I pazienti affetti da emofilia, malattia rara del sangue, ereditaria, cronica non guaribile, sono una vasta community: circa 5 mila persone solo in Italia, di cui 4 mila colpiti da Emofilia A e i restanti da emofilia B, secondo le stime del Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite dell’Istituto Superiore di Sanità. Ora hanno deciso di far ascoltare le loro priorità diagnostiche e assistenziali, attraverso “EmoAzione: 2017-2020”: un progetto promosso dalla Federazione delle Associazioni Emofilici (FedEmo), in collaborazione con Fondazione Paracelso Onlus, l’Associazione Italiana dei Centri Emofilia (AICE), l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), rappresentanti del mondo accademico e clinico, con il contributo di Roche. «L’emofilia – spiega Cristina Cassone, presidente FedEmo – è una patologia complessa che richiede un’assistenza multidisciplinare, soprattutto in età pediatrica. Una cura adeguata di un bambino emofilico non può prescindere dalla presenza di figure professionali in grado di supportare anche il suo nucleo familiare». Perché questa malattia ha un impatto coinvolgente, fin dai sintomi e dalla diagnosi iniziale: «Si manifesta – precisa la dottoressa Elena Santagostino della Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e Presidente eletto AICE – con emorragie, anche spontanee, a carico di muscoli e articolazioni, soprattutto in bambini attorno a un anno di età che, se opportunamente trattati presso Centri Specializzati con una terapia endovenosa somministrata più volte alla settimana, possono condurre una vita sostanzialmente normale, non avere sintomi né conseguenze. Un impegno terapeutico che grava tuttavia sui genitori, insieme alle visite ospedaliere e ai controlli. A questo si aggiungono le ansie per un figlio con grave rischio emorragico e l’impatto psicologico sul bambino».
L’emofilia, dunque, ha un costo in qualità di vita, emo(a)zione e gestione assistenziale-terapeutica familiare ma anche sul Servizio Sanitario Nazionale: circa 18 mila euro al mese a persona per il trattamento di adulti gravi e moderati in profilassi, 4.300 euro circa al mese per ciascun paziente trattato a domanda. Sono molte ed efficaci oggi le cure disponibili, grazie a una rivoluzione cominciata negli anni ’90, di cui hanno potuto beneficiare i pazienti più giovani con sensibili vantaggi sulla qualità e aspettativa di vita, e limitazioni non eccessive, a discapito invece degli “ante-data” sottoposti a terapie non altrettanto valide e ai conseguenti effetti collaterali, quali i sanguinanti articolari. «Raggiunto il traguardo della terapia sostitutiva – aggiunge il professor Giovanni Di Minno dell’Università Federico II di Napoli e presidente AICE – nella quale si somministra la sostanza carente (il fattore ottavo o nono), ora si punta a nuove terapie che possano evitare diversi problemi, tra cui lo sviluppo di “inibitori” che riducono o addirittura annullano l’efficacia della terapia sostitutiva». Risultano ancora carenti strumenti e servizi a sostegno dei genitori e dei pazienti in grado di implementarne la qualità della vita, spesso limitata dalla complessa gestione della malattia. «Assistiamo a grandi migrazioni da una parte all’altra del paese – puntualizza Andrea Buzzi, presidente Fondazione Paracelso – a causa di un difetto strutturale della rete dei centri e di scarso ascolto da parte delle istituzioni in generale. Mancano servizi assistenziali significativi, ad esempio la fisioterapia, spesso necessaria in modo prolungato ma non erogata in modo adeguato dal Sistema Sanitario Nazionale, restando talvolta a carico del paziente che, in mancanza di risorse, è costretto a rinunciarvi. Manca un’attenzione agli aspetti sociali: per i genitori di un piccolo con emofilia è spesso difficoltoso far coincidere la quotidianità e il lavoro con le necessità di cure del figlio. Ecco allora che entrano in gioco le associazioni di pazienti, come la Fondazione Paracelso, che possono svolgere un prezioso ruolo di cerniera tra il mondo clinico e quello sociale, e le cui competenze vanno valorizzate e utilizzate dalle istituzioni costruendo un tessuto e un modello assistenziale partecipativi». Impegno che deve estendersi anche all’educazione in asili e scuole, nonché a facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, fino a pensare a investimenti economici per cure costose per tutta la vita. Dunque sono tanti i bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti emofiliaci: così un Board multidisciplinare di esperti, attraverso un percorso coordinato da Fondazione Charta (Center for Health Associated Research and Technology Assessment), ha deciso di “farsi in 4” per trovare risposte concrete a 4 bisogni prioritari, entro il 2020 secondo gli obiettivi del progetto, così identificati:
#EmoAzione 1: Avere garanzia di informazione, diagnosi e assistenza specialistica adeguata. Soluzione: migliorare l’organizzazione dei centri Emofilia, Malattie Emorragiche Congenite e Trombosi.
#EmoAzione 2: Poter contare sulla ricerca. Soluzione: potenziare l’utilizzo del Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite.
#EmoAzione 3: Disporre di percorsi personalizzati di cura e assistenza specialistica. Soluzione: Rafforzare la rappresentanza dei pazienti e degli operatori sanitari specializzati nelle sedi istituzionali, centrali e locali
#EmoAzione 4: Assicurare l’integrazione fra assistenza clinica e sociale. Soluzione: favorire l’integrazione tra associazione pazienti, medici, istituzioni sanitarie e sociali.
Cerchiamo dunque di non tradire le aspettative dei pazienti emofiliaci e… diamo ascolto alla loro “emo(a)zione”.
di Francesca Morelli
Con i farmaci ricombinanti, una migliore qualità di vita
Ripensare il concetto di protezione e cambiare lo standard delle cure: è quanto è emerso in occasione dell’11° Congresso annuale dell’Associazione europea per l’emofilia e i disturbi correlati (EAHAD), che si è svolto di recente a Madrid.
Tra i dati presentati spicca il primo confronto del trattamento profilattico in pazienti con emofilia A, prima e dopo il passaggio dalla terapia convenzionale con rFVIII, al farmaco ricombinante Elocta (rFVIIIFc). I dati, raccolti dal Database Nazionale sull’Emofilia del Regno Unito, dimostrano una significativa riduzione della frequenza delle infusioni e del consumo del fattore di coagulazione e forniscono ulteriori prove del fatto che i prodotti rFVIII a emivita prolungata possano ridurre il peso del trattamento. A tutto vantaggio della qualità di vita delle persone con emofilia e delle loro famiglie. “Questi risultati confermano che, con i nuovi farmaci a emivita prolungata, possiamo offrire al paziente emofilico un maggiore intervallo di dosaggio, riducendo quindi il peso del trattamento a parità di protezione dai sanguinamenti”, ha spiegato il professor Giancarlo Castaman, direttore del Centro Malattie Emorragiche e della Coagulazione dell’Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze. “Con queste terapie, e quindi con un numero ridotto di infusioni venose, la qualità di vita dei pazienti migliora significativamente, e in particolare nella fascia pediatrica e giovanile, consente una vita più attiva. Occorre identificare, attraverso la storia clinica, quali sono i pazienti più adatti a sostenere un tale approccio, per consentir loro di ottenere il massimo vantaggio in termini di protezione offerto da questi nuovi prodotti a emivita prolungata”. P.T.