Ma è vero che la pillola contraccettiva aumenta il rischio di tumore al seno? Un recente studio, condotto da un team di ricercatori italiani dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dimostra esattamente il contrario. La ricerca ha riguardato una campione di 2527 donne, a rischio familiare di tumore al seno, alcune con la mutazione BRCA (come l’attrice Angelina Jolie). L’analisi retrospettiva ha rilevato che l’uso di contraccettivi ormonali combinati (CHC) non aumenta il rischio di tumore al seno, anche in caso di gruppi ad alto rischio e a rischio intermedio. Si è osservato inoltre che il menarca tardivo (la prima mestruazione) risultava un fattore protettivo, mentre la tarda età della prima gravidanza (oltre 30 anni) erano un fattore di rischio per tumore al seno. Dall’incrocio di tutte le informazioni e i dati raccolti, valutando anche gli anni di esposizione diretta ai CHC, alcuni contraccettivi erano addirittura associati a una tendenza verso un rischio diminuito di tumore al seno.

Attualmente, i CHC sono i metodi di contraccezione più usati nelle regioni più sviluppate del mondo, con una percentuale media di utilizzo del 18% nelle donne tra i 15 e i 49 anni. E le donne di questa fascia di età sono quelle più esposte alla diagnosi di tumore al seno, rispetto ad altri tumori che hanno una maggiore incidenza in età post-menopausale (70 anni per il cancro del polmone e 68 anni per il cancro del colon-retto). Poiché gli anticoncezionali ormonali hanno dimostrato un’efficacia protettiva verso forme tumorali molto aggressive e di difficile diagnosi e cura, soprattutto quello dell’ovaio, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivisto i criteri di idoneità medica per i contraccettivi e gli esperti hanno deciso che l’uso di CHC non dovrebbe essere limitato nemmeno per le donne con una storia familiare di tumore al seno. Per ulteriori approfondimenti, consultare la pagina Facebook @SICSocietàItalianaContraccezione e su Twitter @SIContraccez #SICdocet

Paola Trombetta