«Ho ricevuto la diagnosi di mieloma a 38 anni e rientro in quel 10% di pazienti giovani che hanno la malattia. Dopo lo sconforto e lo sgomento iniziale per questo “fulmine a ciel sereno” che mi procurava un dolore diffuso alle ossa, con edemi agli occhi e alle caviglie, ho deciso di sfoderare la spada e reagire. Sono stata in parte avvantaggiata dalla conoscenza del mondo scientifico, per via del mio lavoro e mi sono subito rivolta allo specialista che, dopo specifici esami del sangue (emocromo ed elettroforesi), mi ha prescritto un primo ciclo di chemioterapia. All’inizio andavo in giro con la parrucca e non avevo detto nulla ai miei genitori: il dolore più grande era la paura di farli soffrire e mi sono confidata solo con mio fratello e mia sorella, quasi mi vergognassi della malattia e volessi nascondermi. Poi mi sono sottoposta a un primo trapianto di cellule staminali autologhe e la malattia sembrava essere in remissione. Ho vissuto un breve periodo di grande soddisfazione ed ero piena di energia e voglia di vivere. Finché è arrivata la “stoccata” della ricaduta! E lì mi sono profondamente abbattuta. La ripresa è stata lenta ma continua, grazie all’aiuto di familiari e amici cari. Dopo un altro ciclo di chemioterapia, seguito da un secondo trapianto, ora la malattia sembra di nuovo in remissione. E speriamo rimanga tale per tanto tempo… Sto assumendo una terapia di consolidamento a regime intenso e, grazie a questi nuovi farmaci, spero che un’eventuale ricaduta compaia tra molto tempo. Purtroppo nel decorso della malattia si alternano periodi di remissione a periodi di ricadute. Ma ho conosciuto pazienti che ci convivono da 30 anni. Per questo ora mi sento molto combattiva, e ho fatto mio il motto del libro “Manuale del guerriero della luce” di Paulo Coelho. Ad agosto ho partecipato a una gara di raccolta fondi per il cancro, assieme al team “Miles for Myeloma” di Indianapolis, percorrendo più di 160 chilometri in bicicletta e incontrando tante persone che stanno combattendo come me. E’ proprio vero che l’unione fa la forza e ti sprona a lottare. Il farmaco più efficace è la convinzione di poter vivere!».
La grinta di Simona e degli altri giovani pazienti che lottano quotidianamente contro questa malattia ha ispirato la Campagna di sensibilizzazione “Mieloma ti sfido” (www.mielomatisfido.it; #iotisfido), promossa da AIL, Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma Onlus, insieme a La Lampada di Aladino, con il contributo non condizionante di Celgene e il coinvolgimento di due “paladini” d’eccezione: Aldo Montano, medaglia d’oro nella sciabola ai Giochi Olimpici di Atene 2004, ed Elisa Di Francisca, due ori nel fioretto alle Olimpiadi di Londra 2012. I due testimonial sono protagonisti di un video per il web che, con l’installazione itinerante I Duellanti, già allestita fino al 15 novembre in Piazza di Spagna e che approderà nei prossimi mesi in altre cinque città, veicolerà ai cittadini il messaggio chiave: unirsi alla sfida contro il Mieloma Multiplo, aiutare i pazienti a non cadere, perché i progressi delle terapie possono incoraggiarli nel loro percorso di cura.
Per fare chiarezza su questa malattia, in occasione della presentazione della Campagna a Roma, abbiamo intervistato la professoressa Maria Teresa Petrucci, Dirigente medico di primo livello in Ematologia, del Policlinico Umberto I di Roma.
Che cos’è il mieloma multiplo, chi colpisce e quali i sintomi?
«Il Mieloma Multiplo è il secondo tumore del sangue per diffusione, dopo i linfomi non-Hodgkin. Colpisce soprattutto le persone anziane, con un’età media di 70 anni. Il 20% dei pazienti ha però meno di 50 anni. La mia paziente più giovane aveva addirittura 19 anni. E’ causato dalla moltiplicazione incontrollata di plasmacellule del midollo osseo, che producono in continuazione citochine, indispensabili al tumore per crescere. I sintomi principali sono dolore continuo alle ossa e spossatezza dovuti rispettivamente a lesioni ossee e anemia. Dieci anni fa la sopravvivenza era di 14 mesi; oggi si vive per almeno 10 anni, ma sempre più numerosi sono i pazienti che vivono decenni. Nel percorso si alternano fasi sintomatiche di attivazione della malattia e fasi di remissione. Queste ultime vengono sempre più prolungate, grazie alle nuove terapie».
Come è cambiata la gestione del paziente con le nuove terapie?
