamento e dell’ampia disponibilità di molecole antivirali, si tratta di problemi facilmente superabili e sono pochissime le circostanze i cui la terapia antivirale con DAAs è controindicata. Una di queste è la gravidanza, perché ancora non si conoscono possibili effetti sul feto. Nei casi di una donna giovane con epatite C che desideri avere un figlio si preferisce completare il ciclo di terapia prima di iniziare un progetto procreativo. A proposito delle donne, è da dire che l’infezione da HCV risente delle modificazioni ormonali e recenti studi dimostrano come, dopo la menopausa, l’epatite C tenda a progredire più rapidamente. Un intervento terapeutico precoce, prima della gravidanza e della menopausa, è dunque auspicabile in tutte le donne sia per evitare il rischio di contagio in caso di gravidanza, sia per impedire l’evoluzione della malattia in età successiva».

In che modo il rapporto medico-paziente può influire sull’aderenza alla terapia?
«Sebbene il trattamento antivirale con DAAs sia semplice e con documentato profilo di sicurezza, il medico è fondamentale nella gestione del percorso terapeutico. Il medico di famiglia ha il compito di richiedere gli esami virologici di screening in soggetti con fattori di rischio per l’epatite C o con alterazione delle transaminasi; in caso di infezione attiva ha il compito di indirizzare il paziente allo specialista per avviare il percorso di cura. Il counseling dello specialista è importante per informare sulle caratteristiche della malattia, sul rischio di complicanze, sui benefici della cura antivirale. Il counseling medico, tuttavia, non si ferma al periodo di cura. Fino al 30% di pazienti con epatite C presenta dei cofattori di danno, tra cui il più frequente è di natura dismetabolica, il cosiddetto “fegato grasso”. Questo è spesso legato a uno stile di vita sedentario o a una dieta sbilanciata riguardo a zuccheri e grassi. Una corretta informazione da parte del medico ed educazione del paziente a mantenere una dieta e uno stile di vita sano è indispensabile per controllare l’evoluzione della malattia epatica e ridurre il rischio di complicanze, in particolare di tumore epatico. Oggi, per la prima volta da quando è stato scoperto il virus, si può parlare in maniera sistematica di “prevenzione” dopo la guarigione: prevenire cioè non solo le reinfezioni, ma anche gestire le eventuali complicanze e comorbidità sviluppate a seguito della patologia».

A guarigione avvenuta, qual è lo stile di vita che deve mantenere chi esce dal tunnel dell’HCV?
«L’epatite C non lascia un’immunità specifica, come avviene per l’epatite A e B, per cui eliminato il virus con il trattamento antivirale ci si può reinfettare. Dati recenti rilevano come le categorie maggiormente a rischio di reinfezione siano i tossicodipendenti e i soggetti con comportamenti sessuali non protetti (più partner, maschi omosessuali). Non deve, inoltre, essere trascurato il rischio di reinfezione attraverso l’uso di strumenti non adeguatamente sterilizzati (procedure estetiche, tatuaggi o piercing, scambio di rasoi o spazzolini da denti). Oggi non esiste un vaccino contro l’epatite C, ma con un po’ di attenzione e seguendo regolari norme igieniche il rischio di reinfezione non è elevato. Una volta eradicato il virus, i soggetti con danno epatico lieve non hanno necessità di effettuare controlli specifici. Nella malattia epatica avanzata (fibrosi o cirrosi) anche dopo l’eradicazione del virus è necessario invece continuare i controlli periodici. Sempre più attenzione si pone oggi sui cofattori di danno epatico (alcol, diabete, ipercolesterolemia), in quanto sono in grado di accelerare la progressione dell’epatite C: se il paziente ha una malattia con fibrosi severa o già evoluta in cirrosi, è necessario astenersi da vino e alcolici, correggere il sovrappeso e controllare diabete e dislipidemia. In ogni caso è buona norma mantenere una dieta varia ed equilibrata, ma con limitato introito di zuccheri e praticare con regolarità un’attività fisica: consiglio sempre ai pazienti di camminare per 40-45 minuti a passo veloce, un paio di volte a settimana».

di Paola Trombetta

 

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