Arianna Szörényi, “Una bambina ad Auschwitz”

È stata di recente insignita dell’Ambrogino d’Oro, la massima onorificenza che il Comune di Milano assegna alle personalità che hanno dato lustro alla città. Arianna Szörényi, testimone in prima persona della Shoah italiana, non nasconde la sua commozione mentre riceve la medaglia dal sindaco Beppe Sala. E non riesce a trattenere le lacrime quando molte persone del pubblico si alzano e applaudono, per rendere omaggio alla sua forza d’animo e alla sua volontà di vivere, dopo le indicibili sofferenze sopportate nei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau prima, e Bergen-Belsen poi, dove il 15 aprile 1945 viene finalmente liberata dagli alleati. Il ricordo di tante sofferenze è impresso nella sua mente e parlarne accentua il dolore. Per questo Arianna ha atteso tanti anni per raccontare la sua esperienza nel libro: “Una bambina ad Auschwitz” (Mursia Editore) che ha pubblicato già ottantenne, convinta da un’amica, anche lei deportata e sopravvissuta all’orrore del Lager.

In occasione della Giornata della memoria (27 gennaio) le abbiamo chiesto perché solo ora, a ottant’anni, ha deciso di pubblicare questo libro?
«Ho voluto dare voce ai tanti ricordi, che da anni giacevano in un cassetto, perché mi sono sentita in obbligo di unirmi alle altre voci che, con le loro sofferte memorie, vogliono testimoniare e contrastare chi osa minimizzare, se non addirittura negare, quanto accaduto! L’ho voluto fare ora che alcuni sopravvissuti sono ancora in vita, pensando a un domani quando non ci saranno più testimoni… E l’ho fatto con grande convinzione e sofferenza», puntualizza Arianna. «Ogni pagina evoca episodi dolorosi, impressi nella memoria, il cui ricordo provoca in me enormi sofferenze, come se rivivessi circostanze che la mia mente ha voluto cancellare, per poter continuare a vivere. Mai riuscirò a dimenticare gli orrori dei campi di sterminio, dove la maggior parte della mia famiglia, i miei genitori, quattro sorelle e un fratello, sono morti. Siamo sopravvissuti solo in tre, con mia sorella maggiore Edith e mio fratello Alessandro. E non potrò dimenticare, né tanto meno perdonare, il “traditore”, un impiegato del comune di San Daniele del Friuli, dove mia sorella Stella lavorava, che ha denunciato la mia famiglia come ebrea».

Arianna nasce a Fiume il 18 aprile del 1933: il padre, Adolfo Szörényi è un ebreo ungherese, mentre la mamma Vittoria Pick, friulana, è cattolica. Dal matrimonio nascono otto figli: Edith, Stella, Daisy, Alessandro, Carlo, Rosalia, Lea e Arianna e tutti vengono battezzati e cresciuti secondo i principi cattolici. Nel 1938 il padre viene licenziato dalla banca dove lavorava, in quanto ebreo, a causa delle leggi razziali e non troverà più lavoro. Per la famiglia inizia un periodo di ristrettezze economiche. Edith, la sorella più grande, sposa un ufficiale italiano e va a vivere a San Daniele del Friuli. Ed è proprio in questa cittadina che tutta la famiglia Szörényi sceglie di trasferirsi nell’ottobre del 1943 per sfuggire ai bombardamenti che colpiscono Fiume e alle persecuzioni razziali. La famiglia Szörényi viene ben presto apprezzata e conosciuta, anche per aver evitato la cattura di persone accusate ingiustamente. Il padre e i due fratelli maggiori, Alessandro e Carlo, trovano lavoro nel vicino paese di Osoppo. Mentre la sorella Stella, che aveva studiato lingue, viene impiegata presso il municipio di San Daniele del Friuli. Traditi da un delatore, un impiegato del comune dove lavora Stella, il 16 giugno 1944 tutti i Szörényi vengono prelevati e portati prima a Udine e poi a Trieste alla Risiera di San Sabba. «Non dimenticherò mai quella mattina all’alba quando le SS sono entrate in casa. Hanno sfondato la porta della camera da letto con un calcio, sbraitavano come cani rabbiosi: ero a letto e non avevo neppure il coraggio di alzare gli occhi… Ricorderò per sempre quegli stivali maledetti, l’unica cosa che riuscivo a vedere. Urlavano “Raus, schnell…” e ci hanno portati via», racconta Arianna nel libro. Si salva dalla deportazione solo la sorella maggiore Edith che aveva sposato un ufficiale italiano e abitava altrove.

