Fratture da fragilità: linee guida e carta dei diritti contro l’emergenza

Una donna su 3 e un uomo su 5, dopo i 50 anni, andranno incontro a una frattura da osteoporosi. In particolare le donne, con già una frattura, hanno il doppio delle probabilità di averne un’altra. Tra i motivi, una scarsa prevenzione secondaria: solo il 20-25% di chi si frattura, utilizza infatti terapie per aumentare la massa ossea, raccomandate invece dalle Linee di indirizzo delle principali Società scientifiche del settore. Purtroppo mancano le Linee guida nazionali, che dovrebbero invece essere emanate dall’Istituto Superiore di Sanità e rivolte a specialisti e medici di famiglia. Secondo i dati dell’International Osteoporosis Foundation (IOF) nel 2017 più di 600 mila persone in Italia hanno avuto una frattura “ospedalizzata”. A ciò si aggiunge un sommerso non quantificato, ovvero tutte quelle fratture che non hanno avuto un ricovero, tenendo conto del fatto che più di 3 milioni di donne e 800 mila uomini sono colpiti da osteoporosi, una condizione che rende le ossa più fragili. Per tutelare il diritto di queste persone ad essere adeguatamente informate e curate, sia per prevenire le fratture, che per evitare le ricadute, è stata redatta la Carta dei diritti del paziente con fragilità ossea, che si potrà consultare sul sito:  www.ortomed-siom.com e verrà presentata in occasione del Congresso della Società di Ortopedia e Medicina e delle Malattie rare dello Scheletro, in programma a Firenze dal 13 al 15 dicembre.

Per approfondire le tematiche che hanno ispirato questa Carta e fare il punto su una problematica, come la fragilità ossea, abbiamo intervistato la professoressa Maria Luisa Brandi, promotrice della Carta e del Convegno, Presidente FIRMO Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso, Direttore SOD Malattie del Metabolismo Minerale e Osseo, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Professore ordinario di Endocrinologia all’Università di Firenze.

Osteoporosi e fratture da fragilità: quale correlazione esiste e qual è l’entità del fenomeno in Italia?
«L’osteoporosi è una condizione di fragilità dell’osso che può avere origini genetiche o comparire nel corso della vita a causa di diversi fattori, come può accadere anche per altre malattie. Alcuni farmaci, come il cortisone o le terapie anti-ormonali assunte dopo un tumore, favoriscono la perdita di massa ossea. Questa condizione crea, nel tempo, i presupposti della vera malattia che è la frattura. Quello che dobbiamo fare è intercettare il prima possibile il paziente fragile, più esposto a questo rischio, per evitarlo. I casi di fratture da fragilità diagnosticati, solo nel 2017, sono più di 600 mila e si riferiscono alle fratture ospedalizzate: il totale in realtà è molto più alto, in quanto include un “sommerso” non quantificato. Si tratta comunque di un numero destinato a crescere entro il 2030, in relazione all’aumento degli anziani: i baby boomer, cioè i nati tra gli anni ‘50 e ‘60, avranno più di 65 anni e con questo progressivo invecchiamento, l’incidenza delle fratture da fragilità continuerà a crescere, con pesanti ricadute sul sistema sanitario nazionale».

Quali sono le conseguenze di una gestione non tempestiva delle fratture da fragilità sulla vita del paziente, della sua famiglia e del Sistema Sanitario nazionale?
«Ogni frattura aumenta di cinque volte il rischio di incorrere in una nuova frattura nei due anni successivi. Questo può dare il via a un circolo vizioso che comporta una dipendenza dall’assistenza sanitaria, aumento dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale e compromissione della qualità della vita delle persone. Il costo delle fratture da fragilità sulla spesa sanitaria nazionale oggi è pari a 9,4 miliardi di euro, ma questa spesa annuale aumenterà quasi del 26% entro il 2030, raggiungendo 11,9 miliardi di euro. Inoltre, la frattura da fragilità ha un impatto psicologico fortissimo, è come un “tatuaggio emotivo” e influenza negativamente la vita personale, familiare e sociale dei pazienti, compromettendo la capacità di interazione sociale e la qualità di vita generale. Dopo un evento fratturativo, il paziente vive un deterioramento di tutte quelle che sono le sue capacità di relazione, come se si sentisse “spezzato”, con il rischio di innescare altre problematiche che peggiorano le condizioni generali di salute».

