I nutraceutici fanno bene, non solo alla salute intestinale in quanto prevengono i problemi di disbiosi (l’alterazione della flora intestinale), ma anche alla salute del cuore e, di conseguenza… alle tasche del Sistema Sanitario Nazionale. Lo dimostra il documento di consenso intersocietario “Disbiosi intestinale e rischio cardiovascolare: valore clinico ed economico dell’intervento nutraceutico”, realizzato con il supporto incondizionato di Montefarmaco OTC, pubblicato nel supplemento al periodico trimestrale SINut (Società Italiana di Nutraceutica) Pharmanutrition and Functional Foods, presentato di recente a Bologna durante l’VIII Congresso annuale SINut. Il Documento valuta il potenziale nutra-economico e i benefici clinici derivanti dall’utilizzo di nutraceutici attivi sulla disbiosi intestinale, per il controllo dell’ipercolesterolemia e dei problemi cardiovascolari.
Nel documento, un board di esperti in Nutrizione, Gastroenterologia, Cardiologia, Farmacologia ed Economia ha indagato l’impatto dell’uso dei nutraceutici sui costi del SSN, in termini di riduzione di spesa sui farmaci e sulla diagnostica. Secondo quanto dimostrato, i nutraceutici sarebbero in grado di controllare i livelli di colesterolo nel sangue che, quando elevati, sono spesso causa di problemi cardiovascolari importanti come infarto del miocardio o ictus. Una risposta, dunque, a numerose complicanze, che potrebbe garantire più salute nella popolazione e di conseguenza minori costi per il nostro Sistema sanitario. Un obiettivo che sembra essere garantito dall’uso singolo o integrato dei nutraceutici, con un risparmio della spesa sanitaria nell’arco di 10 anni di oltre 11 milioni di euro, come dimostra una recente analisi di nutra-economia.
«Complessivamente si stima che il costo delle malattie cardiovascolari in Europa superi i 196miliardi l’anno. Di questi, il 54% è associato a costi diretti sanitari sostenuti dai Sistemi sanitari; il 24% è dovuto a costi indiretti associati alla perdita di produttività dei pazienti e il 22% è sostenuto dalle famiglie in termini di informal care – spiega il professor Giorgio Colombo, docente di Organizzazione Aziendale, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Pavia e Direttore Scientifico S.A.V.E. (Studi Analisi Valutazioni Economiche di Milano) . In particolare, nel nostro Paese, il costo medio sostenuto dal SSN per soggetto con ipercolesterolemia è di 6.100 euro l’anno, che oscillano da 3400 euro a 8.800 euro». Poi aggiunge: «Se l’intento è quello di spostarsi dalla medicina tradizionale alla medicina preventiva e dalla promozione del farmaco a quella della salute, i prodotti nutraceutici potrebbero risultare utili per diminuire l’incidenza di importanti patologie croniche o delle loro complicanze e comportare un reale risparmio per il Sistema Sanitario».
Controllare i livelli di colesterolo cattivo nel sangue, dicono gli esperti, consente di abbassare il rischio per i pazienti e dunque di prevenire malattie cardiovascolari. «Diversi studi clinici – aggiunge il professor Arrigo Cicero del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università degli Studi di Bologna e Presidente SINut – dimostrano che singoli integratori o associazioni di integratori possono agire efficacemente sul controllo della colesterolemia. Tra questi, una ricerca italiana dell’Università di Milano ha evidenziato che l’associazione fra un integratore in grado di ridurre il colesterolo e un secondo che limita l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, come il riso rosso fermentato con i probiotici, è potenzialmente in grado di abbassare i livelli di colesterolo cattivo quasi del 30%». Una soluzione, quella del ricorso ai nutraceutici, attiva e benefica in diverse categorie di pazienti: «Questi – precisa il professor Alberto Martina del Dipartimento di Scienze del Farmaco e Master Prodotti Nutraceutici dell’Università degli Studi di Pavia – possono essere indicati in pazienti in cui non sia utilizzabile in prima scelta la statina, perché i valori di colesterolo sono appena più alti della norma, tra 190 e 230 ad esempio, o in pazienti senior in cui gli effetti delle statine possono essere più evidenti. Ancora i nutraceutici rappresentano una valida alternativa per coloro che hanno intolleranza ai farmaci o laddove sia necessario un ulteriore supporto al farmaco stesso, secondo quella che clinicamente viene definita supplementazione nutraceutica (add on treatment)». Dunque, con l’utilizzo dei nutraceutici si può mettere in atto una “medicina di intervento”, di azione e prevenzione, in contrapposizione alla medicina di attesa che passa attraverso l’assunzione di un farmaco.
«L’utilizzo di sostanze naturali, i nutraceutici appunto – conclude il professor Cicero – può contribuire al raggiungimento di questo obiettivo, arrivando a moderare i livelli del colesterolo grazie alla capacità di rallentare la velocità di produzione di colesterolo da parte del fegato. I benefici di una terapia a base di nutraceutici sono sensibili ed efficaci se questa viene mantenuta per lunghi periodi di tempo; se assunta per brevi periodi è solo un costo per il Sistema sanitario Nazionale e per il paziente».
Studi clinici dimostrerebbero, già dopo 12 settimane di assunzione di nutraceutici, un miglioramento del profilo lipidico (dei grassi) nel sangue, con una diminuzione del colesterolo cattivo LDL (-26%), della colesterolemia totale (-17%) e della apolipoproteina B, principale proteina costituente le lipoproteine, (-20%) a vantaggio di un impatto ridotto del rischio vascolare. Valore aggiunto della terapia con nutraceutici è l’aderenza al trattamento pari a circa il 97%; pochi gli effetti collaterali rilevati e di scarsa importanza, cioè l’assenza di alterazioni o modifiche della funzionalità di fegato e reni, e solo possibili reazioni da interazioni con alimenti, altri nutraceutici o farmaci.
di Francesca Morelli