Arianna trascorre sei giorni nel campo di sterminio triestino: condivide la prigionia con due altri coetanei che come lei sopravviveranno al campo di Auschwitz, Luigi Ferri e Loredana Tisminieszky. Il 21 giugno 1944 la famiglia Szörényi è deportata ad Auschwitz-Birkenau. All’arrivo gli uomini vengono separati dalle donne. Arianna è la più piccola, ha solo 11 anni, ma all’inizio viene aggregata alle donne. Verso la fine di settembre una selezione più accurata la destina al “Kinderblock”, la baracca dei bambini, separandola anche dalla madre e dalle sorelle. Arianna le vedrà attraverso la rete che divide i blocchi e un’ultima volta, da lontano, riuscendo a far avere loro un biglietto, assieme a un pezzo di pane e di burro, grazie all’aiuto di Luigi Ferri, impiegato come portaordini dell’infermeria. Nel dicembre del 1944 comincia l’evacuazione: Arianna è inserita con un gruppo di prigionieri nella “marcia della morte” che li conduce dopo tre giorni di viaggio al Campo di concentramento di Ravensbrück e quindi a Bergen-Belsen. Qui viene liberata dagli alleati il 15 aprile 1945: pesava 18 chili ed era scampata per ben sette volte ai forni crematori. Viene ricoverata all’ospedale militare inglese, dove, malata di tifo, con un principio di TBC, il piede destro congelato e i polmoni colpiti dalla pleurite, rimane ricoverata per cinque mesi. Il 19 settembre 1945 viene rimpatriata in Italia per proseguire le cure: prima nell’ospedale militare Aosta di Merano e dopo pochi giorni in quello di Udine. Dei 776 bambini ebrei italiani di età inferiore ai 14 anni deportati ad Auschwitz, Arianna è tra i soli 25 sopravvissuti. L’anno successivo, dopo essere stata curata, torna a S. Daniele del Friuli dalla sorella Edith. Dei suoi familiari dai campi di sterminio è tornato vivo solo il fratello Alessandro, liberato a Buchenwald il 5 maggio 1945. Dopo un anno trascorso con la sorella, Arianna entra nell’orfanotrofio delle “Ancelle della carità” a S. Daniele del Friuli ove vi resta fino al 1952. Durante la permanenza, continua gli studi e consegue il diploma di Avviamento professionale. Alla fine del 1952, la sorella Edith la porta a Milano dove si è nel frattempo trasferita. Per mantenersi trova lavoro presso La Rinascente, prima come commessa e poi come impiegata negli uffici amministrativi. Nel 1960 si sposa e ha tre figli. Nel dopoguerra scrive un diario accurato della sua esperienza, che verrà pubblicato nella sua interezza solo nel 2014 con il libro “Una bambina ad Auschwitz”, che racconta nei dettagli la storia della sua deportazione, con interventi della storica Liliana Picciotto del CDEC (Centro documentazione ebraica contemporanea) e dello scrittore Dario Venegoni dell’ANED (Associazione nazionale Ex Deportati). Arianna è la prima bambina deportata dall’Italia a testimoniare in età adulta. Rilascia interviste già negli anni settanta, in occasione del processo per i crimini alla Risiera di San Sabba. Da allora si rende disponibile a raccontare la sua esperienza, in convegni e conferenze, soprattutto nelle scuole. Nel 2009 la voce di Arianna Szörényi è inclusa nel progetto “Racconti di chi è sopravvissuto”, una ricerca condotta da Marcello Pezzetti per conto del Centro di documentazione ebraica contemporanea,che ha portato alla raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti italiani dai campi di concentramento.

di Paola Trombetta

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