Talvolta potrebbe essere un brutto risveglio. Con ponfi diffusi, gonfiori alle labbra o alle palpebre e un fastidiosissimo e intenso prurito che persiste per tutta la giornata, soprattutto con l’arrivo della bella stagione. Può capitare se si soffre di orticaria, nella forma acuta o cronica, differenziate dal perdurare dei sintomi, entro oppure oltre le sei settimane, e dalla diversa causa di insorgenza: un’allergia alimentare, una reazione al farmaco o al veleno delle punture d’insetto e più raramente virosi gastrointestinali o respiratorie concomitanti per le forme acute, mentre quelle croniche sono di causa non ancora nota, più lunghe e severe, con un maggiore impatto sulla qualità della vita. «L’orticaria – spiega il dottor Riccardo Asaro, responsabile del Dipartimento di Allergologia e Immunologia dell’Ospedale San Carlo di Paderno Dugnano (Milano) è una malattia a base autoimmune, in cui cioè specifici anticorpi vengono diretti contro il recettore di una cellula specifica (mastocita) contenente istamina, una sostanza che scatena allergia e che viene stimolata così a produrne in maggiori quantità. Questa reazione spiegherebbe dunque anche una possibile componente auto-allergica dell’orticaria, secondo quanto attesterebbero anche le conclusioni di studi tedeschi. Con il mio gruppo di ricerca – aggiunge lo specialista – stiamo invece valutando la possibile corresponsabilità di fattori della coagulazione, capaci anch’essi di attivare mastociti e recettori specifici, chiamati Par1 e Par2, importanti nelle forme allergiche».
Malattia rara fra i piccoli, l’orticaria affligge invece l’1% della popolazione adulta, prevalentemente donne con un rapporto di 2-3 a uno rispetto agli uomini. Complice, senza dubbio, anche una componente ormonale: «In una parte di donne – dichiara Asaro – l’orticaria può scatenarsi soltanto o quasi esclusivamente prima del ciclo mestruale. Non solo: le malattie autoimmuni sono più tipiche del sesso femminile (pensiamo al lupus eritematoso ad esempio o all’artrite reumatoide) e questo spiegherebbe la maggiore diffusione dell’orticaria fra le donne. Infine non si esclude la familiarità».
Uno studio di qualche anno fa, ma ancora attuale, ha dimostrato che avere un parente di primo grado con orticaria cronica spontanea aumenta di 12 volte le probabilità di sviluppare la malattia, soprattutto se la parentela è nella progenie femminile. A questi fattori biologici se ne aggiungono di clinici: vi è infatti evidenza di un’associazione tra orticaria e tiroidite autoimmune con sviluppo, nel 15% dei casi, di tiroidite di Hashimoto, fino alla multireattività a farmaci antinfiammatori associata al 20% dei casi di orticaria. «Ci si gonfia, ad esempio, dopo aver preso un’aspirina – dichiara Asaro – ma sebbene la reazione regredisca in maniera spontanea, non guarisce mai completamente. Ciò significa che l’orticaria potrebbe ricomparire o esacerbarsi regolarmente ogni volta che si assumono antinfiammatori».
Dunque questa classe di farmaci, assieme alla virosi, si qualificano come altri possibili fattori scatenanti l’orticaria. Le multi-facce e le differenti cause dell’orticaria spiegherebbero anche le differenti risposte dei pazienti alla malattia, sia in termini di durata che di efficacia terapeutica. Infatti in una percentuale di pazienti, almeno il 50%, se non ci sono fattori avversi, la malattia può regredire e migliorare dopo anni, mentre per quanto attiene ai farmaci la risposta dei pazienti potrebbe essere triplice. Alcuni, la maggioranza, sono infatti “early responder”, e mostrano benefici terapeutici immediati; altri invece, i “late responder”, hanno esiti più ritardati nel tempo, altri ancora potrebbero non trarre vantaggio dalla terapia.
L’orticaria, solo fino a qualche anno fa, era di difficile cura: «Inizialmente – precisa Asaro – c’erano solo gli antistaminici, poi si sono aggiunti, laddove necessario, i cortisonici, talvolta somministrati anche per periodi piuttosto lunghi con effetti collaterali importanti. Negli ultimi 10 anni l’orticaria è stata trattata con la ciclosporina, farmaco che ha però un certo grado di tossicità». Fino all’introduzione terapeutica di Omalizumab, una molecola che sta cambiando la storia dell’orticaria: «Recenti studi – informa l’esperto – hanno attestato una risposta eccellente in oltre il 70% dei pazienti con possibilità di risoluzione nell’arco anche di una sola settimana, e un sensibile miglioramento della qualità della vita». C’è però un problema, perché molti pazienti alla sospensione della terapia manifestano recidive e sono costretti a una sorta di limbo terapeutico. Infatti l’attuale programma di cura con Omalizumab prevede 6 somministrazioni mensili, più altre 5 dosi in caso di ripresa di malattia, con successiva interruzione. Ma c’è il rischio che nel paziente la malattia non si fermi. Da qui l’impegno degli esperti di richiedere ad AIFA di rivedere il piano terapeutico del paziente. Perché ad oggi, dopo una diagnosi clinica conclamata con prurito, ponfi, lesioni rossastre a comparsa rapida, di pochi millimetri o di diversi centimetri in più sedi del corpo, accompagnate ad angioedema a insorgenza rapida, l’approccio terapeutico, secondo le linee guida internazionali, prevede inizialmente un antistaminico di seconda generazione a dose standard, con un aumento fino a 3-4 volte in base alle necessità e, in caso di mancata risposta, il passaggio a Omalizumab, somministrabile con sicurezza perchè privo di effetti collaterali, in un primo tempo associato a ciclosporina. Solo come quarta opzione di cura, in pazienti refrattari, si ricorre alla ciclosporina e se ancora non ci fossero esiti terapeutici si passa all’uso di ciclofosfamide, diapsone o terapie ancora più complesse, a cui oggi però si ricorre per fortuna molto raramente.
di Francesca Morelli