È dominante il potere del web sugli italiani, anche in ambito alimentare, tanto da condizionare le scelte dei prodotti, dallo scaffale alla tavola. Ma il rischio di cadere nella trappola seducente della rete o in un cibo “fake”, cioè alla moda ma povero dal punto di vista nutrizionale, è facile. Tanto più che, secondo un recente studio di ANDID, Associazione Nazionale Dietisti, condotto in collaborazione con l’Università di Messina, e presentato di recente a Roma, gli italiani in tema di buone scelte alimentari sono analfabeti, influenzabili anche per la scarsa competenza.
Allora, come informarsi e filtrare con adeguatezza le informazioni nutrizionali derivanti dal web? Ne abbiamo parlato con Ersilia Troiano, presidente uscente dell’Associazione.
Cosa spinge il consumatore a fare scelte alimentari 3.0, selezionate cioè tra le offerte della rete?
«Le moderne scelte alimentari in rete riflettono l’autonomia del consumatore sia nella selezione dei prodotti, sia nella ricerca delle fonti di informazioni. Queste, secondo recenti studi, in gran parte dei casi vengono poi utilizzate e sfruttate in comportamenti reali: l’informazione raccolta dal web viene direttamente trasferita alla tavola. Il risvolto comportamentale potrebbe essere duplice: positivo, se l’informazione cercata sul web è affidabile, in quanto basata sull’evidenza scientifica; preoccupante se invece è frutto di una moda, non accreditata da opinioni esperte, che trascina gli utenti nell’adozione di abitudini nutrizionali errate, con possibili ripercussioni anche sulla salute».
Come cercare, correttamente, un’informazione sul web o su Facebook?
«Occorre spirito critico, verificare cioè l’affidabilità della fonte a cui si fa riferimento, navigando e previlegiando nella ricerca i siti istituzionali, del Ministero della Salute o dell’Istituto Superiore di Sanità ad esempio, o anche iniziative autonome di servizio dei portali come “Chiedi le prove”, che hanno lo scopo di orientare l’utente verso scelte consapevoli, basate sull’evidenza. Limitando o prevenendo, in questo modo, uno dei rischi principali e più frequenti della comunicazione via web o su Facebook: farsi condurre nelle scelte dall’aspetto emotivo/emozionale. Che ad esempio spinge a dare ascolto a persone coinvolgenti, che invitano a ripetere la propria esperienza. “Io l’ho fatto, fallo anche tu” , dietro cui spesso si celano strategie e meccanismi di marketing. La raccomandazione è invece di farsi guidare da esperti di salute e nutrizione, come un dietista o un medico, che hanno competenze qualificate e che sono in grado di fornire consigli sani, applicabili a contesti di vita quotidiana. Non dobbiamo dimenticare che ogni giorno, attraverso la scelta di un alimento, portiamo e offriamo salute in tavola. In particolare le donne, a partire dalla spesa, devono essere in grado di proporre scelte alimentari salutari a beneficio di tutta la famiglia».
Quale deve essere il principio guida delle scelte alimentari?
«Devono seguire il principio della globalità dell’alimentazione, tenendo conto che le nostre scelte alimentari hanno un impatto, oltre che sulla salute, anche di tipo sociale, economico, ambientale, culturale. Ma soprattutto occorre considerare gli alimenti non come un semplice veicolo di nutrienti, ne sviliremmo in questo caso il significato più profondo, ma secondo il valore e l’effetto preventivo e curativo che hanno sulla salute. Nel rispetto di questo obiettivo, le nostre scelte alimentari devono passare anche da un’attenta valutazione dell’adeguatezza ai fabbisogni energetico-nutrizionali di ciascun componente della famiglia, sfatando ad esempio il mito che i bambini debbano mangiare più degli adulti o commettendo l’errore di non differenziare l’alimentazione secondo le richieste di ogni fase della crescita. Ma adeguatezza significa anche rispetto della sobrietà alimentare, servendo porzioni misurate sulle necessità della persona, e piatti semplici, mai troppo elaborati. Infine, nel caso in cui esistano problematiche alimentari individuali, la raccomandazione è di rivolgersi a professionisti esperti che sapranno consigliare il migliore approccio al cibo».
Come si raggiunge “l’alfabetizzazione alimentare”, oltre che con la consultazione di fonti accreditate?
«L’alfabetizzazione va promossa ed effettuata a livello sistemico, portando il problema all’attenzione delle istituzioni e di tutti gli attori coinvolti. L’alfabetizzazione non la costruisce il singolo, soprattutto se in possesso di livelli di istruzione o competenze basse o problematiche, bensì i professionisti che devono fare squadra tra loro, in modo da formare la popolazione e la collettività a partire dalla più tenera età. Andiamo a scuola per imparare a scrivere, a leggere, per saper decodificare il mondo attorno a noi in maniera critica: lo stesso si deve fare in tema di scelte alimentari. Serve un approccio sistemico, un lavoro di squadra che parta dalla scuola; per questo, come ANDID, stiamo pensando a iniziative spot di educazione alimentare che insegnino ai bambini cosa mangiare e cosa limitare o evitare, rendendoli protagonisti della propria salute con un coinvolgimento responsabilizzante.
Diversi studi dimostrano la bontà educazionale, di iniziative in cui i bambini, ad esempio, imparano a cucinare: un’abilità importante che educa al valore del cibo, etico e nutrizionale, poi promosso anche in famiglia durante la convivialità e condivisione del pasto. Obiettivo, quello educativo e di sensibilizzazione, a cui devono rivolgersi anche le politiche sociali e della salute, con maggiore attenzione a contesti con problematiche socio-economiche o persone in età, che rappresentano due dei maggiori fattori di rischio di analfabetizzazione alimentare. Solo facendo alleanza si può educare la popolazione a scelte più corrette con ricadute positive per la salute presente e futura».
di Francesca Morelli