«Oggi la maggiore innovazione è il grande numero di farmaci disponibili, che ci permettono di trattare tutti i pazienti con diversi tipi di nuove molecole e quindi siamo in grado di ottenere risposte sempre migliori e prolungate. Questo ha contribuito a migliorare in modo significativo nell’arco di 10 anni la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti. Tutto ciò ha comportato un nuovo modello di gestione dei pazienti: sono persone che, avendo una malattia sempre più ad andamento cronico, frequentano per un tempo molto più lungo i nostri ambulatori rispetto a quando avevamo a disposizione un solo farmaco per i pazienti anziani e non molte altre opzioni per i pazienti più giovani che possono essere sottoposti al trapianto di cellule staminali. Fino a dieci anni fa, era problematico controllare i sintomi e anche gli effetti collaterali delle terapie erano molto diversi rispetto a quelle attuali. Oggi vengono utilizzati farmaci con un’azione sempre più mirata contro le cellule neoplastiche. Un esempio sono gli inibitori del proteasoma, gli immunomodulanti e gli anticorpi monoclonali, molecole ad azione sempre più specifica contro le cellule tumorali e quindi che non provocano gli effetti collaterali che i chemioterapici tradizionali causavano».
Perché si ricorre anche al trapianto, in associazione ai nuovi farmaci? E per i pazienti che non possono praticare questa strada, quali sono le armi a disposizione del medico?
«Il trapianto di cellule staminali autologhe consente di somministrare una chemioterapia ad alte dosi per poter eliminare tutte le cellule tumorali. La chemioterapia però agisce anche contro le cellule normali, per cui il paziente non produrrebbe più globuli rossi, bianchi e piastrine se non avessimo la possibilità di ridargli le sue cellule staminali, prelevate precedentemente, grazie alle quali il midollo osseo produce più velocemente quegli elementi del sangue (globuli rossi, bianchi e piastrine) che servono per potenziare le difese immunitarie e proteggere l’organismo dalle infezioni e dalle emorragie. Dopo la somministrazione in prima battuta di farmaci detti “intelligenti” che eliminano le cellule malate, si può praticare il trapianto di cellule staminali autologhe, soprattutto nei pazienti più giovani e in buono stato di salute. Per questi pazienti c’è oggi un’opportunità in più: la terapia di mantenimento con farmaci immunomodulanti orali, quali la lenalidomide che, somministrata dopo il trapianto, permette di mantenere la risposta per un tempo maggiore rispetto al passato. Un cambiamento importante se pensiamo che prima, in seguito al trapianto, dovevamo limitarci a tenere il paziente in osservazione, sapendo che la recidiva poteva verificarsi nell’arco di due anni. Per i pazienti non eleggibili al trapianto, abbiamo diversi schemi terapeutici e la strada è quella di terapie continuative, basate su immunomodulanti orali (lenalidomide) o inibitori del proteasoma (bortezomib), quest’ultimo in associazione a un chemioterapico».
La terapia del Mieloma Multiplo è una scelta impegnativa fin dalla diagnosi: se funziona dovrebbe determinare la remissione della malattia. C’è però il rischio di recidive…
«Le scelte terapeutiche nelle prime fasi di malattia possono condizionare tutto il decorso successivo. Di solito la prima remissione è quella che dura più a lungo. Se interveniamo tempestivamente con le migliori opzioni che abbiamo a disposizione, possiamo ottenere una risposta buona e prolungare il più possibile la durata della prima remissione. Tutto questo, oltre ad avere un evidente impatto positivo sulla qualità di vita, assicura risposte migliori anche in caso di ricadute. Va ricordato che, grazie ai nuovi farmaci, riusciamo ad ottenere buone risposte anche nelle recidive di malattia, risposte che però, nella maggior parte dei pazienti, durano meno rispetto a quelle ottenute con il primo trattamento. È questo il motivo per cui, avendo armi migliori, è opportuno utilizzarle prima possibile».
Un grave problema del Mieloma Multiplo è rappresentato dalle ricadute. Come impatta la recidiva sulla qualità di vita del paziente?
«L’impatto della recidiva sulla qualità di vita del paziente dipende molto dalla sintomatologia. In alcune recidive si evidenzia una compromissione ossea e pertanto la qualità di vita non è delle migliori. La buona notizia è che per gestire le ricadute oggi disponiamo di diverse opzioni terapeutiche in grado di dare risposte migliori anche in questa fase di malattia e quindi anche per questi pazienti si delinea la prospettiva di un’ottima qualità di vita. I pazienti che rispondono meglio a queste terapie avranno sicuramente un andamento migliore in termini di sintomi e quindi di qualità di vita».
di Paola Trombetta