Qual è la situazione italiana, in termini di prevenzione secondaria, accesso alle terapie e continuità di cura del paziente fratturato?
«Esiste purtroppo un gap di continuità assistenziale, dopo un evento di frattura da fragilità, e manca una reale azione di prevenzione secondaria da parte degli specialisti e del medico di medicina generale. Diversamente da quanto accade in caso di pazienti con problemi cardiovascolari che, dopo eventi come l’infarto vengono dimessi con una diagnosi certa e una terapia adeguata, il paziente fratturato viene dimesso dopo un intervento chirurgico con la sola indicazione della riabilitazione, ma non con una terapia adeguata per l’osteoporosi, finalizzata a prevenire il rischio di una nuova frattura. Eppure, abbiamo a disposizione farmaci molto efficaci, in grado di prevenire fino al 70% il rischio di una seconda frattura da fragilità. In termini di accesso alle terapie, esiste una difficoltà oggettiva: l’autorizzazione a prescrivere farmaci specifici compete solo a pochi centri autorizzati, mentre il medico di medicina generale è costretto prescrivere farmaci generici, di prima generazione e vitamina D».

Ci sono in Italia Centri dedicati alla gestione della frattura da fragilità, a cui il cittadino può rivolgersi?
«I centri specializzati esistono, ma vi è un’enorme lacuna nell’organizzazione dei percorsi assistenziali. In Europa e soprattutto nei Paesi Anglosassoni, ad esempio, questa lacuna è stata colmata con i “Fracture Liaison Services”, modelli di continuità assistenziale e terapeutica multidisciplinari, finalizzati alla prevenzione secondaria delle fratture. Dovremmo dunque seguire questi modelli, strutturati come Unità dipartimentali in prossimità dei Centri di Ortopedia e dei Pronto Soccorsi Ortopedici, dove sono frequenti gli interventi su fratture di femore, anca, vertebrali, e così via. Questi modelli dovrebbero essere previsti da Linee guida nazionali dell’ISS, con meccanismi di controllo per verificarne il corretto funzionamento».

Quali sono le priorità per affrontare l’emergenza delle fratture da fragilità ossea nel nostro Paese?
«La priorità per il futuro è creare le Linee guida per il paziente fratturato da fragilità, che definiscano precisamente il percorso di continuità terapeutica sul modello internazionale dei Fractures Liaison Services, al fine di consentire l’accessibilità delle terapie. Le Linee guida dell’ISS dovrebbero essere rese obbligatorie e prevedere un’attività di controllo da parte di un Osservatorio per verificarne la reale applicazione. Le linee guida attualmente disponibili sono quelle redatte da alcune Società scientifiche come la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, che non hanno questi percorsi e non prevedono l’obbligatorietà».

Come esiste la Carta del rischio cardiovascolare, è possibile identificare i segnali che possono individuare precocemente il pericolo di frattura da fragilità?
«Sono disponibili diversi strumenti che aiutano a valutare il rischio di frattura da fragilità: FRAX, DEFRA e FRA-HS, quest’ultima utilizzata in particolare dal medico di medicina generale. Si tratta di Carte di rischio, che aiutano a valutare tutti gli elementi che possono contribuire a determinare la fragilità ossea e quindi ad esporre il paziente alla frattura. Hanno avuto il merito di educare i medici a prendere in considerazione alcuni fattori nella valutazione del paziente. Tuttavia non sono state adottate dalle autorità regolatorie come strumento utile ad ottenere la rimborsabilità dei farmaci e quindi un vantaggio per il paziente».

Qual è il ruolo delle Associazioni nazionali nell’indirizzare le richieste e le necessità dei pazienti a raggiungere standard di cura appropriati e sempre più avanzati?
«Il compito delle Associazioni di pazienti è soprattutto quello di sensibilizzare sulle conseguenze legate alla fragilità ossea e portare il tema all’attenzione delle autorità. In occasione della Giornata Mondiale dell’Osteoporosi, abbiamo coinvolto un’Associazione come Senior Italia Federanziani, che raccoglie circa 3 milioni e mezzo di “senior”, a cui abbiamo unito i contatti della Fondazione FIRMO, di oltre 2 milioni e mezzo. Attraverso le Associazioni si può promuovere l’empowerment del paziente, educarlo ad essere consapevole della sua malattia nei vari aspetti e conseguenze, e tutelarlo nei propri diritti, in particolare quello relativo alle cure più efficaci. Negli ultimi anni la ricerca ha fatto grandi progressi, grazie a una nuova classe di farmaci: gli anticorpi monoclonali, ad azione mirata, in grado di agire sulla ricostruzione dell’osso. In fase di approvazione da parte dell’EMA c’è oggi una nuova molecola che agisce sulla sclerostina, una delle principali proteine che regolano il metabolismo dell’osso: unisce i due vantaggi di ricostruire l’osso, da un lato, e bloccare i meccanismi che lo degradano, dall’altro, a garanzia di una maggiore efficacia».

di Paola Trombetta  

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