È la menopausa il periodo più a rischio per la comparsa di diabete tipo 2 nelle donne, soprattutto se sono in sovrappeso. E con il diabete peggiora anche il profilo lipidico, aumenta il rischio cardiovascolare, che supera addirittura quello degli uomini e il pericolo di stroke (ictus), 8 volte maggiore nelle donne diabetiche tra i 35 e 54 anni. Sono alcuni dati “di genere” evidenziati dagli specialisti intervenuti al recente congresso “Diabetes two Days” che si è tenuto i giorni scorsi a Roma.
«Sia nella donna che nell’uomo, l’età più a rischio per la comparsa di diabete è 65 anni: con il passare degli anni, infatti, tendono a invecchiare i meccanismi di eliminazione del glucosio e di produzione dell’insulina da parte delle cellule del pancreas», puntualizza il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) e professore ordinario di Medicina interna all’Università Magna Grecia di Catanzaro. «Nelle donne in sovrappeso, in particolare, l’accumulo di massa grassa e la perdita di massa muscolare ostacola i meccanismi di eliminazione del glucosio. Da un recente documento prodotto dalla SID, si evidenzia che la donna diabetica si cura meno degli uomini. Trascura infatti di più la malattia, nel senso che tende a non rivolgersi allo specialista e a non seguire in modo continuativo le cure. Le donne, infatti, sono meno aderenti alle terapie e spesso tendono addirittura a sospenderle arbitrariamente, ritenendole causa dell’aumento di peso. Non è infrequente poi il caso di donne che si rivolgono agli specialisti chiedendo loro di cambiare la cura e suggeriscono addirittura i farmaci che sono magari usati dall’amica e, secondo loro, non fanno ingrassare. Effettivamente ci sono farmaci antidiabetici, alcuni analoghi del GLP1 e gli inibitori del SGLT2, che fanno perdere peso in quanto riducono l’appetito e favoriscono l’eliminazione di glucosio con le urine. Ma non sempre sono indicati per tutti i casi di diabete. La cura infatti deve essere sempre personalizzata in funzione del singolo paziente e del suo complessivo stato di salute».
«Agli esordi della malattia, che compare con sintomi quali sete intensa, poliuria, perdita di peso, infezioni genitali e delle vie urinarie, è opportuno effettuare un controllo del glucosio a digiuno», raccomanda il professor Stefano Del Prato, ordinario di Endocrinologia presso l’Università degli studi di Pisa. «Se i valori sono compresi tra 100 e 125 mg, non si parla ancora di malattia vera e propria, ma di una condizione borderline che può essere controllata con la dieta e l’attività fisica. A differenza di quanto si è abituati a pensare, non sono solo gli zuccheri semplici a dover essere eliminati, ma soprattutto i grassi saturi. Se al contrario i valori di riferimento superano i 126 mg a digiuno, e si mantengono tali ai successivi e ravvicinati controlli, si deve allora ricorrere alla terapia. Le linee guida indicano per il diabete tipo 2, in prima battuta l’utilizzo di metformina, che migliora l’azione dell’insulina prodotta dall’organismo. Se questo farmaco non è sufficiente, si aggiungono altre molecole come gli inibitori del DPP4 (Dipeptidilpeptidasi 4, un enzima che ostacola l’attività dell’insulina), in commercio in diverse formulazioni, che potenziano e prolungano l’effetto dell’insulina. Tra queste si utilizza da diverso tempo vildagliptin. È in corso uno studio (VERIFY), che terminerà a fine 2019, su 2 mila soggetti con diabete tipo 2, reclutati in più di 200 centri nel mondo, in cui si sta valutando l’efficacia della combinazione di questo principio attivo in associazione a metformina, verificando se l’uso nelle primissime fasi della malattia possa controllare meglio e per un tempo più prolungato la glicemia».
di Paola Trombetta
“Progetto Radar”, alla ricerca dei pazienti
Si chiama “Radar” ed è una nuova App a disposizione dei soci dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) per individuare i soggetti che non sono aderenti alle cure. Analizza le cartelle cliniche informatizzate del diabetologo, andando alla ricerca dei pazienti non “in regola” su alcuni specifici parametri, ossia emoglobina glicata superiore al 7%, Indice di Massa Corporea oltre 27 kg/m2 (sovrappeso e obesità) e pressione arteriosa di 140 mmg/Hg. Per spiegare agli specialisti l’utilizzo della nuova applicazione, discutere i più recenti dati in merito alla qualità dell’assistenza e illustrare l’impiego dei nuovi farmaci antidiabete, AMD organizza un ciclo di 17 incontri formativi sul territorio nazionale, dal titolo: “Progetto RADAR: alla ricerca dei pazienti!”. Ecco il calendario degli incontri: Livorno (4 maggio), Reggio Emilia (8 maggio), Milano e Padova (11 maggio), Salerno e Roma (25 maggio), Torino (26 maggio), Imola (1° giugno), Bari (9 giugno), Genova (14 giugno), Napoli (15 giugno), Ancona (29 giugno), Roma (7 settembre), Catania (13 settembre), Chieti (14 settembre), Trieste (15 settembre), Milano (28 settembre). «È noto che una fascia consistente di pazienti diabetici (oltre il 50%) non raggiunge un buon compenso glicemico», commenta Domenico Mannino, Presidente AMD. «Dati simili si riscontrano per ciò che concerne il peso corporeo e il controllo della pressione arteriosa, due rilevanti fattori di rischio cardiovascolare. Si evidenzia anche un notevole ritardo nella modulazione terapeutica, in presenza di valori elevati di emoglobina glicata. Continuano, inoltre, ad essere utilizzati farmaci ipoglicemizzanti tradizionali, i cui possibili effetti collaterali rendono la compliance del paziente più difficile. Proprio per porre rimedio a questa situazione abbiamo sviluppato e messo a disposizione dei nostri soci la funzione “Radar” che, applicata alla cartella clinica informatizzata, attiva un sistema di ricerca automatica, consentendo una rapida identificazione dei pazienti con insoddisfacente controllo metabolico, al fine di migliorare l’appropriatezza prescrittiva».
Per informazioni: www.aemmedi.it P.T.
Una cartella digitale per ottimizzare le cure
“Smart Digital Clinic”: è la cartella digitale che consente di monitorizzare e velocizzare le cure dei pazienti diabetici, e che verrà presto adottata in molti Centri Italiani di Diabetologia. Uno studio pubblicato dal Gruppo Annali dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) sulla rivista “Diabetic Medicine”, condotto su 100mila persone con diabete tipo 2 per quattro anni, ha dimostrato che i centri diabetologici che avevano raccolto e valutato i dati dei pazienti (visite ed esami clinici) registrati nelle cartelle cliniche digitalizzate, ottenevano un migliore controllo dei parametri, quali glicemia, emoglobina glicata, colesterolo, pressione arteriosa, rispetto ai centri che avevano iniziato la raccolta dati solo negli ultimi 12 mesi, con evidente risparmio di spese per il SSN. Per questo si sta ora cercando di diffondere un unico software, frutto della collaborazione tra Roche Diabetes Care e Meteda, l’azienda che ha sviluppato questa cartella clinica diabetologica, per la gestione dei pazienti e la creazione di un database che contenga i dati clinici di oltre 500mila persone con diabete. P.T.